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In occasione dell’uscita nelle sale del film “Così parlò Luciano De Crescenzo”, un leggero e appassionante documentario sulla sua vita e sulla sua eccezionale carriera, vorrei dedicare il mio personale omaggio allo scrittore partenopeo.

Curiosando da bambino tra le videocassette di casa, ricordo perfettamente di essermi imbattuto in una dalla copertina davvero particolare; un signore dalla barba brizzolata, con le braccia conserte, accennando un sorriso, reclinava leggermente il capo, mentre puntava il suo sguardo sornione verso chi, dall’altra parte, lo osservava. Giù in basso si leggeva: “Le dodici fatiche di Eracle” e “Il Mito di Teseo e Arianna”. La videocassetta in questione faceva parte di una collezione completa dedicata alla mitologia greca, che mio padre, anni prima, aveva acquistato. Leggendo “Eracle” non capii immediatamente di cosa si trattasse, chiesi quindi una spiegazione a mio padre e la ottenni. Concedetemi la vostra pazienza, da bambino conoscevo in primis la figura di Hercules grazie al cartone della Disney, grazie alla serie TV, e ad altre trasmissioni sull’argomento. Beh, certo, quale bambino non sogna di essere almeno una volta nella vita Hercules? Un uomo capace d’affrontare avversari fantastici e vivere avventure incredibili. Dopo aver capito che quell’”Eracle” non era altro che il nome greco dello stesso personaggio, misi immediatamente la cassetta nel videoregistratore convinto d’assistere a una delle tante pellicole dedicate all’eroe, ma non fu proprio cosi: mi comparve dinanzi un uomo seduto su di una scrivania che, con ironia e una sentita emozione nella voce, narrava le gesta che quell’antico eroe aveva compiuto, stimolando prima di tutto la fantasia dello spettatore che, grazie alle sue parole, era come se vedesse realmente l’eroe mentre compiva le sue incredibili fatiche. L’uomo in questione era Luciano De Crescenzo e l’episodio televisivo faceva parte della trasmissione “Zeus – le gesta degli dei e degli eroi”.

Appassionandomi in breve tempo a quanto stavo ascoltando e vedendo, cominciai a guardare una dietro l’altra tutte le videocassette, disposte in modo ordinato in un mobile fatto apposta per contenerle, insieme a tante altre d’argomento diverso. Quel “narratore” vestito con giacca e cravatta divenne per me un maestro, un ispiratore, un amico. Da bambino mi affascinavano prima di tutto le storie degli eroi che quel professore raccontava; crescendo, invece, compresi la bellezza e la profondità di alcuni miti meno avventurosi, ma di certo più emozionanti, come la tragica vicenda di Orfeo ed Euridice, la peculiarità dei greci nello spiegare l’alternarsi delle stagioni secondo il mito di Ade e Persefone, o la complessità delle varie mitologie dedicate alla nascita dell’universo. Mi colpì, in maniera primordiale e semplice allo stesso tempo, considerando la giovane età, persino il racconto del Simposio, dove De Crescenzo teneva a precisare che l’obiettivo primario era sempre quello della disquisizione, il dialogare tra i vari commensali convenuti, e solo in un secondo momento quello del cenare, della consumazione dei pasti vera e propria. Potrei dire, senza ombra di dubbio, che, grazie a De Crescenzo mi avvicinai per la prima volta ai racconti fantastici, i quali, nonostante le bizzarre tematiche, tanto valore continuavano a conservare tutt’oggi. Grazie a De Crescenzo mi appassionai persino al fumetto, considerando che quella raccolta di videocassette era abbinata a un supporto cartaceo sotto forma di racconto a disegni, da lui stesso curato e dedicato ciascuno al racconto sequenziale del mito stesso. Il passaggio dal fumetto mitologico a quello supereroico e seriale fu un processo inevitabile. Da quel preciso istante cominciai a leggere quanti più fumetti potevo, concentrandomi di più sulle storie e le avventure che QUEL determinato personaggio viveva, e solo dopo al messaggio che l’AUTORE voleva comunicare a chi leggeva la storia. Capii successivamente che quello che stavo leggendo non prendeva vita da solo sulla carta, ma qualcuno provvedeva a scriverlo e qualcun altro lo disegnava per far prendere forza e consistenza alle parole stesse. Fu così che mi avvicinai con sempre maggiore attenzione alla lettura e alla scrittura. Grazie a De Crescenzo lessi i miei primi libri; ricordo ancora come descriveva in maniera arguta e con una punta d’ironia la figura di Ulisse, da lui stesso definito in un suo vecchio scritto un “fico”. Ed ecco perché dico GRAZIE a Luciano De Crescenzo, per me da sempre un maestro, un amico, e di sicuro per tutti un importante autore nel panorama letterario italiano e non solo.

Luciano De Crescenzo è ingegnere, professore, scrittore, studioso, regista, un filosofo atipico, che ha fatto della sua arte un qualcosa di gradevolmente condivisibile, un divulgatore attento e scrupoloso, capace d’impartire cultura ed emozioni anche al lettore frettoloso e allo spettatore meno attento.

L’arte e la filosofia di De Crescenzo, sempre sopra le righe, conobbero, oltre che il medium televisivo, anche il cinema. Fu regista e protagonista del cult “Così parlò Bellavista”, delicata, amorevole e genuina lettera d’amore alla sua Napoli, alla sua gente. Il film fu un’opera in grado di scuotere l’attenzione sui temi più scottanti, sempre affrontati con pacata ironia e marcata determinazione. La dialettica di De Crescenzo si è mantenuta inalterata negli anni: comunicare con garbo e simpatia a chi ascolta il senso degli eventi e dei personaggi, anche fantasiosi, che ci hanno preceduti.

Durante la sua prolifica attività letteraria, De Crescenzo indagò cosa fosse il tempo, se davvero esistesse e come esso venisse interpretato e vissuto da ognuno di noi. Arrivò a dire che il tempo è solo una convenzione. Non molto tempo fa però ammise che il tempo effettivamente esiste e “purtroppo passa”. Lo disse con una nota di malinconia, lui scrittore così attaccato alla bellezza della vita e alla meraviglia della quotidianità. Si interrogò anche su cosa fosse la vera felicità, e su cosa ci rende felici. La pienezza della felicità per Luciano De Crescenzo non si avverte nel momento in cui stiamo vivendo l’attimo felice. Si rimane avvolti e contagiati dalla felicità quando si pensa al momento in cui possiamo vivere realmente quella felicità. La felicità dell’attesa è essa stessa felicità. Siamo felici quando pensiamo a ciò che ci rende felici e che a breve arriverà, e il solo aspettare quell’attimo ci rende lieti. La felicità non è quando incontriamo e ammiriamo la donna amata, la felicità è quando aspettiamo di vederla… Magari il giorno prima del nostro incontro.

Mi verrebbe d’azzardare un parallelismo tra questo credo di De Crescenzo e la splendida poesia del Leopardi “Il sabato del villaggio”. Il poeta affermava che la gente del villaggio era felice quando il sabato ritornava dalla dura giornata di lavoro perché sapeva che il giorno dopo avrebbe riposato. Una felicità di breve durata ma così fantasticamente coinvolgente. Era una felicità illusoria, poiché proprio il giorno dopo, quando sarebbero dovuti essere felici, invece, i villici avrebbero provato tristezza nel realizzare che l’indomani una nuova settimana di lavoro sarebbe cominciata. La felicità è quindi un’attesa illusoria, utopistica?  E’ qualcosa che sfugge, che appare rapido e rapido scompare, lasciando nell’animo una vibrazione armoniosa dolce e triste al tempo stesso. De Crescenzo affermerebbe, invece, che la felicità è proprio in quel piccolo momento, in quei minuti di rilassatezza, quando la speranza di un domani limpido e sereno si concretizza nel pensiero dell’attimo presente. Totò, altra grande personalità artistica di Napoli, diceva che la felicità è fatta di attimi di dimenticanza, per l’appunto di piccoli istanti che ristorano il cuore e carezzano lo spirito.

De Crescenzo affermerebbe, con la semplicità e la simpatica eleganza che lo contraddistingue, che la vera felicità è la “piccola” felicità, tanti piccoli granelli che uno accanto all’altro possano riempire la bisaccia dei ricordi più lieti e spensierati. De Crescenzo rimane senza dubbio un intrattenitore simpatico, un abile divulgatore, un prolifico autore, in altre parole un lavoratore arguto, attento e assiduo della penna e della parola.

Uno scrittore che ha conquistato la sua immortalità, perché vive nel cuore e negli affetti di tutti i suoi lettori più devoti, come il sottoscritto. Un documentario a lui dedicato sarà un’altra testimonianza filmata per onorare una vita intensa.

A Luciano De Crescenzo e al suo programma “Zeus – le gesta degli dei e degli eroi” ho dedicato un articolo facilmente consultabile nella sezione “Speciali televisivi”. Potete leggerlo cliccando qui.

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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«Signore e signori buonasera! Comincio col darvi una notizia molto importante: ai tempi di Socrate non c'era la televisione. Proprio così, non c’era! E voi vi chiederete: "e che facevano i greci la sera, dopo cena?" Ascoltavano i miti.»

Questa frase venne pronunciata da Luciano De Crescenzo all’inizio della prima puntata della trasmissione “Zeus – Le gesta degli dei e degli eroi”. Era una garbata introduzione, un accogliente invito a prendere posto nel salotto della nostra casa, il quale per una ventina di minuti diveniva un tutt’uno con il salotto del Professor De Crescenzo. Curioso che lo scrittore napoletano tenesse a precisare che al tempo dei greci la televisione non ci fosse. Come potevamo non saperlo?! La simpatica esplicitazione aveva una particolarità, legata al fatto che De Crescenzo in quel preciso istante stava parlando di un’epoca così lontana, in cui la televisione non poteva esserci, e lo faceva proprio mediante un mezzo televisivo. Luciano De Crescenzo, seduto comodamente in poltrona, mentre reggeva sulle sue ginocchia un grosso tomo che con ritmata frequenza sfogliava, vestiva le immaginarie vesti di un cantore greco. De Crescenzo, per il pubblico italiano, quando il sole tramontava e la sera era oramai alle porte, diventava un moderno Omero. Un narratore che conferiva alle proprie parole il peso di una valenza scritta, impressa su di un foglio immacolato, quale poteva essere la mente di un ascoltatore che si apprestava a trarre informazioni da disquisizioni su di un argomento che non conosceva. De Crescenzo divulgava attraverso il potere “catturante” e “seduttivo” di una scatola rettangolare da cui fuoriescono suoni e immagini, e con essa valicava il limitare di una camera chiusa, entrando con la gentilezza di un affabulatore e con la signorilità di un maestro che ricava gioia nel trasfondere ciò che sa ai suoi allievi, di qualunque età essi siano.

Se un tempo la televisione non c’era, il popolo greco veniva intrattenuto dai miti che ne stimolavano la fantasia, alla pari di sequenze immaginate. De Crescenzo sfrutta il potere affascinante e persuasivo dell’invenzione per diffondere il verbo di una religione arcana.

De Crescenzo seguitava a paragonare il medium televisivo al racconto mitologico. I serial più articolati che venivano trasmessi in quegli anni, nelle loro trame avvincenti e imprevedibili, non si discostavano poi di molto dalla complessità della mitologia greca. Il mito greco era una narrazione strutturata in molteplici “episodi” che potevano cessare improvvisamente con quello che noi oggi definiremmo cliffhanger (colpo di scena) e condannare gli ascoltatori a giacere nel limbo di un’incertezza che sarebbe perdurata fino al giorno successivo, quando l’aedo lo avrebbe ripreso, come fosse stato un “arrivederci alla prossima puntata”. Una similitudine azzardata, direte voi lettori, ma che rende bene l’idea su come i greci si trastullassero nei loro momenti di noia. De Crescenzo affermava ironicamente che il mito più era corposo e di lunga durata più traeva vantaggio il narratore. Dividere la storia in svariate sezioni che andassero raccontate in altrettanti giorni garantiva al cantore la possibilità d’essere invitato per il medesimo numero di cene richiesto per completare il racconto. Dodici fatiche di Eracle equivalevano a 12 cene. E i cantori se piegati agli stenti della miseria potevano nutrire il loro stomaco in egual misura di come nutrivano la mente di chi ascoltava il loro arguto proferire. Ne andò di mezzo il povero Ulisse, che non riusciva in alcun modo a trovare la via di casa e a raggiungere la sua amata sposa a Itaca perché Omero aveva l’assoluto interesse a prolungare il racconto. Più durava la storia più inviti a cena avrebbe rimediato.

Intendiamoci, cari lettori, quella di De Crescenzo era una descrizione volutamente provocatoria, adusa a rendere simpatica l’idea di un “cantastorie” furbescamente opportunista.

Tali aneddoti costituivano la bellezza di quel programma, il modo in cui il professor De Crescenzo istruiva i suoi “alunni” di tutta Italia, impartendo lezioni con la genuinità di un saggio maestro dalla barba bianca e brizzolata che ama rendere semplice ciò che apparentemente non lo sembrerebbe affatto. Similmente a quanto fece l’indimenticabile maestro Manzi agli inizi degli anni ’60, quando educava con l’amorevole cura di colui che era disposto a servirti una nozione o un fondamento grammaticale come fosse poggiato su un cucchiaino d’argento e pronto ad essere portato alla bocca per venire “fagocitato” e pertanto “appreso” in un sol boccone, così De Crescenzo teneva le sue lezioni di mitologia con un linguaggio amicale, buffo, gradevole, di certo fruibile e piacevolmente interessante. La mitologia greca veniva così trattata in tutte le sue più svariare rappresentazioni. Persino chi non provava alcun interesse per una simile trattazione, udendo quei racconti non poteva che restarne rapito, affascinato, e sviluppare un sentimento d’ammirazione nei riguardi di una cultura così raffinata come quella greca.

Ma andiamo ancor più nel dettaglio. “Zeus – Le Gesta degli Dei e degli Eroi” venne mandato in onda dalla Rai negli anni Novanta, e fu un programma prodotto da Mario Orfini e Giovanna Romagnoli. Ogni puntata si apriva con una maestosa panoramica circolare dello splendido quadro del pittore Giulio Romano, custodito al palazzo Te di Mantova. Era una sorprendente raffigurazione della volta celeste, l’Olimpo pullulante di divinità che poggiavano i loro immortali corpi su nuvole di bianca consistenza. Questo moto circolare si apriva sulle siluette, immortalate in una posa plastica e d’immane bellezza, di Zeus ed Era. Il padre degli dei era intento a scagliare le folgori dal cielo, ed esse erano state dipinte come grosse criniere dorate, avvolte da scariche elettriche.  Il giro terminava nuovamente sulle figure del Re e della Regina degli dei, per poi progredire più in alto nella visione e soffermarsi in dissolvenza su di un’aquila con le ali spiegate.

De Crescenzo da sempre si è interessato a questo tema, tant’è che i miti greci hanno rappresentato il filo conduttore di molte sue opere pubblicate. Per tutta la durata della serie televisiva lo scrittore racconta le vicende in chiave umoristica, con una buona dose d’ironia, in una cornice prettamente teatrale. Lo studio dello scrittore era eterogeneo, una scrivania era disposta centralmente nella stanza ed era la postazione prediletta dal professore, sui cui sedeva e cominciava il suo racconto. Alle sue spalle, una libreria adornata con pile di magnifici libri posti in posizione verticale, dava lustro ai lati della scenografia. Centralmente, poco al di sopra del volto del maestro, solitamente, trovavano posto quattro piccoli dipinti, illustrati dai curatori del programma, che servivano da supporto al mito che da lì a poco sarebbe stato trattato. Tali quadretti cambiavano di episodio in episodio, ed erano cinti da ghirigori dorati. Gli angoli della scena erano impreziositi da due busti marmorei di stampo greco, che, a seconda dell’argomento narrato, mutavano fisionomia. Il busto a cui De Crescenzo prediligeva rivolgersi aveva i caratteri somatici di Socrate.

Sulle pareti laterali, anche i quadri venivano opportunamente vagliati e posizionati di volta in volta per fungere da mutevoli raffigurazioni dei variegati miti. Quelle calde pareti traspiravano sapienza, e quegli scorci ravvicinati emanavano il gusto per l’antico. La zona più appartata dello studio conteneva alcune poltrone e anche un televisore. De Crescenzo, tuttavia, non si limitava a raccontare staticamente le proprie storie all’interno dello studio. Spesso girava all’esterno, portava i suoi telespettatori a visitare sale di museo e a scoprire statue antiche, in un viaggio di formazione attraverso le bellezze paesaggistiche, scultoree e di contenuto del mondo greco.

Tutta la serie era organizzata secondo un’attenta progressione narrativa. Le gesta degli eroi e le inclementi decisioni degli dei sono scandite con estrema naturalezza sin dalle prime battute. Dopo essere partiti con i racconti sulla creazione del mondo e sui miti degli dei e le imprese degli eroi, si continuava poi con i miti riguardanti le grandi storie d’amore e si terminava con i racconti dell’Iliade.

Quando la serie terminò, venne raccolta e messa su supporto magnetico, nonché distribuita in edicola e suddivisa in quattro gruppi d’appartenenza:

  • I miti degli Dei
  • I miti degli Eroi
  • I miti dell’Amore
  • I miti della guerra di Troia

Ciascuno dei gruppi constava di un cofanetto con due videocassette e un libro a fumetti (24 volumi cartonati in totale) di approfondimento dell’argomento trattato, corredato di citazioni, aneddoti e curiosità. Con questi fumetti, lo scrittore raccontava nuovamente il mito facendolo vivere attraverso il disegno e lo sviluppo su "tavolozza".

La mitologia in senso generale spesso viene vista come una matassa difficile da dipanare. I fili degli innumerevoli racconti si intersecano, si aggrovigliano e si disperdono in essi stessi. Il complesso dei miti e delle leggende che l’antichità ha intessuto intorno alle creature eccellenti del mondo, gli dei e gli eroi hanno da sempre affascinato studiosi di ogni tempo, suscitando in loro interesse e curiosità.

De Crescenzo col potere della parola ci conduce per mano nel mondo sconfinato dei miti, ci fa viaggiare all’interno delle imprese degli eroi, tra vicende di gente non comune, in una realtà fittizia, creata dalla fantasia greca, ma sempre presente e ancora magicamente viva e palpitante. Le loro imprese e le loro sofferenze hanno significati profondi, radicati in un mondo e in una cultura millenari.  Le gesta, le fauste imprese, così come la gloria, gli amori, ma anche i patimenti e gli affanni degli eroi, le pagine narrative e di riflessione della letteratura greca sono spesso come le teche di una mostra, di un’esposizione, sia pure pregiata, unica, ma comunque astrusa da comprendere. E’ necessario quindi rendere tutto accessibile, di facile comprensione, goduto da ciascuno di noi.

In tutto questo c’è riuscito appieno Luciano De Crescenzo, che con un linguaggio semplice ed essenziale, alla portata sia della persona informata che del dotto, così come pure nei confronti dell’uomo della strada ha reso interessante ciò che per alcuni poteva risultare erroneamente noioso.

Nel viaggio ipotetico di De Crescenzo si scorgono sempre luoghi sconosciuti, s’incontrano genti nuove, si viene a conoscenza di storie, leggende e tradizioni provenienti da ogni angolo remoto della Grecia. Sarà per il fruitore del mezzo televisivo un continuo scoprire, appropriarsi di nuovo scibile, ma per qualcuno sarà anche un rivisitare, con occhio diverso, quelle realtà storiche e di sapere che già conosce.

I miti contengono un patrimonio di saperi, regole morali, modelli di comportamento, conoscenze che vengono prima di qualsiasi altra elaborazione concettuale.

Il lavoro di De Crescenzo fu sublime, egli rese il trasporto di un’informazione come fosse un lascito, un meraviglioso simposio dialogico tra un parlante e colui che avrebbe fatto proprie quelle parole.

Le musiche, come fossero composte da un suonatore di lira, spesso accompagnarono i passi del mito esternato vocalmente, sorreggendo le parole riguardanti tali bellezze antiche e supportandole a fluire nel cielo, e giungere fino alle costellazioni che tutt’oggi recano il nome dei protagonisti dei miti e a incastonarsi tra il firmamento dell’immortalità. Sinfonie e versi donati al sentimento e alla ragione.

Quella di “Zeus – le gesta degli dei e degli eroi” fu arte allo stato puro, un’eloquente messa in scena narrativa e d’apprendimento, che poggiava sulla bellezza della semplicità, del racconto perpetrato vocalmente per intrattenere gli ascoltatori e per dilettare il sentimentalismo e la razionalità, per riscaldare il cuore e accarezzare la mente.

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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