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Rick ed Evelyn - Illustrazione di Erminia A. Giordano per CineHunters

  • Ricordi cocenti

Se risalgo il fiume dei ricordi, alla fonte ci trovo sempre un'immagine simbolica: il moto circolare del globo terrestre sul quale si forma centralmente una scritta a caratteri cubitali: “Universal”. D’un tratto, la scritta svanisce, come se fosse composta da minuscoli granelli di sabbia del deserto mossi dal vento freddo della notte, e quella figura di terra azzurrastra si dissolve per venire sostituita dal ritratto di un sole cocente e tanto, tanto accecante. Man mano che la camera arretra, lentamente, comincia a stagliarsi la punta aguzza di una piramide, e in seguito la cima di una colossale costruzione egizia somigliante alla Sfinge. E’ l’inizio di uno dei film di maggior successo di fine Novecento. Ogni qualvolta mi sovvengono i primi ricordi cinematografici a me più cari, riscopro sempre la scena d’apertura de “La mummia”.

“La mummia” fu un’opera che, come una seducente cleptomane, era riuscita a “rubare” il cuore di un giovane spasimante come il sottoscritto. Un cinefilo alle prime armi, stregato dal blu intenso di una spada laser, incantato dalla discesa vorticosa di un Batplano inquadrato da un giovane Tim Burton e ben presto invaghito della terra d’Egitto. L'intro del lungometraggio che eternava quel sole abbagliante che dardeggiava all'orizzonte, che baciava con i suoi caldi raggi la sommità della piramide, mi aveva sedotto dal primo momento. Quando vidi quel preambolo per la prima volta rimasi stupìto, mi sentii trasportato, proiettato di colpo in un'epoca remota, sperduta, misteriosa, nell'Egitto dei faraoni.

La locandina de "La mummia" aveva un non so che di "fatiscente", decadente come una statua egizia dissepolta fra le dune del deserto, rinvenuta dai resti del passato, segnata dallo scorrere dei millenni, eppure bellissima, poiché manteneva in sé il fascino dell'andato, del trascorso, pervenuto fino ad oggi. Quella locandina che catturava Rick ed Evelyn, i protagonisti dell'avventura, posti a sinistra dello scatto promozionale con, alle spalle, le sabbie del deserto pronte a sbriciolarsi su di loro e a destare la creatura del film, rappresentava, già in quel momento ai miei occhi, un'immagine accattivante, un'illustrazione pregna di un gusto retrò, che mi invogliò alla completa visione di quell’action-movie dal carattere spiccatamente avventuroso.

Come se fosse un libro ben rilegato e di pregevole fattura, "La mummia" mi aveva conquistato in un solo istante, non appena ebbi modo di vedere la sua "copertina" e la "pagina" del primo capitolo: la locandina e il piano sequenza iniziale. E’ pur vero, però, che un buon “libro” non si giudica mai dalla copertina, bisogna sfogliarle tutte quelle pagine che esso contiene, leggerle con la dovuta attenzione, carpire ogni contenuto delle parole scritte su quei fogli di carta; sì, insomma, perdonate il mio dilungarmi in questa metafora, ma era evidente che per riuscire ad innamorarmi completamente de “La mummia” avrei dovuto vederlo fino in fondo.

“La mummia”, tuttavia, aveva dalla sua il vantaggio di contare su un'introduzione ammaliante, una sorta, come già detto, di copertina intrigante, come se il lungometraggio fosse paragonabile ad un libro d’oro massiccio su cui vi è scavato ed inciso, ad incastro, l’intaglio di una serratura per una chiave a stella, necessaria, quest'ultima, per aprire quel suddetto libro e leggerne i geroglifici in esso contenuti. Il film de “La mummia” lo immaginavo proprio così, con l’allegoria del libro di Amun-Ra pronto per essere aperto e per mostrare, tra le sue tavole colme di effigi arcane, l’inizio del film: un film fulgido e rilucente d'oro.

L’intro della pellicola vanta la capacità di catapultare lo spettatore, istantaneamente, nell’antico Egitto, nel centro cittadino di una Tebe fantasticamente digitalizzata. Le imponenti statue egizie, su tutte quella di Anubi, mirabile nella parte finale della carrellata, si ergono sui cittadini, che procedono come impronte minute, ombre sfocate in scorci fascinosi e giganteschi. In quelle imponenti scenografie, nelle sue ambientazioni spettacolari che trasudano amore per la storia, sebbene di storia “fittizia” si tratti, in quel gusto antiquato, dolce è proprio lì che ritrovo la prima qualità che ammiro del film.

“La mummia” riesce, sin dai primi istanti, a plasmare uno stile scenico originale, frizzante, che soverchia i confini della camera ed emana un senso estetico attrattivo e straordinariamente coinvolgente. Gli interni del palazzo del Faraone, illuminati da una sfilza di fiaccole che brillano di una luce infuocata, la balconata da cui scruta la città il sacerdote Imhotep a notte fonda, quando un cielo bluastro domina, come un arazzo colmo di stelle lucenti, l'apice degli edifici egizi, trasmettono un senso di stupore, di meraviglia, specialmente grazie all'uso del colore dorato, tanto preponderante in queste scene da sembrare dipinto sulla “tela” della cinepresa.

  •  Delitto shakespeariano

D'un tratto, fra quei corridoi del palazzo "regale" avanza, con incedere sensuale Anck – Su - Namun, compagna del Faraone Seti I, immortalata senza veste, quasi completamente nuda. Quel “quasi” merita una descrizione un po’ più accurata: il corpo della giovane donna, nonostante la nudità, appare “coperto” perché “rivestito” con dei tatuaggi inchiostrati sulla stessa epidermide della fanciulla con tratteggi artistici e ipnotici. Anck – Su - Namun cammina fiera, col capo alto, verso Imhotep, che l'attende in una sala, al di là di un velo che somiglia ad un sipario trasparente. I due si incontrano e si scambiano un bacio, rivelando d'essere amanti. D'un tratto, Seti irrompe nella camera dove Anck - Su - Namun e il sacerdote Imhotep si erano dati appuntamento. Colti sul fatto, i due amanti portano a termine il loro scopo: l'assassinio del Faraone. Le guardie di Seti, gli Oras, intervengono quando è ormai troppo tardi e Imhotep si è dato alla fuga, non prima di aver osservato Anck - Su - Namun togliersi la vita: il corpo della donna non sarà più, contro la sua volontà, il tempio del Faraone.

"La mummia" del 1999 fu prodotto dalla Universal come remake dell’omonimo film del 1932 con Boris Karloff, uno dei capisaldi del cinema fanta-horror della prima metà del Novecento. Inizialmente, il riadattamento del 1999 doveva essere attinente al classico degli anni '30, ma durante la lavorazione il cineasta Stephen Sommers decise di modificare il carattere della sua opera, mutandone notevolmente lo stile ed il contenuto. Il lungometraggio del 1999 abbracciò, dunque, i canoni tipici dei film d’azione, con una spolverata d'avventura, senza, però, rinunciare ad una connotazione orrifica e ad una marcata impronta romantica.

In primo luogo, “La mummia” funge da viaggio esplorativo alla ricerca dell'arcano. Questo pellegrinaggio esotico comincia su una piccola nave da trasporto che solca le acque del Nilo e che pone i protagonisti al centro di un ritmo sfrenato ma diluito con intenzione. Nel maggio del ’99, quando “La mummia” sbarcò al cinema e raccolse un successo straordinario al botteghino, si presentò infatti come un mix perfetto, capace di combinare l’azione adrenalinica con il romanticismo più terso, le tendenze paurose con la comicità della battuta secca e scandita con precisione minuziosa: “La mummia” per struttura, ritmo, divertimento e verve, è il capolavoro di un genere. Già, ma quale genere?

“La mummia”, anzitutto, è un film d’amore. Potrebbe sembrarvi strana questa mia affermazione, eppure, l’amore domina ogni singola scelta di Imhotep, Anck - Su – Namun, Rick ed Evelyn, quattro personaggi posti su due fronti irrimediabilmente opposti: il male ed il bene.  Anck - Su – Namun è la promessa sposa di Seti I, ma in segreto ella è innamorata di Imhotep. L’amore proibito tra la donna e il sacerdote porta i due sfortunati amanti a compiere un gesto scellerato: l’assassinio dell’Astro del Mattino e della Sera. Tale sequenza, che vede la donna e il sacerdote ferire il Faraone più volte con delle armi affilate, si consuma nel buio: i tre restano celati alla vista dello spettatore, che può vedere solamente le loro sagome muoversi oltre un telo divisorio.

Come accade solitamente nelle opere shakespeariane, a detta dello stesso Brendan Fraser (interprete di Rick O'Connell), la morte del Faraone, uno dei momenti più intensi e drammatici del film, avviene fuori campo, quasi nel "dietro le quinte", lontano dall’occhio indiscreto del pubblico che può soltanto mirare i movimenti violenti delle ombre dei corpi nell’atto di commettere l’assassinio.

Una ripresa suggestiva che riesce a mantenere un ritmo teso nonostante la visione dello spettatore sia propriamente distaccata. Una volta catturato, Imhotep, dopo il suicidio della donna amata, viene punito con l’Hom-Dai, la peggiore di tutte le antiche maledizioni egizie, condannato ad essere mummificato vivo e seppellito ad Hamunaptra, la città dei morti. Il destino di Imhotep è maledetto: la sua anima sarà costretta a giacere come non-morta, alle porte degli inferi, per tutta l’eternità.

Il prezzo per poter compiere un castigo tanto crudele però è la possibilità che l’anima di Imhotep possa essere riportata in vita, poiché mai trapassata nell’aldilà. Se ciò dovesse verificarsi, Imhotep tornerà sulla Terra scatenando nuovamente sull’Egitto le dieci piaghe perpetrate da Mosè, e macchierà il suolo dei mortali come un morbo che cammina, una pestilenza per l’umanità, un empio mangiatore di carne con la forza dei secoli, il potere delle sabbie e la gloria dell’invincibilità.

L’amore impossibilitato ad affievolirsi tra Imhotep e Anck-Su-Namun porta questi due personaggi a subire una dannazione che va a perdersi nell’infinità del tempo.

Tremila anni dopo, l’avventuriero Rick O’Connell (Brendan Fraser nella sua massima ascesa) è a capo di una piccola spedizione con la bibliotecaria Evelyn Carnahan (una bellissima Rachel Weisz) e il fratello di lei Jonathan (un esilarante John Hannah) per ritrovare la necropoli perduta di Hamunaptra. Ciò che li attenderà nell’antica città dei morti è quanto di più terrificante potranno aspettarsi: dal risveglio di Imhotep comincerà una corsa contro il tempo in un’avventura mozzafiato.

  •  L'avventuriero e la bibliotecaria

Tra Rick ed Evelyn sboccia, sin dal loro primo incontro, un legame forte, dissipato da continui bisticci atti a nascondere un affetto crescente. Rick ed Evelyn sono una coppia piuttosto particolare: egli è sfrontato, aitante, apparentemente irrispettoso e diretto; Evelyn è invece arguta, brillante, timida, introversa, distratta, con il capo sempre chino su quei libri che legge con tale trasporto da sembrare, alle volte, avulsa dalla realtà circostante. Ella in quelle letture, probabilmente, lascia libera di prender piede la propria immaginazione, fantasticando di vivere lei stessa una di quelle avventure che suo padre, un grande esploratore, visse quando incontrò la madre di Evelyn, egiziana e anch’essa avventuriera. Evelyn è, altresì, tanto coraggiosa, un coraggio che colpisce sin da subito O’Connell, il cui sguardo viene catturato, con la stessa rapidità della pronuncia di un bisbiglio, dalla bellezza della donna quando ella indossa per la prima volta un lungo vestito nero, con cui si avvia a vivere la più grande avventura della sua vita. Evelyn si è liberata di quei suoi occhiali, ha sciolto i suoi lunghi capelli neri e mostrato per la prima volta e con totale naturalezza la sua splendida femminilità. Lei gli sorride, nascondendo lievemente il viso dietro uno strato di velo evanescente, una visione capace di rapire tanto il personaggio dell'opera quanto l’autore del testo, intento a scrivere questi passi di recensione.

E il forte O’Connell decide di corteggiare questa donna, goffa e aggraziata al contempo, con imbarazzo, mostrandosi anch'egli per la prima volta impacciato in vita sua. Bizzarro da credere, ma un uomo in grado di affrontare un conflitto a fuoco come capitano della legione straniera balbetta quando consegna un intero set di attrezzi adusi agli scavi archeologici, presi “in prestito” dai suoi confratelli americani, e li dona a una donna che ne sarebbe rimasta colpita in egual modo se le avessero offerto un mazzo di rose rosse. Evelyn per O’Connell diviene una luce che illumina, come un sistema di specchi antichi, la sala tetra che era dapprima la sua vita di lotta e sopravvivenza.

“La mummia” è un film in cui l’amore e le sue due diverse forme di romanticismo hanno un posto preminente nello svolgersi degli eventi. Basti rammentare che l’agire di Imhotep, dopo più di tremila anni, è ancora devoto alla volontà di riportare in vita la defunta amante. Il vero pregio del film è però quello di riuscire, con ragguardevole abilità, a districarsi tra numerosi generi, senza necessariamente porsi sotto una formale etichetta descrittiva.

  •  Acqua o oro?

Rick, Evelyn e Jonathan costituiscono il nucleo centrale degli eventi. “La mummia” ha il merito di valorizzare i propri protagonisti rendendoli amabili e adorabili; il pubblico impara ben presto a conoscere le rispettive sfumature caratteriali dei personaggi principali e a simpatizzare con le loro gesta.

Dal Cairo alla mitologica città decaduta di Hamunaptra procede il viaggio dei nostri protagonisti, e con essi noi spettatori ci troviamo pronti ad affrontare il caldo afoso del deserto, in sella a un gruppo di cammelli. Su quei quadrupedi ha il via una fuga all’alba, quando il sorgere del sole mostrerà la via ai protagonisti e, come un incantesimo o un magico effetto ottico, l'astro lucente riuscirà a tracciare la sagoma della città, visibile in lontananza. E’ una corsa liberatoria che avviene sotto un cielo infuocato, e che vede Evelyn procedere a braccetto con Rick per poi sorprenderlo, accelerare con paura ma con quella spensierata voglia di trasporto che dall'infanzia agognava. Dopotutto, l’intero film non è che una corsa a perdifiato, una fuga rocambolesca tra sequenze monumentali, replete di effetti speciali, piaghe violente e spettacolari che piombano sulla terra d’Egitto come un castigo divino, e disperati tentativi d’assalto a bordo di un aereo dell’aeronautica di Sua Maestà per scampare a impressionanti mura siffatte di tempeste di sabbia.

Ogni singolo fotogramma della pellicola lascia traspirare una cura verso un modo di fare cinema in grado di coniugare gli aspetti stilistici della cinematografia degli anni ’30 con la spettacolarizzazione dell’azione tipica dei film del nuovo millennio. “La mummia” è un film moderno calato in una realtà dal gusto antico. In aggiunta a ciò, “La mummia” si ispira ai canoni avventurosi del cinema di Indiana Jones, sebbene da esso tragga soltanto il ritmo incalzante, il periodo storico e l’affetto immutato per un particolare tipo di archeologia, quella in cui i reperti da rinvenire sono misteriosi e impossibili anche solo da immaginare.

“La mummia” possiede, inoltre, il merito di non incespicare su tempi morti, essendo strutturato con una perfetta cadenza tra azione adrenalinica e narrazione. Il film, in particolar modo, lascia emergere un eroe pragmatico nel proprio agire. Rick O’Connell, indossando una bandana azzurra legata intorno al collo, una bianca camicia, una fondina a coppia posta ai fianchi della schiena con due pistole, un paio di calzoni color marrone chiaro e stivali ai piedi, conquista un trono di rilievo tra i grandi simboli del cinema d’avventura. Il savoir-faire autoironico, l’audacia combattiva e il coraggio smisurato, la tendenza a sdrammatizzare le situazioni più pericolose e quella sana scelta di non prendersi mai troppo sul serio rendono O’Connell un eroe del cinema d’azione, la prima e probabilmente unica vera alternativa ad Indiana Jones.

Rick dà valore alla vita. Un valore tanto grande che solo i puri di cuore sanno elargire. Sebbene sembri uno spericolato avventuriero che non si cura della fine a cui potrebbe andare incontro, egli dà un peso assoluto all'esistenza, soprattutto se essa riguarda una persona a lui cara come Evelyn. Rick non antepone la ricerca dell'oro alla vita, l'avidità all'amore: un tratto del suo carattere che appare evidente quando egli afferma, con rispetto e una nota d'ammirazione, che gli uomini del deserto danno valore all’acqua non certo all’oro. O’Connell non è, in fondo, un cacciatore di tesori, ne resta quasi indifferente quando si fa strada tra cumuli d’oro per ritrovare la sua Evelyn, tenuta prigioniera dal mostro. O’Connell è un eroe riluttante ma concreto, che antepone la salvezza della donna amata alla fortuna e alla gloria eterna.

  •  Vita o morte

L’apparato scenografico della defunta Hamunaptra, i passaggi angusti delle costruzioni egizie, i tesori splendenti della camera segreta di Seti I sono solo alcune delle ambientazioni che rendono il film fascinoso e dallo spazio circoscritto, limitato, e per questo ancor più valorizzato. Sebbene il film mostri molti altri luoghi tra l’inizio e la parte centrale dell'opera, Hamunaptra è il fulcro in cui si consumano le vicende: essa diviene una sorta di palcoscenico a tutto tondo, un luogo unico in cui si muovono i personaggi tra giganteschi pannelli scenografici che alternano statue delle divinità Anubi e Horus, interni di piramidi formati da cunicoli stretti, soffocanti, claustrofobici. Gli spettatori che guardano "La mummia" restano seduti su di una platea immaginaria, ammirando antri antichi in cui dei coraggiosi e improvvisati eroi lottano per non lasciarci la pelle.

Il film “La mummia” nell’incarnazione del mostro, dell'antagonista, indaga il senso lato della vita, dell'esistenza umana, e dell'amore che oltrepassa le barriere del tempo. Imhotep risorge come un empio essere, fatto di ossa, piccoli strati di carne e bende. Non ha occhi per vedere, non ha lingua per parlare. E' un essere intrappolato a metà tra il silente e cieco mondo dei defunti e il rumoroso e vivido mondo dei viventi. Questa creatura, per rinascere, deve strappare la vita altrui, uccidere e nutrirsi per poter rivivere lei stessa.

La rigenerazione della mummia avviene attraverso la macabra uccisione degli uomini: dalla morte degli innocenti, Imhotep ritrova la propria vigoria. La morte che chiama la vita.

Imhotep per farsi strada nel mondo moderno è costretto a fare del male, perfino per tornare ad amare egli deve uccidere. Il rituale per restituire l’anima ad Anck - Su - Namun prevede, infatti, la scelta di una vittima sacrificale: la morte di Evelyn per la resurrezione dell'antica amata del sacerdote. Durante lo scorrere del film, morte e vita si intrecciano in una sorta di indagine orrifica. Per Imhotep, la vita altrui non ha valore, poiché la morte non è che l'inizio, il passaggio da un piano esistenziale ad un altro.

Se la vita resta intesa come un bene prezioso per O'Connell, la morte, per l'antagonista, funge da punto focale di una successiva traversata. Nella sua condizione di essere maledetto, Imhotep non può fare altro che perpetrare la morte per avere la flebile illusione di poter vivere, di poter amare, in questa sua seconda venuta sul regno dei mortali. Una delle frasi più evocative pronunciante nel film certifica questa condizione, che vede appunto la creatura recitare un arcano adagio secondo cui la dipartita non sarebbe altro che il principio.

L'amore provato dal mostro è un amore in grado di abbattere l'eternità, di perdurare oltre lo scorrere ed il consumarsi dei secoli. Tuttavia, il desiderio d'amore della creatura è destinato a non realizzarsi poiché basato sull'attuazione del male, sulla dannazione. L'amore vero, in grado di oltrepassare le barriere del tempo e di resistere ad ogni soprannaturale difficoltà, sarà quello di Rick ed Evelyn: un sentimento crsitallino, autentico, basato sull'aiuto e il sostegno reciproco, la ricerca costante dell'uno e dell'altra, entrambi mossi unicamente dal bene che sentono vicendevolmente.

  •  Tema d'amore

“La mummia” vanta una colonna sonora stupenda, composta da Jerry Goldsmith, il cui montaggio sonoro venne candidato all’Oscar. Il tema che accompagna i passi d’amore di Rick e Evelyn lega totalmente le loro espressioni, i loro sguardi da innamorati e il loro agire alla stessa musica, rendendo quest’ultima immediatamente associabile ai due.

La traccia preferita dal sottoscritto arriva sul finale del film, dove il tema musicale oscilla dalla calma iniziale all’aumento improvviso (la scena del bacio), fino quasi a completarsi in un “frastuono”, quel “battito ripetuto” di suoni che accompagna l’inquadratura conclusiva al volgere della sera, e che sancisce la fine dei fotogrammi della pellicola; ma la musica, dopo pochi secondi, riprende ad allietare il triste addio dei titoli di coda, tornando alla “lentezza” e al romanticismo di partenza, riproponendo la classica melodia che è poi la ripetizione fondamentale del passo più famoso del brano. La colonna sonora de “La mummia” è tra le più belle mai realizzate per il cinema. Non vi è neppure una singola scena priva di un qualsivoglia accompagnamento musicale degno di nota. Ogni singola sequenza possiede una composizione perfettamente amalgamata alla stessa. La musica, alle volte, risulta talmente potente da venire in mente ancor prima della scena, e con essa, renderla completamente impressa nei ricordi.

  •  Tramonto rosso

La parte terminante del film è strutturata con un continuo crescendo, il cui momento apicale si concretizza nella fuga dei protagonisti per scampare alla distruzione completa di Hamunaptra. Con la caduta dei resti di quella città cala il sipario su quel teatro fantastico, e l’avventura scenica giunge a conclusione. Il pubblico dovrà così abbandonare i propri posti immaginari nella sala sita a pochi passi dalal città dei morti e godersi la visione di commiato dei protagonisti, che avanzano verso l’orizzonte immenso, raggiunti dai raggi di un tramonto rosso. Quel sole caldo e luminoso, con cui il film cominciava il suo scorrere su pellicola, adesso è prossimo a calare ad ovest. Il crepuscolo mostra il sole morire in lontananza, negli istanti in cui Rick ed Evelyn si scambiano un intenso bacio, prossimi a salire in sella ai loro cammelli, e avviarsi tra gli ultimi bagliori di un tramonto che si può ammirare solo nella suggestiva cornice di Hamunaptra.

Questa è l’ultima pagina del libro d'oro, e ogni qualvolta mi trovo a "rileggere" quelle battute finali provo una certa malinconia. E’ triste congedarsi da una simile “lettura”, ma quando il buio dello schermo diviene totale, una certa voglia di riavvolgere nuovamente il nastro e tornare al capitolo iniziale seguito sempre a provarla. Probabilmente gli stessi autori furono consapevoli di questo possibile effetto e vollero attenuare il distacco finale, e infatti, quando il tutto va in dissolvenza si formano dei titoli di coda alquanto peculiari: su degli sfondi che richiamano di nuovo l’arte egizia si formano scritte in geroglifici mutevoli, che cambiano per assumere i contorni tipici dei titoli di coda tradizionali. Quella è davvero l’ultima pagina del libro di Amun-Ra, un atto finale che sembra comunicare agli spettatori l'idea che il film non sia davvero arrivato a conclusione ma che voglia ancora riservare qualche altra, ultima sorpresa.

Rick ed Evelyn - Dipinto di Erminia A. Giordano per CineHunters

Con la nenia di coda viene sancito l’addio, l’atto finale di un lavoro, un cult assoluto nel suo genere. Già, qualunque genere esso sia!

Voto: 9/10

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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