
- Il mio nome è Nessuno
“Chi sei tu?” – Domandò a gran voce il gigante con un solo occhio. Un silenzio tombale era calato di colpo, e tutto attorno alla colossale creatura tacque.
“Ho chiesto come ti chiami?” - Incalzò nuovamente il gigante, con tono cupo.
“Io?” – Domandò Ulisse con fare retorico. E poi aggiunse “Io… Mi chiamo Nessuno!”, mal celando quello che sembrava proprio essere l’accenno di un sorriso.
“Nessuno…” - Ripeté Polifemo, apparendo soddisfatto.
“Bene! Mangerò per ultimo Nessuno!” - Bofonchiò prima di appisolarsi.
Il disegno di Ulisse poteva dirsi appena cominciato e si sarebbe svolto nel migliore dei modi. La notte era scesa fitta, e nella caverna di Polifemo regnava un buio inquietante. Ulisse non restò con le mani in mano, l’uscita della spelonca era sbarrata da un enorme masso che doveva essere rimosso in qualche modo. Così, escogitò, insieme ai suoi compagni, un modo per trarre in inganno il ciclope. Durante le ore della notte, Ulisse appuntì un lungo e grosso bastone ricavato da un ulivo, che affondò nell'unico occhio del titanico essere. Questi si destò dal dolore, e tra grida e lamenti cominciò a chiedere aiuto. Accorsero nei pressi della caverna altri giganti, domandando cosa stesse accadendo lì dentro. Polifemo urlava di dolore: “Nessuno sta cercando di uccidermi!! Aiutatemi!!”. Gli altri giganti non credettero ai loro orecchi. Quella frase era priva di significato. Così ignorarono il lamento di Polifemo, ritenendolo completamente inebriato dal vino.
Nel frattempo, Ulisse, quel signor Nessuno, si era nascosto fra le pecore che Polifemo pasceva durante il giorno, pronto ad attuare la parte restante del suo piano. Aggrappatosi al vello del ventre delle capre, fu spinto verso l’uscita dallo stesso ciclope che, accecato, si limitava a tastare con le mani il manto soffice delle sue bestie. Una volta fuori, libero, Ulisse non poté più trattenersi e volle prendersi gioco del maestoso mostro: “Non è stato Nessuno ad imbrogliarti… E’ stato Ulisse, re di Itaca”. Di colpo, all’orecchio di Polifemo quel Nessuno assunse le sembianze di un individuo reale, i contorni di un significato, perfino un’identità. Quel Nessuno era divenuto un qualcuno che proprio professandosi, apparentemente, come un “niente” aveva aggirato la forza bruta di un essere titanico.
Mi ha sempre fatto ridere di gusto questa parte dell’Odissea, la parte in cui Ulisse riesce a scappare dall’antro del mostro contando, come era solito fare, sulla propria furbizia e utilizzando per sé stesso un appellativo alquanto singolare: “Nessuno”. Con quella parola, Ulisse nascose il suo vero nome, preferendo mostrarsi, dinanzi al ciclope, come un uomo qualunque, un perfetto sconosciuto, un viandante come un altro. Ulisse, in quei frangenti, decise di privarsi del suo celebre appellativo, ponendosi alla stregua di un senza nome, o per meglio dire di un uomo con un nome evanescente, vacuo, indistinguibile, come suggerisce per l’appunto la definizione di “Nessuno”.
Essere “Nessuno”, in genere, non è cosa di cui vantarsi. Quando si dice “Non sono nessuno” non si fa altro che sminuire sé stessi, ci si svilisce, tanto da paragonarsi al nulla, al fallimento più completo. Ciò nonostante, Ulisse sapeva che dietro la parola “Nessuno” può comunque nascondersi una personalità arguta, coraggiosa e intraprendente. Egli stesso, dopotutto, dimostrò che dietro l’apparente definizione di “Nessuno” vi era un corpo più che vivo ed una mente brillante, che riuscì ad ingannare un tristo essere grande e grosso come una montagna.
Oltre ad Ulisse, ci sono stati altri personaggi che pur definendosi “Nessuno” riuscirono a diventare “qualcuno”. Essi partirono proprio dalla loro condizione di “nullità”, dal loro essere poco più che degli indigenti, squattrinati, soli e sconosciuti ai più, per raggiungere un traguardo fatto di sacrifici, di dolore, di sangue e sconfitte.

- Un usignolo con l’ala spezzata
Terry Malloy, il personaggio cardine del capolavoro “Fronte del porto” interpretato da Marlon Brando, era un “nessuno”. Un “niente” come ebbe modo di definirsi in un’occasione. La sua storia comincia al calar della sera, in una zona di periferia abietta e sudicia.
Un nome scuote il buio: “Joey!” urla un personaggio appena apparso dinanzi allo schermo. Terry si materializza di colpo. E’ lui che grida quel nome, è lui che invoca il nome di “Joey”. Terry è un uomo di media statura, eppure sembra imponente. Ha gli occhi penetranti e gonfi, il volto dai tratti angelici eppur marcato da qualche colpo incassato di troppo. Terry si rivolge a qualcuno, ad una finestra che sta aprendo i suoi battenti. “Joey!” esclama Terry.
“Terry! Cosa vuoi?”.
“Ho qui uno dei tuoi colombi. Te lo porto su in terrazzo”.
Joey acconsente, incurante di ciò che lo aspetta. Quando questi raggiunge il tetto dell’edificio, invece di Terry, si imbatte negli scagnozzi di Friendly, un boss della malavita locale che estende il proprio dominio su tutto il porto della cittadina. Gli uomini di Friendly assalgono Joey in un raptus vendicativo e lo gettano giù in strada, uccidendolo.
Terry, che assistite alla scena standosene in strada, ne resta inorridito. Credeva che i malavitosi volessero solamente parlare con Joey, intimidirlo, spaventarlo così da farlo desistere dai suoi propositi: testimoniare dinanzi ad un giudice per quanto concerne le attività criminali di Friendly. Terry non pensava che sarebbero arrivati a tanto, che lo avrebbero ucciso. Ne è sconvolto. “Non credo che avrebbe cantato…” dice Terry, sconsolato. “Sì, invece.” gli risponde uno dei delinquenti della zona - “Come un usignolo che non vola” - conclude, sorridendo vigliaccamente.
Terry non sa che fare. Così fugge via, percorrendo le strade buie e polverose della periferia, intrise di paura e di omertà.
Terry è uno scaricatore di porto. Un uomo che, nonostante la giovane età, ne ha viste di cose. Cose brutte, troppo brutte per essere raccontate. Un tempo, Terry faceva il pugile e lo faceva bene. Eccome! Sembrava una promessa del pugilato. Una sconfitta inaspettata, però, stroncò la sua carriera sul nascere. Da allora, Terry vive come un signor nessuno, vagabondando tra i quartieri della periferia, svolgendo qualche lavoretto per il boss di zona e tirando a campare scaricando la merce che arriva con le navi in porto. Terry è di indole buona, non ha un impiego fisso, ha studiato poco, è di cultura medio bassa, non ha denaro con sé, ciò nonostante possiede una profonda umanità, un grande rispetto del prossimo, una coscienza, che inizia a tormentarlo subito dopo il tragico accadimento dell’amico Joey.
All’alba del giorno seguente, Terry si reca sul tetto del palazzo e comincia a prendersi cura dei colombi di Joey che abitano sulla cima dell’edificio, chiusi all’interno di voliere sia pure spaziose. Quegli uccelli, che con le loro ali potrebbero volare e raggiungere le vette più alte, ma che restano segregati in quel singolo luogo, chiusi in gabbia, sono una rappresentazione della condizione in cui vive il protagonista. Anch’egli potrebbe infatti spiccare il volo, volare via da quella periferia malsana, ma non riesce a farlo. Egli è in trappola, prigioniero di una realtà criminale che gli tarpa le ali e lo costringe a restare con i piedi ben piantati al suolo.
- Un guanto ed un’altalena
Nei giorni a seguire Terry incontra Edie, la sorella di Joey, da poco rientrata in città. Edie studia in collegio per diventare insegnante. E’ sempre stato il suo sogno quello di educare i più piccoli. Terry la ammira per questo, per il suo essere una studiosa. Glielo dice esplicitamente: “Tu sei una persona colta, a me piacciono le persone colte”.
I due camminano l’uno accanto all’altra all’interno di un parco avvolto da un sottile velo di nebbia. Lei tiene sempre lo sguardo verso il sentiero, lui, invece, ha gli occhi puntati sulla fanciulla. Edie è la stessa che Terry ha sempre rammentato, eppure è al contempo diversa. Ella possiede ancora lo sguardo dolce e innocente di quando era bambina e andava a scuola con Terry, che la guardava a volte perdendosi in lei: Edie era infatti il primo amore della vita di Terry, un amore sbocciato ai tempi delle elementari e mai più scomparso.
Mentre passeggiano vicini Edie fa cadere inavvertitamente un guanto, che Terry raccoglie, senza restituirglielo. Edie ne è inizialmente turbata, non sa come replicare. Terry accarezza sensualmente il guanto, lo pulisce dal terriccio e, di colpo, se lo infila in una mano, suscitando spaesamento nell'animo della ragazza. “Cosa vuol fare con il mio guanto?”, sembra chiedersi Edie, silenziosamente tra sé. “Me lo restituirà mai?”.
Il gesto di Terry, quel ghermire il guanto di Edie da terra con la stessa prontezza di un falco, quel suo sfiorarlo e indossarlo, è un atto che si insinua tra il devoto e lo spavaldo, che evidenzia il suo desiderio di avvicinarsi a Edie, di accarezzarla nell’esatto modo in cui egli tocca e domina quell'indumento.

Terry siede su un’altalena, si dondola lentamente come un fanciullo spensierato, mentre lei rimane all'in piedi, rigida, a pochi passi da quella giostra. Poi, Terry si mette in bocca una gomma. Inizia così a masticarla rumorosamente, con le labbra schiuse platealmente, tutto ciò per accentuare la sua aria da smargiasso, o per meglio dire da bulletto di periferia. Edie, però, vuol far intendere di non essere facile da sottomettere: pertanto prende coraggio e gli sfila rapida il guanto dalla mano, palesando la sua forza femminile, e quindi si allontana. Terry la ferma col suono della sua voce, la richiama. Edie si volta indietro e i due si scrutano distanti, rievocando a parole i tempi della scuola. Terry si rimette sugli attenti e fa per riavvicinarsi a lei, che lo accoglie: tra i due comincia a stabilirsi un’affinità intima e profonda. L’altalena su cui l’uomo, poco prima, giaceva e oscillava, avanti e indietro, debolmente, richiamava quell’elemento fanciullesco, il cenno di una giovinezza andata e mai obliata che riecheggia ancora, adesso che Edie si trova dinanzi a Terry.
Terry non ha mai smesso di pensare a Edie. La ricordava fin da quando era bambino e la vedeva andare in classe: teneva i capelli stretti in una fitta treccia che le scendeva lungo la schiena; una treccia così spessa che per Terry rassomigliava ad una grossa corda. Edie aveva l’apparecchio ai denti, gli occhiali tondi sul visino: era un piccolo “disastro”, sostiene ironicamente Terry. In realtà, quel “disastro” aveva rubato il cuore di Terry, fin da allora, quando non era che un ragazzino e ancora non sapeva neppure cosa fosse l’amore. Adesso Edie era lì davanti a lui, era diventata una donna. Negli attimi immediatamente successivi, Edie seguita a mantenere lo sguardo basso, elude gli occhi del suo interlocutore, eppure comincia ad aprirsi con lui, a sentirsi più vicina, specialmente nel momento in cui Terry le domanda se si ricorda chi egli sia.
“Ti ho riconosciuto non appena ti ho visto.” – Sussurra Edie con un po’ di timidezza.
“E’ per via del naso, vero?” – Risponde ironicamente Terry, indicandosi proprio quella parte della faccia e sorridendo maliziosamente. Il naso di Terry, in effetti, è leggermente vistoso ma in fondo quale pugile non dà importanza al proprio naso? Dopotutto, è la zona del viso più soggetta a ricevere colpi, e ad uscire malconcia sotto il peso di quei pugni che la vita riserva di continuo.

Col passare dei giorni, Terry si avvicina sempre più ad Edie e tra i due sboccia una storia d’amore. Attorno a loro, però, la criminalità seguita a dilagare. Terry, dilaniato dai sensi di colpa, confessa a Edie di essere indirettamente responsabile della morte del suo adorato fratello. La ragazza, inizialmente, ne resta turbata ma poi, col trascorrere dei giorni, comprendere l’innocenza del fidanzato, il suo candore. Anch’egli è una vittima, un recluso di una periferia malsana, che non offre alcuno sbocco, alcuna via d’uscita, alcuna possibilità di salvezza. Spronato dall’amore di Edie, Terry comprende di doversi liberare, di dover spezzare la gabbia che lo fa prigioniero. Come i colombi che egli cura giornalmente, dando loro acqua e cibo, così lo stesso Terry deve avere il coraggio di trovare uno spiraglio e spiccare il volo, riprendere ad utilizzare quelle ali che, per troppo tempo, ha tenuto chiuse e inferme. Adesso, sempre più persuaso dalla sua coscienza, Terry decide di testimoniare dinanzi al giudice circa le attività criminali del boss Friendly. Il capo malavitoso, venuto a conoscenza delle intenzioni di Terry, decide di ucciderlo e affida questo compito allo stesso fratello di Terry, Charley.

- E’ questione di classe…
I due fratelli hanno così modo di confrontarsi durante una notte buia e agitata. Terry esprime tutta l’amarezza della sua esistenza, marchiata irrimediabilmente da un episodio, un errore che lo ha segnato per sempre. Tempo prima, proprio sotto richiesta di Charley che doveva far vincere a Friendly una grossa somma di denaro alle scommesse, Terry perse malamente un incontro molto importante che avrebbe potuto di certo vincere. Da allora, la sua carriera di pugile ha subito una irrimediabile battuta d’arresto, portandolo di fatto al fallimento.
“Ma non è questo. È questione di classe! Potevo diventare un campione. Potevo diventare qualcuno, invece di niente, come sono adesso.” Dice amaramente Terry.
E’ proprio in questo frangente, in questa occasione, in questo simbolico e straordinario dialogo che Terry si definisce, per la prima volta, un “niente”, un “nessuno”. La periferia lo aveva reso proprio un “nessuno”, lo aveva costretto a smarrire l’opportunità che la vita gli aveva presentato dinanzi. Terry sarebbe potuto diventare qualcuno, un nome roboante impresso nello sport, ma fu costretto a fallire, a rinunciare, a perdere ciò che si era guadagnato per il volere di un criminale, di un forte che schiaccia i deboli, arricchendosi sulle loro spalle piegate e genuflesse al lavoro e agli stenti. Ora, però, Terry vuole giustizia, vuole dimostrare come anche un “niente” possa abbattere un “qualcuno”.
Charley non vuole lasciarglielo fare. Friendly gli ha ordinato di assassinarlo, di eliminare il suo stesso fratello. Ma Charley non ha il cuore di uccidere Terry, eppure gli punta contro la pistola per intimidirlo. A quel punto, Terry reagisce dolcemente: “Oh Charley…” sussurra debolmente e con la mano sposta delicatamente la pistola fino a farla cadere via. Con quel suo fare delicato, Terry manifesta tutta la tristezza e lo strazio derivanti dalla consapevolezza di un'esistenza smarrita. In quel suo “Oh Charley...” Terry esprime l’assurdità e la vergogna di una vita dannata, quella del fratello, costretto, per vivere, a minacciare il sangue del proprio sangue. Terry non ha paura, poiché sa che Charley non gli farà mai realmente del male e che quel suo gesto non è stato altro che una mossa disperata. Purtroppo però Charley pagherà con la vita la sua pietà: il boss lo ucciderà l’indomani.

Terry avrà modo di testimoniare in tribunale, ma quando rientrerà al porto tutti i suoi colleghi ed amici, che vivono da anni nel terrore di Friendly, smetteranno di rivolgergli parola. Terry si presenta comunque durante il reclutamento al molo per scaricare la merce di una nave, ma quando resta l'unico escluso, affronta apertamente Friendly. Ne segue una feroce rissa, che vede Terry soccombere solo dopo l'arrivo degli scagnozzi di Friendly. Gli altri scaricatori, che assistono allo scontro, escono finalmente dal loro stato di sottomissione, sostenendo Terry e rifiutandosi di lavorare, a meno che lo stesso Terry non venga reintegrato, e finiscono con lo spingere in acqua Friendly. In quella lotta finale, in quel combattimento in cui Terry affronta e sottomette Friendly, prima d’essere aggredito e fatto a pezzi dagli scagnozzi del boss, vi è tutta la rinascita, la rivalsa di un pugile, di un lottatore che ha sempre combattuto per sopravvivere alle avversità della vita. Il ring di Terry sorgeva nei pressi di un porto, ed era delimitato da banchine. Prima che la campana suoni, Terry si rimette in piedi e, nonostante sia vistosamente ferito e abbia il volto una maschera di sangue, cammina fieramente davanti ai suoi colleghi scaricatori. Avanza lentamente, ma il suo incedere è inarrestabile; arriva fino a varcare la soglia dove inizia il turno di lavoro. Tutti lo seguono, spronati dal coraggio e dall’ardore di Terry, un uomo semplice, un “nessuno” che ha trovato la forza di opporsi ad un criminale, restituendo la libertà e la dignità ad un intero popolo.

- Un altro pugile
Il giovane Rocky Balboa era un signor nessuno, e aveva molto in comune con Terry Malloy. Entrambi erano venuti al mondo in una zona marginale della città, nella povertà assoluta. Entrambi non avevano avuto modo di istruirsi, di frequentare assiduamente la scuola, di formarsi. Ciò nonostante, ambedue avevano un cuore grande e dei saldi principi. Rocky, come Terry, faceva il pugile e aveva un gran potenziale. Era costretto, però, a combattere match di poco conto, contro avversari di basso livello, in luoghi sozzi e su ring malfamati.
Per tirare a campare, Rocky fa l’esattore per conto di Tony Gasco, un gangster della zona. Anche Rocky, come Terry quindi, ha a che fare, suo malgrado, con la malavita. Rocky abita in un monolocale cupo e poco accogliente, e l’unica compagnia di cui dispone è quella incarnata dalle sue tartarughine.
Come Terry che trova conforto e un accenno di amicizia nei colombi che vivono sul terrazzo, anche Rocky trova compagnia nelle sue due tartarughe che chiama ironicamente Tarta e Ruga. I colombi di Terry vivono rinchiusi in gabbie, le tartarughe di Rocky riposano e nuotano in una piccola vasca d’acqua. I colombi di Terry potrebbero volare via, percorrere grosse distanze con le loro ali, librarsi in cielo e poi planare liberamente. Le tartarughe di Rocky invece potrebbero spaziare in un ambito più grande, ma Rocky non può permettersi altro che una esigua vaschetta. E’ come se entrambi questi spazi in cui albergano gli animali tanto cari ai protagonisti rappresentino gli stessi luoghi in cui vivono Terry e Rocky, le periferie della città, che li schiacciano, li tengono assoggettati, non permettendo loro di andare via e di fare qualcos’altro della loro vita.
- Una pista di pattinaggio: se cadevi ti acchiappavo!
Rocky conduce la sua esistenza alla giornata, non ha un progetto per il futuro né un lavoro stabile. Egli è innamorato di Adriana, una donna che lavora presso un negozio di animali. Adriana veste in modo piuttosto sciatto e tende a coprirsi il volto con grandi occhiali di color argento. Rocky va a trovarla spesso al suo negozio, con il pretesto di acquistare il solito mangime per le sue tartarughe, quando in realtà non desidera altro che vederla e parlarci. Ogni qual volta la incontra, Rocky tenta in ogni modo di intavolare un discorso, ma Adriana, segnata da una profonda timidezza, non fa che fingere di fare altro, immersa com’è nei suoi pensieri, nella sua attività, e replica ogni tanto con qualche flebile parola e solo un accenno di sorriso.
Rocky non ha occhi che per lei, sebbene Adriana non faccia altro che nascondere il proprio aspetto, celare la sua bellezza dietro abiti grigi e spenti, e tenendo il proprio volto abbassato, come se non volesse che Rocky riuscisse a scrutarla. Adriana, per certi versi, si comporta esattamente come Edie, la prima volta in cui parla con Terry. Anche Adriana, come Edie, è schiva, evita lo sguardo del suo spasimante, come se ne fosse intimidita o, ingiustificatamente, spaventata. Rocky, esattamente come Terry, ama una sola donna e non ha mai distolto l’attenzione da lei. Se Terry non aveva mai smesso di pensare ad Edie fin da bambino, Rocky non fa altro che pensare ad Adriana giorno dopo giorno.
Agli occhi di Rocky Adriana è infatti la donna più bella e più importante del mondo, sebbene lei stessa faccia di tutto per non farsi mai notare da lui. Ma Rocky vede il bello anche nelle persone che fanno di tutto per nasconderlo, forse perché desiderose di farsi scoprire soltanto da chi è davvero meritevole di apprezzarle così come sono. Rocky, non appena avrà modo di frequentare Adriana e di uscirci insieme, l’aiuterà a superare la sua timidezza e a renderla così più sicura di sé con la sua sola presenza, durante il loro fidanzamento. Adriana diviene da subito la persona più importante per Rocky, il centro del suo mondo, l’amore che da lì in poi lo accompagnerà in ogni istante della sua vita, la figura che “richiama” costantemente il pugile a rialzarsi dal tappeto, a resistere e a sopravvivere ad ogni combattimento. Come Edie, che spronò Terry a ribellarsi alle angherie di Friendly, così Adriana sprona Rocky a resistere, a superare ogni avversità, a vivere semplicemente e appieno la sua vita.
Durante il loro primo appuntamento, Rocky porta Adriana a pattinare su una pista di ghiaccio, per l’occasione, messa a loro intera disposizione. I due hanno così modo di parlare liberamente e di conoscersi meglio. Rocky non sa pattinare ma si adopera per stare al passo con Adriana; mentre lei scivola lentamente sul ghiaccio, Rocky le resta accanto, correndo goffamente con i suoi scarponi e sorreggendola tutte le volte che Adriana rischia di capitombolare. In questi momenti, i due parlano di sé stessi, si confidano, rivelano parte del loro carattere. Rocky ricorda ciò che era solito dirgli suo padre: “Tu non sei nato con molto cervello, allora fai un mestiere in cui devi usare il corpo”. Adriana replica dolcemente: “Mia madre diceva sempre il contrario: tu non hai un gran corpo, fai un lavoro in cui devi usare il cervello”. E’ qui che Rocky ha modo di raccontare ad Adriana il perché ha scelto d’essere un pugile. Perché non ha mai saputo fare altro. Era bravo a fare a botte, a difendersi, quindi ha sempre pensato di poter diventare un discreto boxeur. Qualche frangente dopo, Rocky indugia su un particolare del proprio volto: il naso.

“Guarda questa faccia… 64 incontri, guarda il naso. Lo vedi il naso? Questo naso non si è mai rotto. 64 incontri, me lo hanno pestato, me lo hanno preso a morsi, stritolato, martellato, sì insomma… Quelli miravano sempre al naso. Mai rotto! Mai rotto! Guarda che nasino, non si è mai rotto”. Anche Terry, durante il suo “primo appuntamento” con Edie, parlò del suo naso. Chiese alla donna se ricordava quel suo naso tozzo ed Edie rise tutta raggiante. Entrambi i personaggi cercano di corteggiare la propria amata ironizzando su una parte del proprio viso, il naso, quella parte del volto continuamente esposta ai colpi che la vita ha sempre in serbo.
- Non sono soltanto un bullo di periferia
La vita di Rocky cambia improvvisamente quando il campione del mondo Apollo Creed lo sceglie casualmente come sfidante per il titolo dei pesi massimi. E’ per Rocky un’opportunità senza precedenti, un gioco del destino che può mutare per sempre la sua esistenza e strapparlo finalmente alla povertà del ghetto. Rocky si allena duramente ma non lo fa per vincere.
La sera prima dell’incontro, in un momento di paura e di sconforto, Rocky lo rivela. Si lascia andare all’abbraccio di Adriana e, disteso accanto a lei nel letto, confida alla sua innamorata che tutto ciò che Rocky vuol fare è dimostrare di non essere un “nessuno”. Rocky non vuole vincere, sente di non avere alcuna possibilità contro un pugile del calibro di Apollo. Rocky desidera semplice resistere. Nessuno è mai riuscito a resistere contro Apollo. Se Rocky ci riuscisse, se riuscisse a restare in piedi prima che suoni l’ultimo gong, dimostrerebbe a sé stesso di non essere soltanto un bullo di periferia.
Rocky salirà sul ring e in un incontro drammatico riuscirà a restare in piedi fino alla fine, a non capitolare sotto i pugni incessanti di Apollo.
Durante il progredire del match, la lotta tra Rocky e il campione del mondo si farà sempre più drammatica. Apollo tempesterà di pugni Rocky, che seguiterà a caricare a testa bassa, con il viso tumefatto, senza mai arretrare, senza mai cedere, senza mai arrendersi. Poco prima dell’ultima ripresa, Apollo assesta un colpo devastante a Rocky, che crolla al tappeto, col fiato corto e il corpo quasi stroncato. Rocky rantolerà nel buio, muovendosi disperatamente, alla ricerca delle corde più vicine.
Ha gli occhi gonfi, quasi del tutto chiusi, non vede nulla. Avanza, strisciando, a tentoni, mentre Apollo, rimasto in piedi, stremato anch’egli, alza le braccia al cielo, in segno di vittoria: un trionfo soffertissimo, che lo attende a pochi passi. Ma Rocky ha raggiunto le corde, mentre il suo allenatore, Mickey, all’angolo, gli urla di starsene a terra, di non alzarsi, non riuscendo più a tollerare la vista del suo prediletto così martoriato e sofferente. Rocky non ne vuol sapere, afferra con i guantoni le corde, si appoggia ad esse, si solleva, si rialza. Apollo non crede a ciò che sta accadendo sotto il suo sguardo sfocato dalla stanchezza. Rocky è devastato, eppure gli urla di tornare a combattere, di raggiungerlo, di continuare a colpirlo, tanto lui non andrà mai giù. Adriana assiste alla scena tra il pubblico, è arrivata da poco. Fino ad allora non aveva avuto la forza di guardare, era rimasta chiusa in camerino. Non poteva sopportare di vedere Rocky colpito ripetutamente e ridotto in quel modo. Adesso, Adriana è lì, vede Rocky innalzarsi nonostante le gambe lo sorreggano a fatica. Adriana si commuove, toccata nel profondo dalla tempra, dall’audacia dell’uomo che ama, che vuole dare un significato alla sua intera esistenza restando in posizione eretta, non cedendo, per nessuna ragione.
Gli occhi pieni di lacrime di Adriana rassomigliano agli occhi tristi eppure fieri di Edie, quando anch’ella mirò il proprio compagno, Terry, venire colpito, urlare dal dolore, ciò nonostante non darsi mai domo né sconfitto.

Per Terry era la ribellione, per Rocky la resistenza: entrambi i lottatori provenienti da un ambiente povero, dovevano lottare contro un nemico, un avversario più grande di loro. Due “nessuno”, che potevano contare solamente sulla forza delle loro braccia e sul coraggio del loro cuore.
Autore: Emilio Giordano
Redazione: CineHunters
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