Nathan Drake e Lara Croft, due delle più famose icone dei videogiochi d’avventura, sono qui sopra ritratti insieme. Ma chi sono davvero Nathan e Lara? Potremmo certamente sostenere che il Nathan della serie “Uncharted” sia ispirato a Lara Croft, emblema dell’eroismo femminile sin dal 1996, anno del suo debutto sulla piattaforma Playstation con “Tomb Raider”, saga che non ha certamente bisogno di alcuna presentazione considerando il vasto impatto culturale avuto sin dal suo esordio. Lara è stata e lo è anche adesso un’eroina capace di ritagliarsi un frammento di significativo spessore nel cuore di tutti gli amanti dei videogiochi ambientati tra scenari storici e reperti archeologici. Nathan, invece, ha dovuto attendere fino al 2007 per vedere la luce e debuttare in “Drake’s fortune”, il primo di una tetralogia di enorme successo targata Naugthy Dog. Entrambi sono a loro volta ispirati da un eroe del cinema, questa volta anni '80, ovvero Indiana Jones, l’archeologo dalla vita spericolata per eccellenza. L'outfit nel deserto di Nathan in "Uncharted 3 - L'inganno di Drake" sembra inoltre ispirato all'aspetto di Brendan Fraser nei panni dell'avventuriero Rick O'Connell ne "La mummia" del 1999. Già da questi brevi accenni si comprende quanto il cinema sia stato una fonte d’ispirazione totale per i creatori dei videogiochi che cominciando dal design estetico, passando poi alla caratterizzazione dei personaggi fino ad arrivare ad una narrazione sempre più complessa, hanno tentato con numerosi eccellenti riscontri, di elevare i propri standard qualitativi così da tentare di ricreare un’esperienza cinematografica capace di poter essere vissuta in prima persona con l’ausilio di un Joypad.

Studiare il cinema moderno non può prescindere dallo studiare anche, e con una certa dovizia di particolari, il mondo dei videogiochi. Dagli anni '90 in poi sono sempre più stati rilasciati sul mercato videogiochi tratti da film di successo, esperienze di gioco capaci di riprendere ambientazioni e scenografie tratte direttamente dai lungometraggi di riferimento, dando così la possibilità ai giocatori di vestire i panni dei propri eroi, emulando le gesta e le avventurose imprese dei protagonisti. I fan con un sentito trasporto potevano rivivere i film che avevano amato, accompagnando i loro personaggi preferiti a riaffrontare le avventure che loro stessi avevano “solamente” osservato in pellicola. Col passare degli anni il progresso tecnologico ha permesso di amplificare i mezzi di realizzazione nell’ambito degli effetti speciali e della computer grafica, e come lo si è notato con un certo timore al cinema così a maggior ragione è accaduto nei videogiochi, però in questo caso si è registrato un maggiore entusiasmo: gli scenari all’interno della realtà giocabile diverranno infatti sempre più realistici, i movimenti dei corpi più naturali (i personaggi giocabili ad esempio si affannano durante la corsa) e l’espressione dei loro volti si baserà direttamente sulla recitazione degli attori che incarnano i personaggi da gioco durante i filmati nello scorrere della storia: il medium dei videogiochi diventa a tutti gli effetti un’arte recitativa. Tale lavorazione richiede agli addetti un impegno maggiormente incentrato su uno sviluppo narrativo di stampo cinematografico e i personaggi indipendenti, cioè coloro creati ad hoc per il videogioco, diventano veri e propri caratteri plasmati dagli autori e dagli interpreti scelti. Con l’inizio del nuovo millennio è accaduto l’esatto contrario di ciò che avveniva in precedenza; i titoli di maggior successo dei videogiochi sono sbarcati al cinema con trasposizioni riuscite del tutto se non in parte o lavori rivedibili se non proprio del tutto suscettibili di oblio.

Il cinema col passare degli anni ha dimostrato una crescente tendenza incentrata all’abuso della grafica computerizzata, la quale sostituisce persino gli attori in carne ed ossa per lasciar posto ad immagini digitalizzate e ad una creazione in completa CGI. Le imponenti scenografie di un tempo vengono pertanto sostituite da creazioni al computer eseguite attraverso il green-screen e le riprese in esterno vengono limitate per venire, alle volte, totalmente ricreate. Gli attori recitano per minor tempo nei film ad alta tensione diventando strumenti di spettacolarizzazione in mano a registi che, come se avessero in mano un joypad, dirigono i personaggi reali in “doppi salti” e acrobazie estreme, palesemente lontane dall’azione realmente filmabile. Se i videogiochi si avvicinano maggiormente al cinema moderno quest’ultimo continua ad avvicinarsi al mondo dei videogiochi. L’attrazione tra il cinema e il mondo videoludico è talmente alta da portare alla realizzazione di film che omaggiano i videogiochi anni ‘80, e a videogiochi stessi che omaggiano i classici del cinema con l’inserimento di Easter egg sotto forma di citazioni sceneggiate o immagini velatamente riscontrabili sugli sfondi. Due medium che si attraggono reciprocamente senza potersi mai toccare davvero.

“Sembrava un videogioco” è una frase che sentiamo o che pronunciamo spesso ultimamente all’uscita dalla sala dopo aver visto un film d’azione. “Molto cinematografico” è un’altra costante affermazione rilasciata dai fan ad alcuni videogiochi più recenti i quali, seppur curati in maniera maniacale, antepongono alle volte alla giocabilità e alla lunghezza di una storia, una grafica iperealistica ma che non reca stretto a sé nulla del divertimento emotivo provato nell’azione comandata dei primi giochi targati PS1, poiché il tutto è troppo concentrato a destare lo stupore di un volto così ben realizzato. Non sempre è così, i capolavori della serie “Arkham”, ad esempio, ma anche titoli di successo come “The last of Us”, e gli stessi “Uncharted” e “Tomb Raider” (giusto per citarne alcuni) hanno invece invertito il trend, e il passaparola stereotipato che sembrava imporre a tutti i costi il dettame: la grafica migliorata corrisponde necessariamente ad una giocabilità priva di sentimento è ormai svanito in parte. La grafica non è il centro della lavorazione, ma piuttosto serve ad esaltare l’esperienza di gioco immergendo i giocatori all’interno di un mondo ricreato nel minimo dettaglio e al cui interno, immedesimato tra le azioni comandate, il giocatore vive una storia avvincente e articolata da scoprire lentamente. L’attenzione cognitiva del giocatore si sposa così con l’emozione dell’impronta drammatica di una trama da assaporare attraverso l’enigma e la lotta.

Il cinema invece continua a sperimentare l’impostazione di gioco usufruendo maggiormente della soggettività durante una scena d’azione o riprendendo una scena con la tecnica di ripresa di 48 fotogrammi al secondo con risultati altalenanti. Basti pensare al film “Hardcore”, girato in completa soggettività, che fa il verso ai più violenti sparatutto lasciando però frastornato e confuso lo spettatore, che pur restando colpito da una tale originalità rimane basito dinanzi ad un film che è un gigantesco videogioco privo di comandi da utilizzare. Prendendo in esempio “Gravity” invece, il capolavoro di Alfonso Cuarón, noto che quest’ultima opera applica molti degli schemi per lo più utilizzati durante l’esperienza di gioco: la camera inserita ad esempio all’interno dell’oblò della tuta ci pone in soggettività con il ruolo di Sandra Bullock mentre ella è intenta a dirigere il proprio sguardo da una parte all’altra dell’astronave muovendo le braccia e pigiando sui pulsanti. Sembrerebbe l’intro di un videogioco o la sequenza d’intermezzo di un filmato da accompagnare premendo i tasti prescelti ma invece è cinema, e qui, Cuarón mostra come il blockbuster d’intrattenimento possa splendidamente divenire anche cinema d’autore. A differenza del videogame lo spettatore può soltanto limitarsi ad ammirare senza poter far compiere l’azione dovuta al personaggio centrale ma il metodo di ripresa e l’impronta assunta da molti film degli ultimi anni non possono che farci riflettere sulla netta vicinanza tra questi due mondi all’apparenza così distanti.
Credo fermamente che il mondo dei videogiochi stia traendo il massimo dal cinema proponendoci titoli capaci di vantare dialoghi arguti e intelligenti, trame dettagliate ed eroi abili a far empatizzare il giocatore, il quale al termine del videogioco non può che rimanere colpito dall’impronta emotiva che una storia ben strutturata, specie se sorretta da un’evocativa colonna sonora, ha lasciato in lui. Il cinema, invece, dovrebbe leggermente allontanarsi dal potere grafico e smettere di riciclare dal passato e da metodologie che, se disseminate con troppa irruenza, mostrano fin troppo di non appartenere alla settima arte. L’equilibrio dovrebbe essere centrale nel metodo di lavorazione poiché il cinema non è e non potrà mai essere un videogioco, anche se entrambi possono procedere su binari paralleli.
Autore: Emilio Giordano
Redazione: CineHunters
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