
Bighellonare a tarda notte nel deserto non è una buona idea. Date retta al sottoscritto, non è affatto prudente. Molto meglio restare distesi sulla nuda terra, tra le spezie e i Bazar, sonnecchiando nei pressi del centro cittadino a contemplar le luminescenze di un cielo stellato. Potrà capitare che, di lì a poco, un mendicante si avvicini a voi e cominci a muovere il suo dito indice più volte verso di sé, invitandovi ad ascoltare quanto sta per proporvi. E’ il fascino delle notti d’oriente, momenti notturni in cui, se siete fortunati, potrete imbattervi persino in un genio sotto mentite spoglie, che tenta d’ingolosire la fame della vostra curiosità mostrandovi una lampada. Vi interessa? Dovrebbe, perché tale lampada magica ha cambiato il destino di un diamante allo stato grezzo. E’ una storia cominciata tanti anni fa, in una notte nera. Volete saperne di più? Tale mendicante sarà pronto a raccontarla per voi purché l’attenzione della vostra soggettività non svanisca nel nulla. Non è accaduto? Debbo dedurre che vogliate conoscere tale racconto sepolto tra le dune sabbiose. Ve lo avevo detto, dunque, alla fin fine sarebbe stato molto meglio restare in città. Se non lo aveste fatto…non avreste mai conosciuto Aladdin.
Il 31esimo Classico Disney, datato 1992 e colonna portante del “Rinascimento Disney”, trae le proprie traversie dal mito persiano di Aladino e la lampada meravigliosa, presente nei racconti de “Le mille e una notte”. Colpisce, sin dalla prima sequenza del lungometraggio Disney, quanto “Aladdin” sia diverso da molti altri film del genere. Anzitutto l’ambientazione persiana conferisce una qualità di rilievo, non certo riscontrabile altrove, ma è altresì la scelta di porre la visione del pubblico al centro della scena, come fosse un occhio attento e curioso del particolare a rendere “Aladdin” un’opera meritevole di ammirazione.
“Aladdin” abbatte dopo pochi istanti la quarta parete, rendendo il proprio pubblico parte integrante della finzione filmica: rammentate la scena in cui la camera si avvicina un po’ troppo al viso del mendicante, schiacciandolo contro lo schermo? Un’ironica sequenza che taglia, come fosse una lama affilata, il cordone immaginario che delimita i confini scenici che separano gli spettatori dalle vicende, e che da quel momento potranno seguire con immedesimazione sempre crescente.
Il film si apre con una ripresa in soggettività, in cui il nostro stesso sguardo si muove nella notte buia, fino a scorgere la figura tarchiata di un mendicante, che altri non sarà che il genio stesso. Una curiosità non certo ben nota considerando il fatto che Gigi Proietti non prestò la voce a questa versione introduttiva del personaggio che cela il proprio aspetto sotto le spoglie di questo insolito venditore arabo. La camera tende a spostarsi, come volesse volgere la propria attenzione altrove, ma il mendicante la riporta sui suoi passi convincendola ad ascoltare la storia. Come i più abili commercianti, il genio riesce a catturare la nostra attenzione e a “venderci” il suo prodotto: le avventure di un giovane ladruncolo squattrinato, dal cuore nobile e generoso, di nome Aladdin.
In un’epoca imprecisata, il crudele Jafar, Gran Visir fraudolento e ingannatore del Sultano di Agrabah, desidera entrare in possesso della leggendaria Lampada Magica che si trova nella Caverna delle Meraviglie, una mistica caverna che sorge tra le dune del deserto e ha l’aspetto di una pantera, dalle cui fauci dischiuse ci si può addentrare nella misteriosa spelonca. Tuttavia, solo il cosiddetto "diamante allo stato grezzo" può riuscire a varcare la soglia della caverna senza essere divorato. La dicitura “diamante allo stato grezzo” vuol intendere una persona apparentemente comune, ma che cela in sé un animo virtuoso. Anche in “Aladdin” il tema del valore interiore e di ciò che realmente siamo è trattato con dovizia di particolari in quanto cuore pulsante della narrazione. Aladdin, sebbene soffra la sua povertà, ha il cuore di un valoroso principe delle fiabe. Un giorno, tra le strade cittadine, Jasmine, la figlia del sultano, fuggita dal palazzo per esplorare il mondo esterno, incontra Aladdin che la salva dalle angherie di alcune persone violente.
Tra Aladdin e Jasmine si delinea un rapporto che li pone su due versanti opposti. Lei è oppressa dai voleri del buon padre che vorrebbe darla in sposa a un principe, e quindi decide di fuggire dal palazzo per vivere la sua vita libera da imposizioni alcune. Aladdin, il quale conosce gli stenti della fame e della povertà, mira il palazzo regale, ogni qualvolta rientra a casa, una modesta abitazione che sorge sui tetti di un edificio abbandonato, e sogna pure per lui una vita di agiatezze. Il rapportarsi tra la ricca e il povero, la principessa e l’uomo comune è un cliché già visto, ma che viene raccontato con tale garbo e romanticismo da risultare emotivamente coinvolgente.
Il ruolo di Jasmine desta originalità nella risolutezza con cui la giovane pretende di avere il controllo sulla sua vita. Qualcosa che noi, comunemente, daremmo per scontato, ma che la splendida Jasmine non può ugualmente permettersi: i suoi doveri regali le impongono di prender marito con un nobile. I principi che giungono al palazzo per chiedere e ottenere la sua mano sembrano mercificare la figura della donna come fosse un premio da ostentare più che una dama da corteggiare. Ella rifiuta ogni singolo spasimante, cosciente che nessuno potrebbe mai porre un veto sulla sua vita. Jasmine, come molte altre principesse del Rinascimento Disney, è una donna che si eleva dai luoghi comuni che fin troppo, un tempo, hanno ridotto la figura femminile a mero interesse romantico. E’ cosciente delle proprie volontà ed è pronta a battersi per adempierle.
L’amore che sboccia tra Aladdin e Jasmine è quanto di più naturale possa venir mostrato, ed è proprio nella candida complicità dei rispettivi sguardi e nell’accattivante mistero circa le rispettive origini che questo sentimento tende ad accrescersi. Se Jasmine s’invaghisce senza remora alcuna di quel giovane indigente, Aladdin prova vergogna in merito alla sua condizione di ragazzo squattrinato e senza futuro. Egli vorrebbe ripresentarsi a Jasmine in tutt’altre vesti quand’ella viene riportata a palazzo dalle guardie del Sultano e crede che il giovane sia morto.
Nel frattempo Jafar ha scoperto che è Aladdin il "diamante allo stato grezzo". Mentendo al giovane, lo conduce fino alla caverna delle meraviglie. Rimasto intrappolato all’interno della caverna, Aladdin trova dapprima un tappeto volante e in seguito la lampada, che comincia a strofinare, liberando così il Genio che da secoli se ne stava sopito all’interno.
Il Genio è in assoluto uno dei personaggi disneyani più riusciti di sempre. Un vero e proprio mattatore della scena, ironico, burlone, svampito, e dall’entusiasmo contagioso. Il Genio è uno dei principali artefici che hanno reso “Aladdin” un film dalla comicità dilagante e senza freno alcuno. Un personaggio affabulante che ama rivolgersi più al pubblico che ai personaggi stessi della storia, proferendo battute sagaci e dai molteplici riferimenti alla cultura popolare, incapaci d’esser colti dagli altri personaggi in quanto diretti principalmente agli spettatori. Il Genio, come fosse un interprete abile a eccellere nell’arte dell’imitazione e del trasformismo, assume le forme di decine e decine di attori famosi ed icone della cultura popolare per accentuare un umorismo dal sapore cabarettistico. Gran merito del successo del personaggio è da attribuire allo straordinario doppiaggio di Robin Williams che improvvisò gran parte dei dialoghi del film, facendo leva sul suo smisurato talento comico. In Italia, la verve caricaturale del personaggio venne mantenuta con l’eccezionale doppiaggio di Gigi Proietti.
Il Genio trasforma Aladdin in un principe. Desideroso di conquistare Jasmine, Aladdin si reca dal padre per chiedere la mano della giovane che, non riconoscendo il ragazzo, lo rifiuta come tutti i suoi innumerevoli pretendenti. Aladdin però non si arrende e l’attende al calar del sole, dinanzi al suo balcone. Aladdin porge la sua mano alla giovane, invitandola a volare assieme a lui sul suo tappeto magico.
Come accadeva nel primo, indimenticabile “Superman”, quando Clark invitava Lois a volteggiare su di una Metropolis addormentata, reggendola con le sue braccia, così anche in Aladdin la sequenza in cui i due amanti volano stretti in un abbraccio è intrisa di un tangibile alone di etereo e puro romanticismo. In entrambi i momenti la donna corteggiata non comprende la vera identità dell’uomo che la sospinge nell’atto di librare. I costumi camuffano quanto basta i rispettivi aspetti, l’eroe dei fumetti spogliatosi dei suoi grossi occhiali assume tutt’altri connotati e il giovane Aladdin, con indosso i suoi abiti principeschi, non si rende prontamente riconoscibile. Gli istanti, come fossero influenzati dai fatati effetti di un incantesimo generatosi spontaneamente e non certo proferito da alcuna fattucchiera, attenuano il proprio corso. Nella rinomata sequenza del film sull’eroe dalla grande S “cristallizzata” su uno sfondo azzurro come il cielo, la meraviglia vissuta in quegli intensi momenti, in cui Lois e Clark volavano a pochi metri dalla superficie del mare per poi giungere su in alto e disperdersi tra nuvole d’effimera consistenza, veniva espressa dalle riflessioni intime della donna. Pensieri divenuti parole inespresse vocalmente. In “Aladdin” invece il sentimentalismo immaginifico viene esternato col canto. Parole tramutate in versi e intonate come melodie. Aladdin regala all’amata una notte dove il sogno si materializza sotto i suoi stessi occhi, e in cui il desiderio di poter esplorare ciò che si trovava laggiù, oltre le salde, sicure, ma forse troppo opprimenti mura del palazzo, viene compiuto. Aladdin dona il mondo a Jasmine, volteggiando con lei dalla Grecia all’Egitto. Ciò che offre Aladdin a Jasmine è la comprensione dei suoi desideri: egli, cresciuto tra le strade, possiede la capacità di carpire i desideri altrui, e così corteggia Jasmine regalandole, con l’ausilio della magia più intensa e avvolgente, il dono della libertà, di quella astratta ma concreta come il soffio del vento. Una brezza giunta dal nord, capace di rischiarare i lineamenti turbati dal caldo tipico di una notte d’oriente.
“Aladdin” è una fiaba d’amore, in cui il più importante dei sentimenti provati dall’uomo dimostra ancora una volta d’esser cieco, e in cui le frecce dell’Eros colpiscono due entità poste su due piani esistenziali diversi, demarcati da uno stato sociale, ma capaci comunque d’accomunarsi. A Jasmine non importa della povertà tanto temuta da Aladdin e, consapevole delle proprie volontà, accetta di sposare il giovane, che trova così un senso al proprio nebuloso futuro: un imminente avvenire formatosi candidamente come una fossetta del viso sulle labbra sorridenti dell’amata.
“Aladdin” è un’avventurosa metafora dell’accettazione di se stessi, e nel proprio percorso visivo indaga la concezione della libertà, quella intrinsecamente appartenente a ognuno di noi. Aladdin desidera avere la libertà di poter vivere una vita meritevole d’esser chiamata tale, Jasmine anela a una vita in cui poter essere la sola a prendere le decisioni che più la riguardano, e lo stesso Genio auspica che il proprio padrone lo liberi da una schiavitù eterna. “Aladdin” è una peregrinazione nel deserto, compiuta durante una delle più fortificanti notti d’oriente, la cui oasi finale, una volta raggiuntala, permette la resa di ogni forma di prigionia, lo scioglimento di qualunque catena e la conquista della propria libertà.
Ora che la storia è giunta a conclusione potete andare. Proseguite tra le dune se lo volete, in sella ai vostri cammelli, chissà che non possiate imbattervi in fenomenali poteri cosmici…contenuti in un minuscolo spazio vitale. Dopotutto, anche questa potrebbe essere la vostra notte nera!
Voto: 8,5/10
Autore: Emilio Giordano
Redazione: CineHunters
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