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"Mowgli e Bagheera ne
«Il libro della giungla»" - Dipinto di Erminia A. Giordano per CineHunters

(Attenzione l’articolo contiene SPOILER sui film tratti da “Il libro della giungla”)

La vita viene spesso paragonata ad un libro intonso. Coloro che confidano in questo raffronto trovano nella crescita un calamaio e nell’esperienza una penna di volatile da intingere in esso per scrivere i capitoli di un’esistenza. Certuni equiparano la vita ad “una ruota”, e credono che ad ogni giro ci sia una storia da raccontare. Dunque, l’arco vitale può essere assimilato ad una girandola di emozioni, un vortice di sogni e di avventure. Ciò vale specialmente per i protagonisti dei racconti, coloro che vivono una vita immaginaria. Il viaggio di un eroe, che dimora tra il vero ed il fantastico, è denso di pericoli, ed è in genere costellato da salite ripide e da discese brusche e vertiginose. Il “giro di ruota” di un personaggio fittizio è solito cominciare lentamente, come una giostra di cavalli che danno il via ad un “galoppare” ritmato. Tale “giravolta”, metafora di una vita da narrare, con lo scorrere degli accadimenti, diventa più rapida, incalzante, sino a compiersi in un intenso atto finale.

La storia de “Il libro della giungla” nacque all’interno d’un tomo fatto di pagine bianche. Le vicissitudini di Mowgli vennero concepite con l’inchiostro, ciononostante il suo fantastico vissuto fu travolgente, turbinoso come un girotondo senza esito.  La storia di Mowgli, popolata da fauci, artigli e da zanne, contiene elementi fascinosi, educativi, atavici, impervi come la giungla selvaggia, e parla di crescita, orgoglio, potere, tesori e amore.

Ciascuna delle versioni cinematografiche che hanno trasposto le “novelle” di Rudyard Kipling pone Mowgli in scenari sempre differenti, così che egli possa conoscere l’amore, i dettami di un’antica legge, l’amicizia, l’emarginazione e ascenda al suo destino.

  • Un fiore rosso: principio

Il cineasta Stephen Sommers, che nel 1994 diresse per la Walt Disney un libero adattamento dell’opera letteraria di Kipling, partì proprio dall’amore per richiamare, attraverso il linguaggio visivo del cinema, il passato del protagonista. Mowgli condivideva con Katherine, la sua graziosa amichetta, un tragico trascorso: ambedue le loro madri erano morte dandoli alla luce. Mowgli, dunque, nacque da un atto di amore estremo che raggiunse il sublime.

Mowgli ha appena cinque anni quando segue il padre, Nathoo, nella giungla. Nathoo era stato scelto dal colonnello Brydon come guida indiana del suo reggimento. Il piccolo giace in “sella” ad un elefantino e procede in testa alla guarnigione. Di lì a breve, con la curiosità di chi vuol capire, Mowgli scruta il genitore mentre questi coglie un fiore rosso e l’offre in dono ad una viandante, poco prima di darle un bacio. Sarà questa l’ultima immagine, conservata nei ricordi d’infanzia, del piccino.

D’un tratto, un cupo ruggito scuote la calma apparente della giungla. Shere Khan, la regina delle tigri, è inquieta perché i bracconieri stanno invadendo il suo territorio. Le bestie che trasportano il fabbisogno dell’unità militare, udito il terribile verso del predatore, si agitano, destabilizzando bruscamente l’avanzata. Sarà proprio il piccolo Mowgli, con autoritaria fermezza, a placare l’indole irrequieta delle creature. Sin dal principio, viene sottolineata la spiccata capacità del protagonista nel comunicare con il regno animale.

Quella stessa notte, Mowgli si perderà nella giungla nera e crescerà lontano dalla civiltà, accudito dalle fiere libere della “foresta”.

Nel classico della letteratura di Kipling, gli animali sono soliti definire “fiore rosso” il fuoco. Le fiamme di una torcia, che vengono brandite dall’uomo come “arma”, sono sinonimo di terrore per tutta la fauna. Le vampe consumano il verde, devastano i sentieri della giungla, intrappolano in una morsa ardente i cuccioli indifesi, e sono considerate un male da cui fuggire. Il fuoco “sboccia” come un germoglio luminoso, ondeggiante, rovente, si propaga come una lingua forcuta e colpisce come una frusta incandescente. Per Sommers “il fiore rosso” non corrisponde all’elemento primario, ma coincide con un bocciolo vermiglio, donato a una donna come segno di corteggiamento. Imitando il comportamento del papà, Mowgli raccoglie un fiore e lo porge alla piccola Kitty. Ella ricambia il gesto, ed elargisce al suo amichetto il bracciale d’argento ereditato dalla sua mamma, dal quale Mowgli non si separerà mai. Il protagonista, crescendo, emulerà il gesto del padre in maniera meccanica, e attraverso quel fiore rosso continuerà inconsciamente a mantenere un legame con il suo passato ed il suo essere uomo.

Durante la sera, Nathoo dialoga con il figlioletto all’interno di una tenda. Egli mostra al bimbo un vaso in cui sono stati ritratti alcuni animali, simboli per eccellenza delle virtù della giungla. Nathoo indica a Mowgli il primo “dipinto”, raffigurante un orso bruno. Il bambino afferma che quello è Baloo. Subito dopo, Nathoo attira l’attenzione del piccoletto verso l’illustrazione di una pantera nera, chiamata da Mowgli “Bagheera”. Poco dopo, il buon padre mostra al bambino la sagoma di Shere Khan. Mowgli, questa volta, confessa che quella tigre altri non è che lui stesso. Ebbene, Shere Khan per Sommers non è la tigre zoppa, perfida, subdola e spietata nata dalla penna di Kipling, bensì una custode della natura che arriverà a condividere alcune importanti somiglianze con lo stesso Mowgli.

Le illustrazioni degli animali nascondono un profondo valore allegorico. Attraverso le raffigurazioni “tinteggiate” su quel vaso, il lungometraggio evidenzia le creature più importanti che accompagneranno Mowgli nella sua evoluzione. L’orso, la pantera, il serpente e la tigre vengono caricati di una forza espressiva astratta ed evocativa. Tutti loro vengono battezzati, come se nel nome fosse celata l’identità. Mowgli, chiamandoli uno alla volta, non si riferisce a semplici rappresentazioni di una specie. Con quei nomi, egli parla di animali unici, poiché incarnanti virtù rare e preziose.  

Le suddette “immagini”, inoltre, non sono mere “incisioni”, ma premonizioni che anticipano gli eventi e gli incontri che il protagonista avrà con le fiere. L’immagine che agisce come “preavviso” ad un accadimento si ripete, altresì, nella sequenza in cui Shere Khan sorprende gli uomini nell’accampamento.

  • La legge della giungla

Shere Khan è un’ombra inafferrabile che si manifesta di rado e trova riparo nella selva inospitale. La tigre del Bengala si presenta per la prima volta su di un massiccio roccioso. Da quell’altura, essa vigila sul suo regno, e osserva gli uomini che procedono a tentoni verso la sua dimora. Negli ultimi mesi, la caccia è aumentata con scellerata cadenza e i cacciatori hanno predato molti più animali di quanto era loro consentito. La legge della giungla, che prevede l’uccisione di una creatura solamente per difesa o per bisogno, è stata infranta. Shere Khan ne è consapevole, e medita la propria rivalsa.

Al calar della notte, l’accampamento viene assalito dal maestoso felino. La tigre attacca nel buio, uccidendo l’ufficiale che presiede l’attendamento. Eppure, l’animale sceglie di non cibarsi dei resti. Shere Khan, in quei frangenti concitati, non attacca per nutrirsi, muove verso gli uomini per esigere vendetta. All’alba della storia e al crepuscolo di una giornata che segnerà il fato del protagonista, la legge della giungla viene violata dalla sua stessa custode. In quegli attimi, Shere Khan incarna l’essenza giustiziera di Madre Natura e aggredisce per uccidere.

Uno dei militari di Brydon se ne stava seduto nei pressi della folta vegetazione. Per trascorrere il tempo, l’ufficiale si era concesso un solitario con le carte. L’ultima carta estratta dal mazzo recava la rappresentazione di una tigre. I versi di Shere Khan sembrano echeggiare dal disegno stesso. Poco prima che l’uomo si volti, essa balza alle sue spalle, azzannandolo al collo. Lo schizzo decorativo impresso in quella carta da gioco aveva svelato le fatalità di un futuro imminente.

Spronato dal trambusto, Nathoo corre per difendere il cacciatore Buldeo dalla furia di Shere Khan. Il padre di Mowgli cadrà sotto le unghie affilate della tigre. Nell’infrangere la legge della giungla e arrecare dolore all’uomo, Shere Khan ha condannato a morte anche chi non meritava di perire: è il risultato di una sola notte di anarchia brutale.

Baloo e Mowgli nel film animato della Walt Disney
  • L’incontro con Bagheera e Baloo

Nel classico disneyano del 1967, quando viene rinvenuto da Bagheera, Mowgli dorme raccolto in una cesta. La pantera, intenerita dal cucciolo d’uomo, lo porta al cospetto di un branco di lupi in modo che possano crescerlo come un membro della loro famiglia. Di giorno in giorno, il felino sorveglia il bimbetto, vegliando sulla sua incolumità. Mowgli verrà così’ allevato dai lupi, e incontrerà, da ragazzino, Baloo, un orso labiato dal manto grigio, simpaticissimo e goloso di miele.

Baloo, caratterialmente, si differenzia molto da Bagheera. Se quest’ultima emana un’aura di austerità e compostezza, il mammifero propaga un alone di spensieratezza e allegria. La solennità di Bagheera rimanda alla serietà della crescita, nonché all’asprezza della maturazione. Baloo rappresenta, invece, la letizia del gioco, la leggiadria dell’infanzia e la levità di uno spirito libero che ha bisogno soltanto di poche briciole, dello stretto indispensabile per godersi pienamente la vita. Entrambi, a loro modo, assurgono al ruolo di mentori per il piccolo Mowgli, riflettendo due personalità ambivalenti per la sua educazione.

Nel lungometraggio di Stephen Sommers, Mowgli incontra la pantera alle prime luci del mattino. Essa indaga l’animo del piccino con i suoi occhi saggi. Mowgli non esita dinanzi al tenebroso leopardo, e questi gli mostra la sua coda così che il bambino possa afferrarla e seguirlo. La pelle del felide appare nera come un cielo senza stelle, eppur soffice come il velluto. Bagheera conduce Mowgli nei pressi di un lago naturale, sorto ai piedi di una splendida cascata d’acqua cristallina. Sulle rive, un branco di lupi indiani accoglie il piccolo. L’indomani, Mowgli incontra Baloo, ancora piccino, rimasto incastrato nel foro di un vecchio tronco d’albero nel tentativo di ingurgitare del miele. Sarà proprio Mowgli ad aiutarlo a liberarsi da quella stretta soffocante. Mowgli e l’orsetto sono “cuccioli” ed entrambi soli. Da allora, i due diverranno inseparabili. Molto teneramente, Sommers mostra come l’amicizia tra due esseri completamente diversi possa nascere da un gesto di bontà. Bagheera, secondo il volere di Sommers, continua a rivestire per Mowgli il ruolo di maestro e difensore, Baloo, invece, quello di fratello adottivo.

Per distaccarsi ulteriormente dagli scritti di Kipling e plasmare una pellicola personale, Sommers scelse di non fare parlare gli animali. E’ infatti un linguaggio molto più profondo e inaccessibile quello che vige tra alcuni personaggi dall’opera filmica. Pur permanendo nel silenzio, i dialoghi tra Mowgli e i suoi amici animali sono sviluppati mediante un’apparente incomunicabilità:l’inesistenza del linguaggio verbale. Tuttavia, nelle espressioni, nei gesti, negli impenetrabili sguardi si forma una comunicazione empatica, silente, intima. Una scelta che trascende e, per certi versi, snatura l’opera di Kipling, ma che risulta realistica e ugualmente filosofica. Le belve della giungla sono un riflesso dell’anima di Mowgli. Esse simboleggiano le qualità segrete ed eroiche del protagonista. Mowgli avrà infatti la velocità della pantera, la forza dell’orso, lo spirito del lupo.

  • Maturazione: il Mowgli bambino e la diversità

In “Mowgli”, pellicola del 2018 diretta da Andy Serkis, il protagonista, ancora bambino, viene trattato con diffidenza da alcuni suoi “fratelli” lupi. Se confrontato ai film precedenti, l’adattamento cinematografico di Serkis risulta essere molto più crudo e violento, poiché maggiormente basato sulla controparte cartacea. Non trovando amici nei suoi “simili” del branco, Mowgli stringe un tenero rapporto con Bhoot, un lupetto albino, anch’esso maltrattato per la sua diversità. Serkis analizza così l’animo tormentato di Mowgli, un personaggio senza identità, in perenne lotta tra la sua natura di uomo e il desiderio d’essere un lupo. Spesso scacciato dal branco, Mowgli ha nella bontà di Bagheera e nei ferrei insegnamenti di Baloo l’unica distrazione da un’esistenza di lotta e sopravvivenza. Bagheera viene qui rappresentato come un fratello maggiore, Baloo, invece, come un orso severo, anziano e ferito, tanto da avere la mascella storta (forse un riferimento voluto al King Kong di Peter Jackson, interpretato dallo stesso Serkis, il quale aveva la mascella piegata verso un lato).

Se Mowgli è tacciato di “diversità” poiché figlio illegittimo di due mondi, Bhoot, al contrario, viene disprezzato per il bianco del proprio manto. Tale lupo è tratteggiato come un personaggio fortemente positivo, buono, generoso, allegro e speranzoso. Morirà solo, cacciato da un bracconiere che bramava il suo “candido pellame”. Se per gli animali, Bhoot era inaccettabile, “sbagliato”, per gli uomini era tanto bello da meritare di morire. L’aspetto viene trattato da Serkis come se fosse una dannazione, una patina esteriore che attira a sé odio e crudeltà. La morte, scioccante, del piccolo lupacchiotto, offeso in un raptus di rabbia dallo stesso Mowgli, invoglia il protagonista a riprendere il suo ruolo di padrone della giungla. La crescita in Mowgli è repentina e interiore sebbene, al di fuori, egli appaia pur sempre come un ragazzino.

Anche nel cartone animato della Walt Disney viene trattata l’emarginazione, pur senza mai toccare le vette di sadismo inscenate da Serkis. I corvi che Mowgli incontra sul suo cammino si rapportano a lui poiché anch’essi si sentono esclusi.

  • Maturazione: il Mowgli adulto e il ritorno alla civiltà

Sommers in “Mowgli – Il libro della giungla” decise di rendere la maturazione del protagonista plateale. Il cineasta statunitense, nel voler raccontare la storia di un Mowgli adulto, trasse ispirazione dalla figura di Tarzan, il quale, dal punto di vista letterario, fu a sua volta ispirato da Mowgli stesso.

Un giorno, Mowgli riceve la visita di una scimmia appartenente al reame dei Bandar-log, che gli sottrae il bracciale donatogli da Kitty. Mowgli insegue l’animale sino alle profondità della giungla nera, scoprendo Anuman, una mitica città repleta di tesori giunti da ogni parte dell'Asia. Qui, Mowgli s’imbatte in un imponente Orango, sovrano dei Bandar-Log. Il primate troneggia sulle ricchezze e indossa sul capo la corona d’oro di Luigi XIV.  Sotto la “giurisdizione” di re Luigi vive Kaa, un pitone indiano. Kaa striscia come un anaconda di enormi dimensioni, celato sotto cumuli di tesori similmente ad un male tentatore quanto ripugnante. Il tremendo serpente sembra incarnare la condanna dell’avidità: chiunque peccherà di cupidigia e cercherà di profanare l’oro di Anuman morirà per “mano” sua. Una leggendaria città perduta colma di tesori è una fantasia molto cara a Sommers. Lo stesso ne “La mummia” trarrà ispirazione dalla sua Anuman per creare, cinque anni dopo, Hamunaptra, un antico sito di sepoltura in cui riposano le ricchezze dell’Egitto.

Sebbene Kipling avesse concepito le scimmie come una popolazione sovversiva ed ingovernabile, la Disney, nel 1967, creò il monarca Luigi. La figura di questo re torna a ripresentarsi nel remake live action del 2016. Il sire, in tale rivisitazione, possiede le fattezze di un mastodontico gigantopiteco, e brama di regnare su tutti i popoli liberi della giungla con il fiore rosso.

Mowgli recupererà il bracciale e, poco tempo dopo, rincontrerà Kitty. Riconoscendolo come l’amico che aveva perduto quando era bambina, Kitty accoglie Mowgli a palazzo, e lo istruisce. Le sequenze in cui il figlio della giungla impara a parlare, a leggere, a scrivere e osserva i fotogrammi riprodotti da un proiettore con il quale scoprirà il mondo e parte di ciò che si cela laggiù, lontano, al di fuori di lui, verranno reinterpretate dalla stessa Disney nelle scene del classico “Tarzan”, accompagnate dal brano “Al di fuori di me”.

La stessa Kitty svolge un ruolo molto simile a quello di Jane. Kitty è l’amore della vita di Mowgli, la traccia di un passato che egli rammentava appena e che continua a legarlo al mondo degli uomini. Restando nella città indiana, Mowgli impara molte cose di cui ignorava l’esistenza. La guerra, la violenza, le armi distruttive, la caccia senza limiti, le predazioni e le imbalsamazioni degli animali sconvolgono la coscienza dell’eroe che medita sulla cattiveria dell’agire umano. L’opera di Sommers, nella sua propensione a trattare la storia di Mowgli da un punto di vista antropocentrico, fa degli animali i garanti delle virtù, e degli uomini i veri nemici, coloro che commettono crudeltà e nefandezze, poiché i soli ad essere mossi dall’avidità. 

  • Shere Khan, da antagonista a giudice

Una volta fermati i folli propositi del vile Boone, Mowgli fronteggia Shere Khan come un suo pari e non come un usurpatore. Leggendo l’anima dell’uomo, la tigre sceglierà di non infliggergli alcun male. Ecco che Shere Khan muta, da antagonista diviene un guardiano, un giudice inclemente ma anche comprensivo per chi ha rispettato la legge della natura. Mowgli, diventato custode della giungla, sarà l’anello di congiunzione tra due regni finalmente accomunati.

Ne “Il libro della giungla” del 1967, Mowgli sconfigge Shere Khan con il fuoco. Essa, in tale versione, come desiderato da Kipling, rimane sino alla fine la massima avversaria del protagonista.

  • Un fiore rosso: fine

Sulle sponde di un lago, Kitty ritrova Mowgli: sarà adesso lei a porgergli un fiore rosso. I due si scambieranno un appassionante bacio. Con l’amore era iniziata la vita di Mowgli e con l’amore si è compiuta: la ruota ha finito il suo giro!

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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"Aquaman e Mera" - Dipinto di Erminia A. Giordano per CineHunters

Un saggio, una volta, disse che in mare non vi è taverna. Se scoppia un temporale e gli oceani ribollono di collera, i marinai non possono recarsi in un luogo vicino in cui trovare riparo. Il mare aperto può spesso tramutarsi in un deserto sconfinato, senza sabbia ma denso d’acqua. Gli antichi credevano che l’arrivo di un fortunale fosse la manifestazione dell’ira e dello sdegno esacerbati sino allo stremo in Poseidone. A tale divinità, i greci attribuivano le calamità naturali dei terremoti e dei maremoti. Sin dai tempi più arcaici, il mare custodisce, nella sua illimitata consistenza liquida, la gloria della natura, e quando esso è tumultuoso genera terrore ed impotenza nel cuore timorato di ogni navigante. Le acque adombrano tuttora un regno misterioso, che andrebbe esplorato con un sano desiderio di conoscenza.

E’ proprio una notte burrascosa quella in cui la storia di un “ramingo”, originario del mare, comincia. Mentre le onde si infrangevano sugli scogli con inquieta reiterazione e il cupo mormorio della risacca si disperdeva lungo le rive, il cielo fece sì che le nuvole piangessero lacrime di accoramento. L’oceano era irrequieto per la sorte che stava patendo la regina di Altantide, costretta a convolare a nozze con un marito che non avrebbe potuto amare. Per sottrarsi a un destino infelice, ella fuggì ma rimase presto vittima di un ferimento. Il corpo debilitato, inerme di Atlanna, trasportato dai fluttui, venne rinvenuto dal guardiano di un faro, un mortale che si adoperò a trarla in salvo.

Nel frastuono provocato dai marosi e dalla pioggia battente, si ode, forte e chiara, la voce di Aquaman, sebbene essa sia velata da una nota di rammarico che infonde, alle sue parole, una flebile mestizia. Il protagonista evoca il primo incontro tra Thomas, suo padre, e Atlanna, sua madre. La gioia intrisa in questa memoria si mescola, per lui, al rincrescimento di non aver mai conosciuto sua madre, obbligata a lasciarlo quando egli non era che un bambino. Aquaman inizia a narrare il passato citando Jules Verne, che ha scritto: “Mettete due navi in mare aperto senza vento né marea e si incontreranno". Come già precisato, è alquanto risaputo che in mare non vi siano “taverne”, ma in pochi comprendono quanto le correnti siano in grado, se lo vogliono, di far incontrare due persone, se esse somigliano a due navi che veleggiano dal remoto e sono destinate a scorgersi.Atlanna, che mai tra i fluttui avrebbe avuto scampo dal dolore, poté trovare protezione sulla terraferma, mediante l’imperscrutabile volere del mare.Thomas (Temuera Morrison) e Atlanna (Nicole Kidman) erano di due mondi diversi ma la vita, come le acque, trova il modo di unire le persone. I due si innamoreranno e, nella libertà vissuta in quei pochi ma intensi anni, conosceranno la vera felicità. Dal loro amore nascerà un figlio, a cui daranno un nome da re: Arthur. Quando Atlanna dovrà far ritorno al suo settore, il piccolo Arthur resterà col padre, che lo alleverà rammentandogli la straordinaria unicità delle sue origini, e mantenendo in lui vivo il ricordo della madre perduta.

Non a caso Arthur cita Verne, lo scrittore francese padre della moderna letteratura di fantascienza. Dietro la scorza aspra e disadorna di virilità, il primogenito della regina di Atlantide nasconde la sapienza di un dotto. Tom fece studiare ad Arthur la storia e, presumibilmente, la grande letteratura. D’altronde, come può un uomo che riesce ad avventurarsi nelle buie profondità degli abissi non conoscere e menzionare l’autore di “Ventimila leghe sotto i mari”? Arthur ha appreso la storia, e, in una sequenza del lungometraggio, dimostra di riconoscere le personalità raffigurate da alcune statue antiche che si stagliano sulla cima di un colle che sorge presso un’isola decisamente nota.

Sin dalla sua nascita, Arthur è reputato la testimonianza vivente di un miracolo. Egli è la prova di come le creature del mare e della superficie possano coesistere con reciproco beneficio. Arthur, divenuto un uomo adulto, avverte sulle sue possenti spalle il fardello d’essere ritenuto il ponte tra la terra e il mare. Oltre ciò, egli risente di venire considerato da certuni “speciale”, in quanto erede al trono di Atlantide, da altri, contrariamente, poco più che un mezzosangue.

Aquaman dipinto di Erminia A. Giordano per CineHunter

Arthur è fin da subito tratteggiato come un personaggio dilaniato da due mondi, non soltanto per quanto concerne la sua discendenza, ma soprattutto per la percezione che gli altri hanno di lui. In tanti sono soliti tacciare il protagonista con titoli e requisiti che lui non sente affatto di possedere, siano essi pregi o difetti. Aquaman, appellativo con cui nel mondo è noto, rappresenta per molti un valoroso membro della Justice League, per altri un combattente epidermico e buzzurro.  Pochi confidano che egli potrà essere un degno sovrano, se solo riconoscesse le proprie qualità, altri a malapena gli riconoscono la levatura del supereroe.

Aquaman illustrazione di Erminia A. Giordano per CineHunter

Arthur vive alla giornata, alternandosi tra consumazioni al pub della zona e imprese compiute con grande audacia. Egli non sa cosa in effetti è né quello che vorrà essere, perché avverte solamente le aspettative, le percezioni e le titubanze che tutti hanno verso di lui. Per capire cosa vorrà diventare e superare così la propria avventatezza, Aquaman necessita della vicinanza di una persona che possa mostrargli ciò che ancora non sa di se stesso.

Sarà Mera (interpretata da una bellissima Amber Heard), la sua futura sposa, a indicare al sovrano il percorso da intraprendere, per far sì che sul trono di Atlantide torni a sedere il vero regnante. Attraverso un lungo viaggio in cui i due si conosceranno fino a legarsi sempre più, Mera esorterà Arthur ad abbracciare il proprio destino.

Arthur vive oppresso dai rimorsi. Crede, infatti, che la scomparsa di Atlanna, accusata di tradimento e condannata a morte per essersi “contaminata” con un mortale, sia tutta colpa sua. I tormenti del figlio si intrecciano alle speranze del padre. Tom, giorno dopo giorno, si reca sul pontile, nella speranza d’intravedere Atlanna affiorare dal fondale. Tom non si rassegna, vuol credere che Atlanna sia ancora viva. L’influenza positiva del padre non riesce, tuttavia, a scacciare i fantasmi che torturano lo spirito di Arthur, il quale teme il suo fato da monarca. Le giornate, per entrambi, si consumano in maniera diametralmente opposta: Tom vive sperando, Arthur temendo, e nascondendo queste insicurezze dietro una patina da uomo approssimativo e rozzo. Jason Momoa fa del suo Aquaman un eroe in divenire, schietto, grossolano, sgarbato, altresì intimorito, insicuro, bisognoso di aiuto eppur valoroso, audace e votato al sacrificio; un ritratto grondante di colore e ricco di sfumature.

La regia ispiratissima ed efficace di James Wan delinea due realtà ben differenti: quella degli abissi e quella della superficie. Il regno del mare è popolato da creature straordinarie, visivamente stupefacenti. Atlantide è un reame sontuoso, posto sotto il giogo crudele di un tiranno. Il fratellastro di Arthur, Orm, aspira a diventare Ocean Master, e a scatenare una guerra contro il mondo degli uomini, colpevoli di aver rovesciato nelle acque gli orrori del loro operato. Orm è nato da una successiva relazione combinata tra Atlanna e il re di Atlantide. Differentemente da Arthur, Orm nacque da un matrimonio celebrato, riconosciuto, ma privo d’amore.

Il mare, per volere di Orm, rigetta sulle rive terrestri le immondizie degli uomini, scaglia i relitti che riposano sul suolo marino, le navi da guerra, emblemi della follia battagliera perpetrata dall’uomo. Il mare è vivo ed è testimone delle azioni meschine e crudeli dell’essere umano che ha rigurgitato, su di esso, il petrolio che avvelena le acque salate, o le sporcizie che annientano la flora e la fauna marina. Per volere del folle re atlantideo, l’oceano è pronto a vendicarsi dell’uomo.

Due elementi, come la terra e il mare, che dovrebbero vivere in simbiosi patiscono un distacco incolmabile e non riescono a comprendersi vicendevolmente. In questo scenario vi è, però, l’errore della diffidenza, del dubbio, del sospetto. Vige un odio razziale nel cuore di Orm. Egli detesta la gente della superficie poiché la considera inferiore. Anche Arthur è schivo e diffidente verso gli atlantidei perché essi non lo hanno mai fatto sentire parte di loro, giudicandolo alla stregua di un essere intrappolato in un’esistenza a metà. Persino Mera nutre sfiducia nei riguardi degli uomini, ciononostante, permanendo sulla terraferma, imparerà a ammirare le bellezze pure ed incontaminate come il verde degli alberi, il profumo dei fiori (non commestibili!), la fresca e delicata carezza del vento e il giulivo volto di una bimba che esprime un desiderio, mentre getta una monetina in un pozzo repleto di acqua tersa e magica.

Il messaggio veicolato dal film vuole ricordare quanto sia sciocco provare livore per un qualcosa che andrebbe semplicemente conosciuto a fondo. La superficie e il mare sono due domini che devono essere avvicinati. Orm è un antagonista spietato che anela alla sola distruzione, invece Aquaman ha il dono di congiungere entrambi i reami col potere di un unico tridente. Se Orm è divisione, Arthur è coesistenza ed unione, potendo egli vegliare, con egual fermezza, su tutti e due gli ambiti del pianeta.  

Come verrà evidenziato nel film, Orm non ha l’assennatezza di un nobile sire, bensì “l’insana ragionevolezza” di un despota. Lui non è incline alla dialettica, non contempla nei suoi disegni alcun suggerimento scaturito dal dialogo, ma agisce mosso unicamente dalla rabbia, uccidendo chiunque si opponga al suo volere. Arthur, seppur impavido ed impulsivo, mostra, con lo scorrere dell’avventura, di possedere una certa diplomazia. Egli fa della parola, del dialogo, un’arma infallibile al pari del suo tridente. Arthur sa dialogare con le creature del mare, comprende i pensieri, capisce i sentimenti e sa come relazionarsi con esse. Sfruttando la calma, una qualità che non credeva di avere, Arthur parla con il Karathen, un essere mitologico guardiano del sacro tridente del primo re di Atlantide. Esternando la sua bontà, Aquaman otterrà l’arma suprema con cui riuscirà a sconfiggere Orm e a ristabilire la pace.

Tale tridente conserva in sé l’essenza imperitura della spada nella roccia. Il nome di Arthur rimanda a quello di re Artù, colui che, estraendo Excalibur, salirà al potere, rivelandosi il più venerabile dei sovrani buoni e coraggiosi d’Inghilterra. Arthur si dimostrerà l’unico degno di poter brandire il potere del tridente d’oro. Atlantide assisterà al ritorno del re.

Aquaman” è un film travolgente, esteticamente ammaliante. Conta su un ritmo coinvolgente e una storia dallo sviluppo semplice ma appassionante. L’opera di Wan è un viaggio introspettivo ed identificativo, che vede un uomo dai poteri straordinari ascendere a ruolo di supereroe e regnante.

Sul suolo terrestre, dove il cielo è limpido e lo specchio d’acqua quieto e cristallino, Tom attende ancora la sua eterna compagna, Atlanna, scampata alla morte e rientrata ad Atlantide con Arthur. Ella, un mattino, emerge dalle profondità e riabbraccia il suo amato. I due, raggianti, si baciano in riva al mare. Tom è un guardiano del faro e suo figlio sarà come lui: dispenserà una luce radiosa che possa sempre schiarire le tenebre se esse caleranno, fredde e oscure, sugli oceani e sulle terre emerse.

Voto: 8/10

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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