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Alicia Vikander è Lara Croft - Illustrazione di Erminia A. Giordano per CineHunters
  • Giovane e spericolata, Lara

Al termine di una delle sua innumerevoli avventure, Lara finì per restare sepolta sotto un cumulo di macerie, quando l’ingresso della Grande Piramide di Giza, improvvisamente, collassò. Era l’atto finale di “Tomb Raider – The last Revelation”, il quarto capitolo della saga di “Tomb Raider”. Lara fu data per dispersa. In molti credettero, sbagliando, che fosse morta e che avesse infine trovato riposo tra quelle arcane tombe che, da sempre, costituirono gli intriganti scenari delle sue entusiasmanti ricerche. Venne allestito un funerale di commiato per volgere l’ultimo saluto alla scomparsa Lara Croft. A questa cerimonia presenziarono gli amici più cari, i quali deposero rose rosse ai piedi di un’imponente statua che ritraeva la ricca ereditiera in una delle sue pose più iconiche, nel mentre impugnava le sue due pistole dalle munizioni illimitate. Poco dopo quella cerimonia funebre, Winston, il maggiordomo di Lara, accompagnato dall’amico Charles Kane e da Padre Dunstan, tenne una veglia privata al Maniero dei Croft, scambiando con i convenuti interessanti aneddoti e rievocando storie riguardanti alcune delle vicende più ardimentose dell’archeologa scomparsa. In particolare, Padre Dustan ne raccontò una dalle tinte inquietanti.

Molti anni addietro, quando il religioso fu chiamato a compiere un esorcismo sulla temibile Isola Nera in cui albergava una forza demoniaca, fu seguito a sua insaputa da una giovane e spericolata Lara, la quale si nascose sul bastimento utilizzato per la oscura e misteriosa missione. Lara, a quel tempo, aveva solamente diciassette anni. Ma non era una questione d’età. Fin da quando era soltanto una ragazzina, possedeva un temperamento irrequieto, animoso e impavido. Ella non riusciva proprio a star tranquilla, a vivere serenamente tra le agiatezze della propria casa e le ricchezze ereditate dall’alto lignaggio a cui apparteneva. Già da ragazza, Lara sognava di vivere incredibili avventure, d’intraprendere viaggi esotici e di esplorare zone non ancora battute da rinomati archeologi. Ed in questa particolare avventura, ambientata nell’Isola Nera, una giovanissima Lara viveva una delle sue peripezie iniziatiche. Era solamente una ragazzina, ma il suo aspetto era già consolidato: i suoi folti capelli erano avvolti in due trecce che le scendevano giù per le spalle. Portava sulla schiena uno zainetto e non padroneggiava ancora alcuna arma. In quell’isola dalle venature orrifiche, aveva come suo solo espediente difensivo il proprio ingegno e la propria sagacia.

Lo scenario dell’Isola Nera che ho presentato con fare descrittivo rappresentava la terza avventura del quinto capitolo della saga classica di “Tomb Raider”, vale a dire “Tomb Raider – ChroniclesLa leggenda di Lara Croft”. Tale “episodio” ci permetteva d’interagire con una Lara inesperta, insicura ma al contempo decisa più che mai ad ascendere, una volta raggiunta l’età adulta attraverso questa sorta di rito d’iniziazione, al ruolo di astuta e implacabile eroina. “Chronicles”, nella sua interezza di gioco, si prefiggeva l’obiettivo di tributare, tramite il ricordo, la leggenda dell’archeologa inglese, dal suo battesimo del fuoco, avvenuto in quell’isola presidiata da un’entità maligna, fino a rinarrare le sue traversie più pericolose. E’ questa Lara Croft: una leggenda, una maschera di donna indomabile, bellissima, un’icona di femminilità indipendente, l’emblema carnale di magnetismo fisico e caratteriale convogliato in una personalità ricca di sfaccettature. Far vivere al videogiocatore un’esperienza di gioco che garantisse la possibilità d’immedesimarsi con una Lara così incerta e ancora fin troppo impreparata fu una scelta coraggiosa che venne poi ripresa del tutto dalla Crystal Dynamics, quando produsse il reboot videoludico “Tomb Raider”. In quest’ultimo videogioco, Lara andava incontro a un grosso cambiamento estetico oltre che biografico. Tale rivisitazione del personaggio fu ideata da Rhianna Pratchett, la quale volle umanizzare e rendere più fragile la figura dell’archeologa. La Lara di questa nuova saga è giovane, spaventata ed emotivamente delicata. Sarà la sua prima esperienza avventurosa e la conseguente lotta per la sopravvivenza su di un’isola remota a farle sviluppare le capacità che la renderanno celebre. Come accaduto anni or sono, con la Lara di “Tomb Raider Chronicles”, per certi versi nel “Tomb Raider” del 2013 Lara Croft adempiva il proprio percorso di sviluppo tra incertezze e fughe rocambolesche ancora su di un’isola colma di fatali pericoli.

La Lara interpretata al cinema da Alicia Vikander è del tutto ispirata al reboot “Tomb Raider” e, per tale ragione, ci racconta la prima, vera avventura di una giovane, spericolata e inedita Lara Croft.

  • Da Angelina ad Alicia

Alicia Vikaner non è la prima interprete a conformare i lineamenti del proprio viso con quelli della ricca ereditiera delle fortune dei Croft. Ad inizio Duemila, Angelina Jolie vestì i panni di Lara. Angelina Jolie dava l’impressione d’essere nata per interpretare un simile personaggio, tanto il suo aspetto quanto il suo corpo statuario e la sua presenza scenica richiamavano le fattezze dell’originale. Angelina Jolie era l’interprete di Lara Croft perfetta, calata però in trasposizioni non certo impeccabili: se il primo film poteva essere ritenuto un divertente e adrenalinico action-movie, l’atmosfera dei videogiochi veniva soltanto accennata e pertanto non trasposta fedelmente. Il secondo film a cui Angelina Jolie partecipò, ovvero “Tomb Raider – La culla della vita”, fu ancor meno avvincente del primo capitolo cinematografico. Nonostante le due pellicole fossero alquanto inferiori a quelle che potevano essere le aspettative del periodo, entrambe potevano pur sempre contare sull’avvenente presenza della diva. Angelina Jolie, col suo volto scolpito, le sue forme prosperose, e il suo talento aduso ai ruoli d’azione, incarnò l’inimitabile essenza classica della più pura Lara Croft, l’audace esploratrice che non trema difronte a nulla, colei che trionfa battendosi con ardore e che svela enigmi con l’intelligenza di chi abbina alla propria vena intuitiva una cultura scaturita dallo studio e dalla passione per l’antico.

La Lara Croft dei primi “Tomb Raider” sembrava avesse preso vita. Angelina Jolie indossava una canotta nera e un paio di pantaloncini corti che lasciavano intravedere gran parte delle cosce. Dall’attaccatura dei capelli scendeva una fluente ciocca bruna. Le sue pistole, dentro una doppia fondina stretta sui fianchi, erano sempre pronte per essere estratte.

Alicia Vikander personifica, invece, la Lara Croft degli ultimi anni e se venisse confrontata al personaggio visto nel “Tomb Raider” del 2013 e nel suo seguito “Rise of the Tomb Raider”, risulterebbe evidente come l'attrice svedese sia una scelta più che azzeccata. La Lara dei recenti “Tomb Raider” è un’eroina fanciullesca alle prese con forze oscure, le quali, palesandosi in tutta la loro brutalità, spezzano l’innocenza della sua giovinezza, trascinandola in un modo fatto di terrore e sgomento. Ella è altresì una donna timorosa e proprio nel domare tale paura riesce a scovare quell’ardore che la contraddistinguerà in futuro. Questa particolare Lara Croft è un’eroina in divenire, come quella rappresentata in quell’episodio di “Chronicles” cui facevo cenno, e a differenza della sua incarnazione precedente, deve formarsi. Quale dovrebbe essere, dunque, la migliore Lara Croft? Quella di Angelina Jolie che si rifà alla veste indomita, seducente e tradizionale del personaggio o quella di Alicia Vikander, che assume i panni di una Lara acerba ma vigorosa? Vale il medesimo giudizio che bisognerebbe adoperare per i videogiochi della saga di “Tomb Raider”. Poiché sono tutte proiezioni di un medesimo ideale, figure di una stessa ispirazione, non esiste una Lara migliore dell’altra. Ciononostante, potrei smentirmi io stesso e ammettere che esiste davvero. La migliore sarà sempre colei che preferite.

E’ e sarà sempre una scelta soggettiva. Se chi legge è un appassionato di “Tomb Raider” capirà perfettamente quanto sto scrivendo. Vi è sempre un “Tomb Raider” che custodiamo nel cuore più di un altro, e assieme a quel titolo, c’è quella specifica Lara che ha rapito il nostro cuore ancor più delle altre. Nel corso degli anni si sono succedute decine di Lara Croft e ognuna di esse aveva un che di speciale che la rendeva diversa dalle altre e, per tale ragione, unica.

Chi sta scrivendo queste righe di recensione vuole ammettere che la sua Lara prediletta resta quella di “Tomb Raider – Anniversary”. Sarei, dunque, orientato a scegliere sempre la Lara Croft dal look classico, eppure, come sono riuscito ad apprezzare i recenti capitoli videoludici, ho potuto gustare l’adattamento cinematografico del 2018 senza pregiudizi di ogni genere, sperando di poter essere rapito ancora una volta da quest’ultima reinterpretazione del mito di Lara Croft.

  • Lara Croft torna al cinema

Il “Tomb Raider” diretto dal norvegese Roar Uthaug alza il sipario mostrandoci un’inconsueta Lara, intenta a battersi su di un ring in una palestra di periferia. Non è una dottoressa in archeologia, come ognuno di noi si attendeva, anzi tutt’altro, ella non frequenta neppure l’università, sbarca il lunario facendo piccoli lavori saltuari e non è per nulla interessata a raccogliere le redini dell'azienda di famiglia. Lara cerca, in maniera infruttuosa, di trovare il suo posto nel mondo. Inizialmente, Lara pare assumere i contorni di una ragazza infelice e ribelle, che fugge dalle imposizioni dettatele dagli adulti. Sebbene siano trascorsi 7 anni dalla scomparsa del padre, non riesce a darsi pace e desidera ritrovare l’adorato genitore. Quando rinverrà un indizio lasciatole dal padre, Lara partirà alla sua ricerca, in un viaggio che la condurrà a raggiungere un'isola misteriosa al largo delle coste del Giappone, nel bel mezzo del "Mare del Diavolo". Sara nuovamente un’isola sconosciuta l’habitat prescelto per la nascita e la formazione di un simbolo che ha nome in Lara Croft. Scortata dal capitano della nave Lu Ren, anch’egli orfano di padre, Lara imboccherà, infatti, un percorso che la plasmerà come spericolata archeologa a caccia di reperti antichi e città perdute.

Se l’inizio del film ci permetteva di osservare una protagonista fastidiosamente diversa dalla sua controparte originaria, quasi inverosimile e atipica in quelle sue lotte con i “guantoni da boxe” e in quelle sue corse in bicicletta tra le strade cittadine, la rotta viene fortunatamente ben presto invertita. Il lungometraggio di Uthaug rende onore all’omonimo videogioco del 2013 da cui trae il proprio sviluppo narrativo, portando in scena una trama molto simile a quella del reboot videoludico. Le inquadrature imitano il gioco e le situazioni in cui Lara rischierà la vita e dovrà salvarsi sempre per il rotto della cuffia, compiendo salti prodigiosi o dovendo far fronte a cadute vertiginose, rimandano ad altrettante sequenze spettacolari riprese dal videogioco e trasposte in live-action. Gli elementi estrapolati dallo stile di gioco di “Tomb Raider” ci sono tutti: Lara camminerà su assi posizionate in bilico su dirupi che cedono nel vuoto, scalerà impervie alture con l’ausilio della sua picozza, si mimetizzerà sfruttando la vegetazione che la circonda e, ancora, si muoverà in silenzio sorprendendo di soppiatto i suoi nemici e risolverà, infine, i rompicapi più ostici. “Tomb Raider” è un buon adattamento filmico se consideriamo il suo essere tratto da un videogioco, merce piuttosto rara se dovessimo prendere in esame le recenti trasposizioni ispirate ai titoli per console più famosi. I principali difetti del film sono comunque imputabili alla caratterizzazione dei personaggi di supporto, decisamente scialba, e ad alcuni sviluppi della storia, i quali non potranno che essere ritenuti banali o fin troppo semplicistici.

Il “Tomb Raider” con Alicia Vikander parla di sopravvivenza. Ed è proprio per sopravvivere che Lara sarà costretta a uccidere un brutale assalitore: tale accadimento costituirà per lei il primo assassinio. Come veniva mostrato in “Tomb Raider – Anniversary”, quando Lara si trovava costretta a prendere la decisione di uccidere un suo cruento avversario, anche nel film del 2018 questo evento segnerà una crescita nella freddezza dell’eroina. L’iniziale turbamento e lo shock per quanto ha dovuto commettere verranno espressi da una percepibile sofferenza. Non a caso una simile scena, necessaria per dare il via allo sviluppo della protagonista, precederà per Lara il ritrovamento dell’adorato padre, figura cardine per la completa evoluzione della donna.

E’, infatti, il rapporto tra Lara, intesa questa volta non come eroina ma semplicemente come figlia, e il padre ritrovato ad essere al centro della narrazione. Lara ricorda come il padre era solito, prima di partire per un suo lungo viaggio, salutarla dandole un bacio sulla fronte. Rammenta sempre che il papà avvicinava le sue due dita alla bocca e poi, quelle sue stesse dita le posava delicatamente sulla fronte della piccola figlioletta, come a volerle lasciare un bacio impresso col tocco di una mano. Lara continua ad essere profondamente affezionata al papà, ed è legata a quei ricordi e a quel gesto paterno in particolare; cerca quasi di accarezzare la figura di Richard Croft, muovendo le dita sullo schermo della camera quando osserva il padre parlarle in una vecchia videoregistrazione.

La Lara di questo “Tomb Raider” passa dall’essere una ragazza emotivamente sensibile e caratterialmente testarda al divenire una donna forte, intrepida, pronta a lasciarsi il passato alle spalle. E questo potrà accadere soltanto una volta che Lara e Richard si rincontreranno. E’ la crescita del personaggio principale il fulcro del film, un’evoluzione che avverrà attraverso il patimento di una sofferenza fisica invece che mediante una maturazione psicologica. Le cadute rovinose al suolo, le ferite riportate, le sofferenze tollerate, lo sporco del terreno, il fango che le imbratterà più volte la pelle, tutto questo servirà a far accrescere in lei una forza ma soprattutto una resistenza che saprà di eroico. Sul finale, la perdita, questa volta definitiva, del padre guiderà Lara al culmine del proprio sviluppo. Nella dolorosa morte dell’amato genitore ella troverà il senso della sua vita; un’esistenza tradotta in una missione senza fine e da adempiere sotto l’ispirazione di quel “tipo di Croft” a cui lei si è sempre ispirata. Alicia Vikander, indossando una canotta, un paio di pantaloni lunghi e brandendo con abilità un arco e una picozza, le medesime armi utilizzate dalla Lara del gioco prodotto dalla Crystal Dynamics, diventa pienamente l’incarnazione prescelta ed efficace della Lara contemporanea, meno indipendente e molto più sensibile emotivamente. Come un tempo Angelina Jolie fu di per sé la perfetta Lara Croft originale, Alicia si prende meritatamente la scena, assumendo i panni di una Croft atletica, snella e impavida, decisa come non mai a farsi le ossa una volta per tutte.

Tomb Raider” è un bel film d’azione, che verrà apprezzato appieno soprattutto da chi, come il sottoscritto, ha giocato al videogioco da cui è tratto. E’ un lungometraggio che vuol principalmente divertire ma anche emozionare con spontaneità, toccando le corde giuste nella trattazione del tema riservato all’affetto famigliare. “Tomb Raider” è una pellicola semplice e ordinata, da guardare con tanto di pop-corn. E’ un’opera che somiglia ad un bacio dato sulla fronte, dolce, sincera e affettuosa.

Voto: 7,5/10

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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Malefica - Illustrazione di Erminia A. Giordano per CineHunters

 

La fiaba della bella addormentata nel bosco viene quasi totalmente rivisitata in questa originale trasposizione, dove la giovane Aurora non è più la protagonista del racconto quanto lo “strumento” in cui si incontrano e si scontrano le due forze che alimentano maggiormente l’animo di Malefica: l’amore e l’odio.

Malefica è una fata dai penetranti occhi color ambra. Ella è in grado di volare per mezzo di due grandi ali che si dipanano largamente alle sue spalle, il suo volto è ornato da gote pronunciate e spigolose, e la sua fronte è accentuata da due imponenti protuberanze ossee simili a delle corna. Il mondo incantato in cui vive la piccola e dolce Malefica è quello della brughiera, una foresta ai margini dello sfarzoso castello del reame degli uomini. La prima contrapposizione che il film desidera evidenziare è dunque quella dei confini che separano il regno degli uomini da quello delle creature magiche. Tra i meandri di quel bosco, Malefica incontra un giovane chiamato Stefano, con cui nascerà una profonda amicizia che in età adulta si trasformerà in amore. Stefano, però, accecato dalle sue ambizioni di potere, non esiterà a tradire la fata che un tempo diceva di amare. Venuto a conoscenza dell’odio che il Re riserva verso di lei, rea di averlo sconfitto durante l’assalto dei soldati alla foresta incantata, decide di agire meschinamente alle spalle della donna per assicurarsi la successione della corona. Stefano strappa via le ali della fata, donandole al monarca che lo designerà, poco prima di spirare, futuro erede al trono del regno.

Malefica, distrutta dal dolore e angosciata dal tradimento cui è stata vittima, giura vendetta sulla figura del nuovo sovrano. Il giorno in cui il Re e la Regina festeggiano la nascita della loro figlia nella grande sala del trono, Malefica si presenta dinanzi ai reali, scagliando sul frutto della loro unione la celebre maledizione che segnerà il destino della nascitura: appena avrà compiuto sedici anni, la piccola Aurora si pungerà il dito con il fuso di un arcolaio e cadrà in un sonno eterno, finché il vero amore non la risveglierà con la pura levità di un bacio. Ad onor del vero, il primo maleficio lanciato dalla fata cattiva nel capolavoro della Disney datato 1959 prevedeva la morte della protagonista, ma in quest’ultima trasposizione l’indole oscura di Malefica viene notevolmente affievolita già per quel che concerne la formula dell’oppressivo incantesimo che graverà sul futuro della bimba.

La regia di Robert Stromberg e la sceneggiatura curata da Linda Woolverton ribaltano la fiaba mostrandocela dal punto di vista dell’antagonista. Malefica, che nella fiaba viene mossa dal solo desiderio di arrecare dolore alla neonata, viene qui mostrata come una creatura divenuta malvagia a causa dell’agire fraudolento dell’uomo. Assistiamo dunque a un semplice rovesciamento della medaglia in cui ciò che reputavamo malvagio è in realtà più buono di quel che si creda, e un elemento in cui confidavamo le nostre aspettative di bontà è in verità un crudele ingannatore.

“Maleficent” però non va compreso come una vera chiave di lettura della fiaba quanto una rivisitazione che reca in sé un inevitabile cambiamento. “Maleficent” non è la vera storia de “La bella addormentata nel bosco” quanto una nuova versione della suddetta fiaba, tant’è che molti dei punti cardine della storia conosciuti dai più vengono notevolmente stravolti. Starà allo spettatore abbracciare quale versione riterrà più veritiera, se quella classica o quella appartenente alla cinematografia più moderna; dopotutto, le stesse fiabe, sin dall’alba dei tempi, sono soggette a restrizioni o a inaspettati cambiamenti ogni qual volta vengono raccontate da un cantastorie abile nell’arte dell’improvvisazione.

Angelina Jolie è l’interprete di Malefica. Il volto candido ma, se l’occasione lo richiede, anche cupo della diva appare scolpito in un’espressività sempre mutevole, sottomesso a un dualismo che tortura l’animo della fata, la quale si muove a metà tra quella bontà che fa parte del suo essere sin dalla nascita e quell’odio con cui è stata, invece, costretta a convivere. Angelina Jolie si presta splendidamente alla parte, divertendosi ad essere sia l’eroina che la nemica di una storia non esente da sviluppi illogici.

La “crudele” Malefica si prende cura della piccola Aurora mantenendosi a distanza, osservandola con dedizione durante la sua crescita e addirittura proteggendola dalle insidie del bosco come una vera e propria fata madrina. Aurora diviene il punto in cui convergono i sentimenti di odio e amore provati dalla fata, che si legherà sempre più alla ragazza fino a provare per lei un profondo affetto materno.

Il film trabocca di effetti speciali fin troppo invasivi tanto da risultare, il più delle volte, esagerati e esecrabili. L’uso della computer grafica non sempre viene sfruttato per fini narrativi o sbalorditivi, e il regista finisce per calcare troppo la mano, rendendo il più della scenografia platealmente finto. La boscaglia possiede una fascinosa impronta barocca nel suo aspetto fantastico, tetra ma allo stesso tempo luminosa, come se riflettesse lo stesso animo di Malefica, prigioniera di una costante contrapposizione che poggia sul semplice dualismo tra bene e male, tra luce e tenebra. 

Questo adattamento risente di una certa negatività riservata alla figura dell’uomo, apparentemente incapace di amare. Stefano è il vero antagonista in questa sorta di traslazione, e il principe azzurro, colui che giunge al castello per risvegliare dal sonno eterno Aurora non è più il salvatore della principessa nella sua ora più disperata. Il principe non riesce infatti a risvegliare la giovane col suo bacio. Malefica, dopo ciò che ha subito, crede fermamente che il vero amore non esista ma dovrà ricredersi quando sarà ella stessa a rompere il maleficio, posando le sue labbra sulla fronte di Aurora, con il medesimo affetto e l’egual amore di una vera madre a cui manca solamente…un figlio per essere tale. Un finale che farà strabuzzare gli occhi e che procurerà un certo shock nel cuore dei puristi ma che non può che venire apprezzato quanto meno per la sua originalità. L’unico uomo a poter vantare caratteristiche eroiche nel film è Fosco, fedele compagno di Malefica, il quale però è in verità un corvo che viene costantemente trasformato in tanti altri animali dalla stessa fata oscura. Le fattezze umane di Fosco sono manifestazioni d’effimera valenza e quindi, anche lui, sembra dimostrare come i veri uomini presenti nella storia non siano misericordiosi come invece si rivelerà Malefica sul finire della vicenda. 
“Maleficent” è un film che esalta la forza femminile, offrendo una panoramica introspettiva di indubbio valore sulla psicologia della protagonista, ma perde qualcosa nel suo sviluppo narrativo, sembrando alle volte poco coerente con se stesso. Malefica si pente troppo in fretta del maleficio da lei perpetrato, la sua aura di malvagità si disfa ancor prima di formarsi, e la causa scatenante del suo odio non sembra giustificare il perché dovrebbe accanirsi sulla piccola piuttosto che su Stefano stesso. Delle apparenti incongruenze che possono essere ignorate se volgiamo la nostra attenzione alla storia classica che, inevitabilmente, doveva essere rispettata. I restanti personaggi del racconto soffrono la limitatezza dello spazio concesso loro, arrivando a sfiorare il non invidiabile appellativo di “macchiette”, inserite al modesto scopo d’esigenza di trama.

“Maleficent” fa breccia nel cuore degli spettatori più per la spiccata personalità della protagonista che per la storia in sé, ma in un’opera concepita proprio per far cambiare l’opinione del pubblico verso un personaggio così tristo, il feeling che può instaurarsi tra gli spettatori e Malefica non può che essere il conseguimento del traguardo più importante.

Voto: 7/10

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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