
Cos’è che fa di un mostro… un mostro? I canini affilati? Gli occhi iniettati di sangue? L’abitudine, piuttosto molesta, di ululare nelle notti di luna piena o di riposare, tutto bendato, racchiuso in un sarcofago? Un momento! Ma è una questione di aspetto o di comportamento? Come potremmo delinearlo, definirlo? Cosa diavolo è un mostro?
Calma, niente panico, regola numero uno: riordinare le idee. Dunque, “il mostro” è un essere schivo, elusivo, misterioso, una creatura che si manifesta improvvisamente nel buio e che, altrettanto rapidamente, scompare col favore delle tenebre, un po’ come un incubo che svanisce allo spuntare dell’alba. Che definizione blanda, generica, aleatoria, quest’ultima! Invero, il mostro è colui che è diverso da noi. Esso corrisponde allo sconosciuto, allo straniero, all’uomo-nero. Proprio in virtù della sua diversità estetica, ogni mostro viene minacciato, intimorito, scacciato, specie se è grande, grosso, peloso, se ha tante zampe e proviene da luoghi remoti come lo “spazio” sconfinato.
“Chissà quante malattie avrà portato con sé, scendendo dalla volta celeste!” – borbotterà qualcuno, vedendo il mostro in lontananza. “Con quelle unghie affilate ci tagliuzzerà ben bene quando ne avrà l’occasione, vedrete. Quegli artigli non gli serviranno di certo ad arrampicarsi sugli alberi per ghermire le verdi foglie…” - commenterà, scioccamente, qualcun altro. “Che si ritirassero nei mulini di legno ancora non arsi dalle fiamme questi dannati mostriciattoli!” urlerà, sprezzante, un terzo.
I mostri sono differenti da noi esseri umani, vanno allontanati con le torce accese ed i forconi ben branditi. Almeno, così credono gli stolti. Non importa se un mostro avrà mai la possibilità di spiccicare qualche parola per spiegarsi, esso non possiede la nostra stessa natura, non appartiene alla nostra medesima razza, è malvagio e purulento, non occorre che si arrovelli a provare il contrario, poiché quei suoi denti aguzzi sono fatti per uccidere e quelle sue mani grandi non sono altro che artigli pronti a colpire una volta soltanto.
Proviamo però a supporre, anche per un solo istante, che i mostri non siano poi così perfidi. Daremmo mai loro un’occasione per dimostrarlo? E’ possibile che dietro quell’epidermide pallida, che sotto quei bulloni d’acciaio e quella peluria così fitta, alberghi un’anima sensibile? Sebbene siano, all’apparenza, così diversi, i mostri hanno in comune con noi molto più di quanto si creda. Anch’essi avvertono il dolore, anch’essi si emozionano, anch’essi possono affezionarsi.
- Una bella per una bestia
Ebbene, anche i mostri s’innamorano, benché brutti, cattivi, cruenti e feroci. Non volete crederci? Dovreste!
Vedete, spesso è proprio la bruttezza, sì, insomma, quella loro parvenza sgradevole, a far scoccare la scintilla di un desiderio: il desiderio di amare. I mostri sono profondamente incompresi. Essi non hanno scelta, nascono, per l’appunto, mostruosi, decisamente sgraziati, malconci e fin troppo difformi per passare inosservati. Purtroppo, l’aspetto limita fortemente la libertà di un mostro, questo perché la disarmonia e la natura atipica preluderanno sempre alla sua pura integrità. A Parigi, nei pressi di un’antica cattedrale, un giovane campanaro deforme veniva appellato dalla folla come un “diavolo”, sebbene il suo cuore celasse l’identità di un angelo dannato.
I mostri vengono considerati orridi, spaventosi, terrificanti al sol guardarli. Coloro che li intravedono, oramai sempre più di rado, scappano a gambe levate. Il mostro di turno non ha neppure il tempo di presentarsi: quando sbuca da qualche cespuglio, il viandante fugge come il vento. I mostri non socializzano con gli altri e, da secoli, se ne stanno appartati, soli, profondamente soli. Sozzi e invenusti, essi devono rimboccarsi le maniche se vogliono conquistare l’amore.
Eppure, Frankenstein non era poi così cattivo! Vagava impaurito, con le vesti un po’ bruciacchiate. Era appena scampato ad un incendio, e non aveva dove andare. Gli uomini gli avrebbero dato la caccia se solo lo avessero rivisto. Al mostro spettava il compito di nascondersi, non più quello di spaventare. Standosene in disparte, Frankenstein, che doveva il suo nome al folle genitore che gli diede la vita, cominciò a soffrire, struggendosi nell’oscurità e prendendo sempre più coscienza della sua identità, della sua sofferenza, della sua solitudine. La Creatura voleva qualcosa, o per meglio dire qualcuno che potesse alleviare il vuoto, l’abisso di un’esistenza sciagurata. Col trascorrere delle giornate, Frankenstein capì: agognava una compagna, una donna della sua stessa “specie”, una sposa da poter amare.

L’amore nella pellicola “La moglie di Frankenstein” nasce da un desiderio di riconoscimento, di accettazione, da un bisogno naturale provato da un essere innaturale. Frankenstein aveva un aspetto sgradevole, era un mostro dall’origine insana ma non era crudele, non voleva essere efferato: esso non veniva, semplicemente, accettato, accolto, capito. D’altronde, persino lui stesso faticava a capire chi fosse, cosa fosse. Frankenstein, allora, si abbandonò all’emozione, al sentimento, alla speranza per cercare di attenuare il proprio dolore.
Per dare forma ai suoi sogni, uno scienziato plasmò una damigella. Per Frankenstein fu uno “zing” immediato!
Una figura femminile si levò in piedi, ed emerse da un cupo laboratorio, avviluppata dalla nebbia. Essa era glaciale, ma splendida nella sua imperturbabile fisionomia.
La spoglie destate della donna erano state coperte da una veste candida di stoffa immacolata. La "bella" aveva i capelli prevalentemente neri, tuttavia alcune ciocche della sua chioma, rimaste bianchissime, avevano assunto la forma di saette ondulate e scintillanti. Frankenstein se ne innamorò a prima vista, ma il suo non fu che il mero e fallimentare tentativo di vivere una vita normale. A lui la normalità era stata preclusa sin dalla genesi, sin dalla creazione.
La creatura dalle fattezze femminili si guardava intorno, girava la testa a scatti, bruscamente, come un automa fatto di carne rammendata, di falde d'epidermide rattoppate, a cui era stato applicato un supplemento d'anima e che proprio in quegli istanti stava prendendo consapevolezza delle proprie facoltà di movimento, ancora incerte e artificiose.
Frankenstein le tese la mano, presentandosi come "amico". Dopotutto, l'attrazione reciproca tra un uomo e una donna e il sentimento dell'amore sbocciano sempre da un incontro iniziale, da una mano che tocca un'altra stringendola in una carezza che dura un solo attimo, dal principio di un'amicizia per l'appunto. La gentilezza del mostro, il tono accomodante della sua voce sono un corteggiamento spontaneo e fiducioso che precede la disperazione.
Gli occhi della sposa si posarono su Frankenstein. Ella non aveva emesso alcun pianto, sebbene fosse appena venuta al mondo. Proruppe invece in un urlo agghiacciante.
La sposa del mostro, anch’essa partorita in maniera infausta e anormale, non riusciva a ricambiare i sentimenti dell’essere. L’amore, in fondo, non può essere creato dal nulla né sintetizzato con l’arte della scienza e la gloria della conoscenza.
Questa fu un’altra condanna che molti mostri patirono. Essi, infatti, impararono ad amare ma non sempre riuscirono ad essere amati. Frankenstein non poteva vivere realmente il suo amore e, disperato per la sua infelicità, si lasciò morire.


Un altro mostro s’innamorò a sua volta. Esso affiorò dalle acque lacustri, in una laguna nera, di rado solcata da qualche imbarcazione. Un mattino, esso vide una donna danzare sulla superficie limpida del “lago” con indosso una candida veste. Allungò l’arto per provare ad afferrarla, ma lo ritirò di scatto, per timore di ferirla. Il mostro della laguna aveva sempre vissuto patento la solitudine più assoluta e, quando mirò quella creatura muoversi, sinuosa come una sirena, tra i fluttui, cadde nel desiderio. Fece quanto poté per averla, arrivò persino a rapirla. Ma l’animale dal tratto umanoide, venuto dall’acqua, non poteva custodire per sempre la fanciulla nelle grotte. Sconfortato, si accasciò al suolo, ferito, e si abbandonò inerme in un sepolcro acquatico. Il mostro di quella laguna non era di certo cattivo, lo ammise persino la bella Marilyn Monroe nel momento in cui scoprì questa storia, adattata sul grande schermo in bianco e nero. La creatura anfibia non era ria, era una vittima, scontenta, triste e sola, ipotizzò Marilyn, la donna dai capelli d’oro.
E’ proprio la solitudine ad affliggere i mostri. Nessuno vuole incontrarli, nessuno desidera conoscerli. Essi si celano nelle ombre, convinti che se dovessero essere scoperti, verrebbero minacciati ed uccisi. Giacciono, dunque, isolati, senza gioie e senza amori.

- Lo zing
Tanti mostri vissero l’amore e molti di loro lo perdettero in seguito. Anche il Conte Dracula provò l’amore, il più grande amore, quello autentico, ovvero lo “zing”. No, non sto facendo riferimento al classico Dracula, colui a cui tutti pensate quando il suo nome viene fortemente pronunciato. Dimenticate, giusto il tempo che vi occorrerà per ultimare questa lettura, quanto scrisse Bram Stoker nel suo capolavoro letterario. Non indugiate a rievocare la freddezza e l’atrocità del Conte tradizionale. Immaginatelo, questa volta, come una figura alta ed esile, avvolta in un nero mantello. Tale Dracula non è come i suoi simili, ha una testa ingombrante, una simpatia incontenibile ed una voce ancor più inconfondibile. Dracula, così come appare in “Hotel Transylvania”, è un mostro incompreso, misantropico, terrorizzato all’idea di dover incontrare l’essere umano, il “diverso” che gli arrecò tanto dolore. Ebbene, siete riusciti a rivederlo? Lo avete rievocato nella vostra mente?

Molti anni or sono, questo Conte perse la propria moglie adorata, assassinata dagli esseri umani. Fu in quella triste notte che Dracula capì che i mostri non potevano in alcun modo coesistere con gli uomini, poiché questi ultimi sanno essere violenti e pericolosi. Dracula ne è convinto: i mostri esistono, ma non sono quelli a cui siamo soliti affibbiare tale denominazione. I veri mostri sono coloro che non tollerano, coloro che attaccano, coloro che offendono e feriscono con le armi ben sguainate. Qualcuno, un tempo, cantò che il vero mostro è colui che è “brutto all’interno” e non colui che è “brutto a veder”. I mostri saranno anche raccapriccianti, ma non sempre i loro connotati corrispondono ai loro caratteri.
Quando Dracula perdette la propria consorte, decise che mai più nessun uomo avrebbe ferito la sua famiglia. Eresse, allora, un imponente edificio, un rifugio sicuro per tutti i mostri che, tra quelle mura, avrebbero potuto restare al sicuro. Sì, in poche parole, un hotel di superlusso per tipi eccentrici!
Rifugiatosi nello sfarzoso palazzo di pietra, Dracula allevò, per un secolo, sua figlia Mavis. Per i successivi cento anni, egli seguitò a provare l’amore, in una forma nuova, diversa rispetto a quello che provarono Frankenstein ed il mostro della laguna nera, menzionati in precedenza. Dracula amò incondizionatamente durante tutta la sua esistenza e, quando venne privato del conforto di una moglie, l’amore che aveva sempre riscaldato il suo cuore mutò, divenendo amore paterno. Quest’ultimo è un tipo di amore votato alla protezione assoluta, all’affetto smisurato, al riguardo e all’educazione, all’accompagnamento verso la crescita e la maturazione. Dracula guidò Mavis dalla giovinezza alla maggiore età. Così, le stagioni si alternarono e all’hotel, anno dopo anno, giunsero, da ogni parte del mondo, i mostri più stravaganti. Dracula formò persino una combriccola di bizzarri amici, legandosi a licantropi, mummie, creature nate in laboratorio ed esseri gelatinosi e appiccicaticci.

Gli anni per Dracula e Mavis passarono così, nella tranquillità e, forse anche un po’, nella noia della routine. A 118 anni, Mavis divenne grandicella, ma Dracula continuò a vederla come una bimba e a nutrire per lei una paura smisurata. Il mondo esterno era un luogo pericoloso, Mavis non avrebbe mai dovuto lasciare la sua principesca dimora. Un giorno come un altro, Johnny, un mortale, sbucò dal nulla, irrompendo nell’albergo e turbandone la quiete. Dracula si rapportò al giovane in maniera alquanto diffidente, del resto, Johnny era un essere umano, c’era poco di cui fidarsi! Ciononostante, conoscendosi sempre più, Dracula e Johnny scopriranno di non essere poi così diversi. Questi stringerà, dunque, una tenera amicizia con Mavis che, ben presto, si trasformerà in amore.

A quel punto, Dracula dovrà armarsi di coraggio e, da buon genitore, accettare l’inevitabile. Dopotutto, egli non fu certo il primo padre a dover salutare la propria “piccina”. Ne “La sirenetta” della Disney, Re Tritone, alla fine, dovette cedere le armi, deporre il proprio tridente e lasciare andare la sua bambina. Ariel si era innamorata, ed era decisa più che mai a convolare a nozze con Eric, un principe venuto dalla terraferma. In egual modo avrebbe dovuto agire anche Dracula.
Facendo un bel respiro profondo, il Conte salutò sua figlia, ed accettò di vederla andar via con un ragazzo… normale e non certo mostruoso.
In “Hotel Transylvania” viene messa in scena una rara forma di amore: il sacrificio, la rinuncia di un papà a tenere la propria figlia con sé, una scelta, quest’ultima, che condurrà Dracula alla ritrovata serenità nel vedere Mavis, finalmente, sorridente e giuliva.

Tra Mavis e Johnny, tra una vampira ed un ragazzo, tra una creatura mostruosa ed un mortale, scoccherà, dunque, il colpo di fulmine e, dalla loro unione, nascerà un bambino dai folti capelli scarlatti, Dennis, che verrà ribattezzato da nonno “Drac”: Denisovich.
L’amore, in “Hotel Transylvania”, è uno zing, un tintinnio, un lampo improvviso che squarcia il cielo e illumina lo sguardo, un incanto istantaneo che si avverte come un placido suono. I mostri non ne sono assolutamente indifferenti e, una volta provata tale magia, finiscono per restare innamorati e fedeli per tutto il resto della loro (lunghissima) vita. Dracula visse l’amore per una donna, lo zing assoluto, ed esso non lo abbandonò mai davvero. In seguito, un'altra forma di “zing” si impadronì di lui: l’amore paterno. Questo Dracula fu un mostro che non smise mai di amare, dapprima amò la sua sposa, poi amò la sua piccola e, infine, amò nuovamente, quando conobbe il suo minuto nipotino. E poi, quando il vecchio ma eternamente giovane Conte deciderà di concedersi una vacanza, scoprirà che un nuovo zing sarà pronto a destarsi in lui…
Cos’è che accomuna gli uomini e i mostri se non la medesima capacità di provare e vivere l’amore? Cos’è, realmente, un mostro? E’ forse quella che segue la risposta più pertinente alla domanda iniziale. I mostri, quelli reali, sono soltanto coloro che non riescono a provare tale, meraviglioso sentimento.
L’amore può raggiungere l’immortalità. Dracula lo sa bene: si può amare una donna per sempre continuando a ricordarla nel proprio cuore, e rimirandola, sovente, in un grande dipinto.
Autore: Emilio Giordano
Redazione: CineHunters
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