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Il profumo del mare effluiva dalla sua superficie increspata. La spuma bianca veniva percorsa dal navigare compassato di una barca a vela, sospinta da una leggera brezza. Sulla poppa, se ne stava comodo a reggere il timone un uomo dal viso fortemente espressivo. Davanti a sé, costui, improvvisatosi “marinaio” per l’occasione, osservava un’esile figura di donna, indagandola col suo sguardo schivo e riservato. Costei, piuttosto alta e minuta, aveva i capelli corti, due occhi grandi da cerbiatta e un dolce sorriso che, di rado, smetteva di elargire a chi le rivolgeva attenzione. I due, tra una parola e l’altra, si misero a discutere su Parigi. Un argomento inusuale quello relativo alla famosa città europea, cionondimeno estremamente ricco di significati per entrambi.

Sabrina, la ragazza, era già stata nella capitale francese e seguitava a sognarla ardentemente. Linus, l’uomo, confessò d’essersi soffermato a Parigi soltanto una volta e per pochi minuti, in attesa di prendere un aereo verso tutt’altra meta. D’un tratto, il disco scelto da Sabrina cominciò a far risuonare una melodia romantica che Linus disse di rammentare con dolore. Quel motivo, infatti, ricordava a Linus una donna che egli ammise di amare profondamente. Udendo tale sentita confessione, Sabrina dedusse che Linus non era affatto un comune imprenditore solitario, freddo, innamorato soltanto della sua bella scrivania di mogano, ma una persona ricca di sentimento. Sabrina, allora, gli fece una confidenza: disse che anch’ella fu tanto innamorata e che andò a Parigi per dimenticare. Secondo il detto della damigella, Parigi esiste in particolar modo per cambiare vita, per spalancare le finestre di una casa buia e fare entrare “La vie en rose”. Linus obiettò a quanto detto dalla giovane: “Parigi è per gli innamorati, e forse è per questo che io ci sono rimasto per così poco”.

Si conclude con questo scambio di battute la scena più autenticamente vera, pur considerando la sottile bugia proferita da Linus, di “Sabrina”, uno dei grandi capolavori della filmografia di Billy Wilder. Linus mentì in questa sequenza, e, allo stesso tempo, disse il vero. Lui non aveva amato alcuna donna, sino a quel momento. Volle inventare una piccola fanfaluca per attrarre su di sé i pensieri di Sabrina, la ragazza di cui Linus comincerà ad innamorarsi sempre di più. Usò una piccola bubbola per rendere la ragazza consapevole della sensibilità che man mano emergeva in lui.

Quando vidi questo spezzone e ascoltai tale parlato, ripensai a “Casablanca”. Linus, interpretato dal mitico Humphrey Bogart, ammise d’essere stato nella città parigina per un breve arco di tempo. Curioso, pensai. Un altro personaggio legato indissolubilmente alla figura di Bogart visse, proprio a Parigi, l’amore più intenso della sua esistenza.

Nel corso della sua carriera, Humphrey Bogart indossò molte maschere. Talune di esse erano tragiche, eschilee, sofoclee, euripidee, altre, invece, ironiche, sprezzanti, aristofanee. Bogart incarnò personaggi variegati eppur simili nel loro temperamento nobile: fu il buono, l’eroe, il romantico e, di rado, anche il cruento, il reo, il malvagio. Talvolta, le sue maschere assumevano i connotati di una faccia crucciata, malinconica, altre volte i lineamenti marcati di un rude e di un arcigno. La maschera che “Bogie” calzò alla perfezione, come se essa fosse stata modellata direttamente sul suo viso, fu quella di Rick Blaine in “Casablanca”. In questo film, Parigi rappresenta lo scrigno in cui è custodito il sentimento assoluto del protagonista.

Il prologo del lungometraggio sancisce sin da subito l’ambientazione della storia: “All'inizio della Seconda guerra mondiale, molti occhi nell'Europa oppressa si volsero pieni di speranza o di angoscia verso la libera America. Lisbona divenne il grande centro d'imbarco, ma non tutti erano in grado di raggiungere direttamente la capitale portoghese. Molto spesso ai profughi rimaneva la sola alternativa di un lungo, tortuoso giro da Parigi a Marsiglia. E attraverso il Mediterraneo, a Orano. Poi, in treno, o in auto o a piedi dalle coste dell'Africa, a Casablanca, nel Marocco francese. Là i più fortunati, col denaro, le relazioni o la buona sorte, ottenevano il visto di partenza e correvano a Lisbona, e da Lisbona all'America. Ma gli altri aspettano a Casablanca, aspettano, aspettano, aspettano...”

Casablanca costituiva, in quel tempo, un rifugio, la tappa di un arduo pellegrinaggio.  Rick era uno degli “altri”, uno dei “tanti” descritti astrattamente nella “prefazione” della pellicola. Rick attendeva, ma la sua era un’attesa senza esito. Non era un viaggiatore che cercava disperatamente di tornare a casa o di trovare un modo per raggiungere il continente americano, laggiù, oltre l’oceano, dove la guerra era ancora un’eco lontana. Rick viveva a Casablanca, e lì sarebbe rimasto. Tutti a Casablanca lo conoscevano. Egli era il proprietario di un locale alquanto in voga in città, il Rick's Café Américain. Del suo trascorso, Rick non concede alcun accenno. Egli appare cinico, disinteressato, le questioni politiche non gli turbano il cuore, i dissidi bellici tra le fazioni europee non disturbano le sue riflessioni. Rick è un solitario, un anacoreta costretto a restare confinato tra la folla. Nel suo locale, sera dopo sera, dozzine di persone giocano, scommettono, discutono e sorseggiano drink; lui, beh, se ne resta in disparte, osservando tutti come un falco vigile che non scende mai in picchiata. Mentre Rick fuma isolato, una donna gli si avvicina, domandandogli che fine avesse fatto la sera prima. Rick, volutamente, replica di non ricordarsene.

A quel punto, la fanciulla gli domanda: “Ci vedremo questa sera?” – E Rick borbotta: “Non faccio mai piani così in anticipo.”

Ci fu un tempo, però, in cui Rick era solito preparare piani a lungo termine. Spesso, queste sue volontà erano dettate dagli istinti, dall’impeto, dal desiderio ardente di concretizzare un sogno. Di sogni e ambizioni Rick non si sfamava più. Di colpo, una musica echeggiò nell’ampia sala. Il tempo scorreva inesorabile ma parve rallentarsi ad ogni nota emessa dal pianoforte. Rick raggiunse il musicista, il suo caro amico Sam, rimproverandolo aspramente. “Sam, non ti avevo detto di non suonarla più?”. Fu in quell’attimo che Rick tornò a rimirare un volto che mai aveva scordato. Ilsa era lì, nel suo locale, seduta attorno ad un tavolo, in compagnia d’un altro uomo. Fu lei a implorare Sam di suonare quell’armonia, di intonare quel testo. Rick restò basito, tra tutti i ritrovi del mondo Ilsa era giunta proprio nel suo. Casablanca era una terra di arrivi e di partenze, un luogo di incontri, di saluti, un centro urbano di arrivi e di sbarchi, una fermata fondamentale per raggiungere un’America idealizzata, una Terra Promessa immaginata in cui sarebbero dovuti scorrere latte e miele.  Proprio in quell’angolo del mondo, Rick rivide la persona più importante della sua vita.

Rick conobbe Ilsa nella capitale francese. Si innamorò istantaneamente di lei, dei suoi occhi puri, del suo volto delicato. Allora, il canto di Sam cadenzava i passi di un amore sbocciato in tempo di relativa pace, in Francia. Rick era pronto a prendere in moglie Ilsa. Organizzò la partenza in treno, avrebbe così raggiunto la meta finale di una vita appagata. Tutto svanì in una notte. La pace venne rotta, le truppe tedesche invasero la metropoli parigina, Ilsa andò via, si riconciliò col marito che aveva creduto morto. Rick restò solo. Il sole raggiante che illuminava la sua sagoma nei giorni antecedenti si dissolse dietro un nembo grigio. Venne la pioggia, Rick indossò un impermeabile e, alla stazione, scoprì d’essere stato abbandonato. Salì sul treno, lentamente, non curandosi della pioggia che cadeva violenta dal cielo, e andò via. Non raggiunse mai la sua meta ideale, si fermò a Casablanca. Sarebbe rimasto lì, in quel luogo da cui tutti scappano.

Casablanca” è l’evocazione di una reminiscenza mai sopita o dimenticata. Con le sue atmosfere nostalgiche, con le sue colorazioni in bianco e nero, l’opera filmica non fa che celebrare un ricordo remoto che torna ad essere rivissuto nel presente. Tale memoria viene scandita, ritmata, dal canto musicale “Mentre il tempo passa”. La vita di Rick e di Ilsa è una pellicola che scorre via, senza mai arrestarsi nella sua esecuzione, un percorso che oscilla tra l’attimo presente ed il vissuto passato. Il tempo avanza inarrestabile, non può essere fermato, carpito, accomodato. Eppure, durante l’esecuzione di una canzone, mentre il tempo vola via, si possono vivere attimi presenti che diverranno immortali. I ricordi sono finestre aperte sul passato, fili pendenti da annodare. La reminiscenza di un passato diviene contemporanea quando, ripensandola, si avvertono le medesime sensazioni, le stesse emozioni di allora. Quel riecheggiamento che ha genesi nell’avvenuto, torna nell’attuale conferendo ad esso l’egual sentimento. I ricordi sono come una bella canzone, basta solo riviverli, “riascoltarli”, per abbattere le barriere del tempo che fugge via, ed estraniarsi da esso.

Rick fa lo stesso: chiede a Sam di suonare per lui. Reggendo tra le mani un bicchiere, ascoltando quel canto, Rick rivive il suo passato. Egli non ha mai smesso di amare Ilsa, e lei, pur essendo legata al proprio consorte, continua ad essere combattuta dall’amore che nutre nei riguardi del protagonista. L’amore, come una canzone, può essere eterno, non estinguersi mai come una fiamma imperitura che continua ad ardere, rinvigorita anno dopo anno, intonazione dopo intonazione.

Quando Rick rivede Ilsa, il suo cuore sussulta più volte come colpi di cannone. Ilsa ha cambiato irrimediabilmente la sua vita, lo ha avvicinato alla vera felicità, e al contempo alla più inconsolabile delle tristezze: lo ha fatto sentire vivo. Dal suo addio, Rick è cambiato. Ha smesso di curarsi realmente di se stesso così come del prossimo. Eppure, sotto la sua scorza dura, algida, impenetrabile, Rick cela un cuore rotto ma pronto più che mai a tornare a funzionare.  Sarà proprio il ritorno di Ilsa a far affiorare la sua straordinaria umanità e la sua innata lealtà. Rick si prodigherà per aiutare gli indifesi, i bisognosi del suo locale, ideerà anche un escamotage per mettere in salvo la sua amata. L’amore reale e rivissuto, sebbene arrecò sofferenza, trova sempre il modo di far emergere la parte più bella di un vero innamorato. Lo smoking bianco che Rick indossa esterna la purezza e la bontà del suo animo. Rick rinuncerà al suo smoking soltanto alla fine, quando sceglierà di vestire l’impermeabile beige, il medesimo che aveva quando si separò da Ilsa.

All’aeroporto, Rick è in procinto di dirle addio per sempre. Il colore dell’impermeabile emana il grigiore di un cuore bianco incupitosi per la tristezza provata; un cuore ferito ma decisamente audace. Rick ha trovato il modo di far fuggire via Ilsa e suo marito, di metterli in salvo su di un aereo. Avrebbe potuto salirci lui stesso con lei, o far andar via da Casablanca soltanto lo sposo della sua innamorata. Ma Rick era conscio che le promesse fatte la sera precedente, i giuramenti, gli amori dichiarati, un giorno, nel cuore e nello spirito di Ilsa, si sarebbero dileguati, sostituiti da un rimorso, un rammarico. Rick agisce nobilmente, non si cura di ciò che converrebbe fare a lui, bensì di ciò che è giusto fare.

La nobiltà d’animo di Rick e di Bogart, personaggio e persona divenuti un tutt’uno, trova nell’adempimento della scelta finale di “Casablanca” la massima espressione. Rick rinuncia all’amore, alla vicinanza, all’affetto, alla donna. Vivrà in un presente pericoloso, a Casablanca, rischiando la vita, ma avrà ancora i suoi ricordi, gocce di pioggia che mai svaniranno nel vento come lacrime versate. Rick ed Ilsa si desiderano e si amano ma devono dirsi addio, impossibilitati a vivere il loro amore poiché schiacciati da obblighi e da doveri che li costringeranno a restare per sempre separati. Dinanzi all’amarezza della vita e della rinuncia, resta Parigi.

Rick possiederà sempre Parigi. Ilsa stessa avrà sempre Parigi. In “Sabrina”, il personaggio di Audrey Hepburn disse che a Parigi, la città degli innamorati, ci si deve “procurare” un po' di pioggia: una pioggia che non sia troppo forte però. La pioggia è molto importante, secondo Sabrina, poiché essa dà a Parigi un profumo speciale di castagni bagnati. Rick, in “Casablanca”, vide coi suoi occhi la pioggia parigina, la senti lambire violentemente il suo capo e il suo vestiario quando Ilsa lo lasciò solo e sconsolato. Ciononostante, a Parigi, egli custodirà sempre le sue memorie più liete e dolorose: le sue memorie umane. Il ricordo di un amore vero, provato soltanto per pochi giorni, allieta la ferita di un amore reciso sino a renderla dolcemente tollerabile, come una cicatrice a cui ci si è affezionati, che è divenuta parte di sé, nel volgere della maturazione.

E’ meglio aver amato e perso che non aver mai amato” – disse Alfred Tennyson, e Rick lo capì quella notte.

Lasciando andar via la sua adorata, egli incarnò gli animi poetici e sofferenti di tutti gli innamorati che mai riuscirono ad avere la loro diletta. Quando l’aereo decollò, Rick orientò lo sguardo su, verso la volta celeste notturna. Come Dante Alighieri, Rick vide Ilsa, la sua Beatrice, volare via verso un paradiso di pace e serenità. Lui rimase a terra, a rimirare le stelle. Sostò solitario, e, quasi certamente, riprese a rimembrare la sua innamorata, come il Leopardi rimembrava la “sua” Silvia.

Voto: 10/10

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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