"Totò" - Illustrazione di Erminia A. Giordano per CineHunters
“Al mio funerale sarà bello assai perché ci saranno parole, paroloni, elogi, mi scopriranno un grande attore: perché questo è un bellissimo Paese, in cui però per venire riconosciuti qualcosa, bisogna morire.”
Questa frase di Totò fu pronunciata da Franca Faldini, compagna dell’artista, il giorno delle sue esequie.
Nonostante il genio della comicità avesse sempre espresso il desiderio di avere un funerale semplice ne ebbe addirittura tre. Il primo nella capitale, il secondo a Napoli, sua città natale, e il terzo ancora a Napoli, nel suo quartiere. Era nato nel febbraio del 1898 e ci ha lasciati il 15 aprile del ’67, ben cinquant’anni fa, proprio come oggi.
Antonio De Curtis, in arte Totò, non a caso soprannominato “il principe della risata”, è stato un attore simbolo dello spettacolo comico in Italia, malgrado sia stato spesso non apprezzato adeguatamente dalla maggior parte dei critici cinematografici di quel tempo. Si riscattò in largo modo successivamente, dopo la sua dipartita, tanto da risultare ancora oggi il genio comico per eccellenza, l’artista umoristico italiano più popolare di sempre.
Di temperamento solitario e malinconico, Totò possedeva una straordinaria mimica facciale, e non solo. La sua particolare configurazione del viso, spiccatamente asimmetrica, e la sua espressione a volte svanita, quasi assente, circostanziata ma mai doma, le conferiva un’austera fragilità. I suoi gesti, i suoi cenni del capo, le sue movenze snodate, sciolte, ma sempre aggraziate e mai disarmoniche, lo rendevano parte integrante del ruolo che stava interpretando. Per la verità, Totò non interpretava, Totò era. La viveva appieno quella parte. In una certa occasione ebbe a dire, più o meno così: “Io non sono un comico, e neppure un capocomico! Io sono Totò! Tutta un’altra cosa!”
Le sue prodigiose qualità mimiche, i suoi occhi esternavano le più particolari e fuggevoli espressioni, la sua postura si adeguava a rendere visiva qualsiasi rappresentazione mentale con estrema versatilità. Ogni sequenza di film, ogni scena di commedia, di rivista o d’avanspettacolo veniva a essere impreziosita dalla presenza di un artista a tutto tondo come Totò. Le sue smorfie, i suoi lazzi, le mezze frasi, i sottintesi, mai smodati, e i giuochi di parole lasciavano trapelare la sua vera, autentica, cristallina vis comica. Una comicità, non di quelle che agiscono dentro e fanno solamente accennare qualche sorriso, ma di quelle che innescano risate forti, trascinanti, contagiose.
Come si fa a non ridere davanti a quel prezioso cameo rappresentato dalla dettatura della famosa lettera indirizzata alla fidanzata del nipote, nel film “Totò, Peppino e la malafemmina”, in cui spicca anche un talento recitativo come Peppino De Filippo?
Totò fu, in sostanza, un autodidatta, votato all’arte dalla sua stessa indole e dalla sua marcata predisposizione, ma soprattutto dal suo istinto, che lo portava a creare, inventare, piuttosto che recitare. Riuscì a far svanire ogni riserva, palese o mascherata, della critica e del pubblico sul piano di grandezza del suo ingegno d’artista.
Il principe della risata seppe convivere sempre con la sua istintiva insofferenza e la sua tagliente ironia, mettendo in risalto i pregi e i difetti degli uomini e della società, giungendo persino a riscrivere e improvvisare i testi prodotti dagli autori. Le indiscusse doti di Totò, la sua comicità surreale, il modo d’inventare e deformare i vocaboli, contribuirono a collocarlo un gradino più su dei tanti comici del panorama artistico di quel tempo. Alcune sue celebri battute, così come certe espressioni-mimiche e gag esilaranti sono entrate prepotentemente nel nostro dire di ogni giorno.
Totò fu furbo e ingenuo al tempo stesso, cosa non troppo strana per una personalità poliedrica come la sua. Ed è proprio per quel suo modo di porsi che continuerà a essere per sempre imitato, senza però la benché minima possibilità di riuscita.
La sua vena comica non l’abbandonò neppure in prossimità della morte. Proprio la sera del 13 aprile del ’67, due giorni prima della sua dipartita, confessò al suo autista Carlo Cafiero: “Cafiè, non ti nascondo che stasera mi sento una vera schifezza”.
Totò è stato unico, e tale resterà! Per sempre!
Autore: Emilio Giordano
Redazione: CineHunters
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