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“La parola ai giurati” (titolo originale: "Twelve Angry Men") è un film del 1957, per la regia di Sidney Lumet. Tra gli interpreti principali figurano: H. Fonda, L. Cobb, E. Begley.

Sebbene il film sia stato girato negli anni Cinquanta, “La parola ai giurati” rappresenta un’ottima realizzazione cinematografica, felicissima per ispirazione e invenzione, e per l’interpretazione magistrale di Fonda. Pur svolgendosi la vicenda nel medesimo ambiente, quasi nel rispetto delle tre antiche unità del teatro, l’opera appare invece essenzialmente filmica e lo spettatore viene reso subito edotto del fatto che ci troviamo in presenza di un processo per omicidio, in cui un uomo è morto e dell’uccisione è accusato il di lui figlio.

La ricerca di umana consapevolezza, l’appello a una razionalità, che sono i concetti cardine del film, trovano la loro vera espressione nel sapiente utilizzo dei primi piani, che ritraggono il volto del protagonista in una continua immobilità, ora intrisa di forte trepidazione ora portata a repentini mutamenti di stati d’animo. Il film è messo su con grande naturalezza, prova ne è il ritmo serrato e i dialoghi vivaci e immediati, il tutto sostenuto delle significanti espressioni dei volti, e dei gesti in generale.

Ad eccezione dei giurati contrassegnati dal numero 8 e dal numero 9, i quali rendono noti i rispettivi nomi solo a verdetto pronunciato, e quindi all’esterno del tribunale, in strada, al momento di salutarsi, nessun nome viene usato nel film. L’imputato viene indicato come “il ragazzo”, un testimone con “il vecchio” e l’altro con “la donna dall’altra parte della strada”.

Una luce di umana intelligenza viene fuori dallo sguardo dell’anziano giurato, che per primo si pone dalla parte del cosiddetto “ragionevole dubbio”. Questa luce è il palesarsi di un senso di umanità che cerca di farsi breccia nell’ombrosa stanza dove si sta per decidere il futuro di una persona.

Talvolta convenzionale e alquanto superficiale è il giurato con la passione per il Baseball, anche se ha il compito di incarnare, se così si può dire, la distensione, la parte compassata della carica drammatica del film. Egli agisce soprattutto come personaggio romanticamente illuminato, di una coerente indomabile ottusità, nell’inquadratura del suo volto, che naturalmente indica spento ogni barlume d’intelligenza, tanto da suscitare lo sdegno del giurato protagonista.

L’altro giurato, anche se palesemente aggrappato a un soggetto psicologico, a volte aulico e rumoroso, è tuttavia coerente nella sua ottusa passionalità. Sono dunque questi due argomenti che finiscono poi per confrontarsi: l’ottusa passionalità e l’illuminata razionalità, ma non come pure fantasie, bensì come viventi personificazioni. Se dietro lo sguardo del giurato impulsivo riscontriamo uno sconsiderato colpevolismo, alla fine largamente riscattato dall’inaspettato pianto, l’espressione del volto fremente di tensione dà coerenza e rende appieno ciò che il racconto intende trasmettere allo spettatore, che per buonsenso e armonia si sostiene pure per l’intelligenza del giurato con gli occhiali, vero e prodigo nel suo fermo colpevolismo, ma anche clemente e risoluto nel riconoscere l’errore.

Questa assemblea di giurati, di cui il regista, come già si è detto, non ci svela il nome, che sono lì per stabilire la colpevolezza o meno di una persona, anch’essa anonima, e che dunque poteva apparire inverosimile o, peggio ancora, sprofondare  nella pura teoricità, è invece vera, reale, non soltanto per la carica umana dei personaggi, ma anche perché è posta in un contesto, la cui realtà e veridicità sono evidenziate da tanti aspetti più o meno rilevanti: i giurati che soffrono  il caldo e si bagnano il viso, sorseggiano dei liquidi, si arrestano di colpo nel dibattimento, discutono di argomenti non attinenti al motivo per cui sono li riuniti, ecc.

La carrellata finale che spazia dalla stanza al tavolo ci presenta l’ambiente libero della drammatica presenza umana, testimone silenzioso ma eloquente, dell’aspra lotta vinta dall’umanità cosciente e impegnata. E’ una riflessione sui vari passaggi della battaglia, a cui gli esseri umani sono chiamati giorno dopo giorno a scontrarsi con l’imperante ottusità, con gli stolti pregiudizi, la folle passionalità, le insicurezze più o meno inconfessate.

Nel 2007 l’American Film Institute ha inserito il film all’ottantasettesimo posto della graduatoria dei cento migliori film americani di tutti i tempi.

Redazione: CineHunters

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