Vai al contenuto

Io e papà ci scherzavamo su, ogni nove di dicembre. A dire il vero, cominciavamo qualche giorno prima. “Il compleanno di Kirk Douglas sta arrivando” – dicevo a mio padre e lui, prontissimo, faceva eco con la solita domanda: “Quanti sono quest’anno? 95, 96?” 

Kirk è del 1916!” – puntualizzavo, di rimando. Papà, allora, accennando un sorriso, annuiva, ricambiando il mio sguardo compiaciuto. Stupore, meraviglia e un muto gongolante “vai, continua così, Kirk!”, trasparivano dalla sua espressione facciale, tutte le volte.

Kirk Douglas era un’autentica leggenda ai nostri occhi. Non solo per la notevole carriera che egli si costruì passo dopo passo, copione dopo copione, ma anche per la sua impressionante longevità. Kirk visse una vita intensa, appassionata, straordinaria.

Nel 1954, l’anno in cui nacque mio padre, Kirk era già una star affermata e di prima grandezza. A quel tempo, si trovava impegnato a navigare a bordo di un legno malconcio, alquanto fragile, ma che riusciva, ancora, a domare la superficie dell’acqua. Il personaggio che Kirk stava interpretando cercava con tutte le sue forze di tornare a casa, nella sua Itaca, dalla sua Penelope. Le onde avverse, l’irrequietezza del mare e la furia di Poseidone ostacolavano il suo intento, impedendogli di esaudire il suo desiderio. Per Kirk, quel viaggio di ritorno si tramutò in un’odissea estenuante, in un’avventura senza fine. E così, nel 1954, quando papà venne al mondo, Kirk Douglas era sbarcato al cinema con l’ultima delle sue fatiche di quell’arco temporale: “Ulisse”.

Kirk Douglas insieme a Silvana Mangano, interprete di Penelope e di Circe

Qualche anno dopo, precisamente nel 1956, Kirk portava una barba rossa ed incolta, indossava abiti sudici e sporchi di pittura e si era, da poco, trasferito a Saint-Rémy. Una sera, questi si sdraiò e rivolse lo sguardo alla volta celeste; per tutta la notte, giacque sveglio, disteso supino, a pancia all’aria come si suole dire, assorto a rimirare le stelle. I suoi occhi si tuffarono tra quelle sinuose dune, s’immersero fra gorghi blu cobalto, tra luci sgargianti, tra i rami di quei cipressi alti e fitti che si stagliavano in cielo, fino a smarrirsi in esso. Kirk, in quel tempo, aveva assunto le sembianze del pittore Vincent Van Gogh, e se ne stava a contemplare il cosmo, a immobilizzare nella sua mente quel “tetto” azzurro intenso, tutto ammantato di corpi celesti rilucenti di vita propria e non. Fu in quei momenti che concepì in sé la sua Notte Stellata, mentre la mano sicura e decisa, seppur tremante, era già pronta a fissarla sulla tela.

Kirk c’era, c’era sempre stato. Che fossero gli anni ’40, ’50, ’60, la sua figura possente seguitava a dominare le sale cinematografiche di mezzo mondo. Immortalato sui nastri di celluloide, l’attore americano vagò da una meta all’altra, da un’epoca datata a quella successiva e poi oltre e oltre ancora, senza mai arrestare il proprio cammino.

Kirk era lì, nell’antica Roma, e assistette alla ribellione dei gladiatori. Li guidò con la sua mano ferma, colma di vigore, contro i loro padroni, quegli schiavisti cruenti e senza scrupoli.

Molti secoli dopo, quando alcune legioni dell’esercito francese scelsero di non fuoriuscire dalle trincee, di restare al sicuro, di non inseguire vacui orizzonti di gloria, che avrebbero condotto i militi alla fine, alla morte su di un terreno zuppo di sangue, Kirk era anche lì, insieme a tutti loro.  Durante la Grande Guerra, fu proprio lui a difendere con i gesti e la dialettica i soldati che appartenevano al suo reggimento, innocenti eppur rei di aver cara la vita, di aver tentato e fallito una manovra militare impossibile da compiere sin dal principio. Kirk si trovò anche laggiù, negli abissi, ventimila leghe sotto la superficie del mare, fianco a fianco all’empio e impassibile capitano Nemo. Kirk attraversò cinquant’anni di cinema americano, mille anni di storia, cento anni di esistenza. 

Era un mito inossidabile, un idolo intoccabile. Per me e per mio padre, ricordare il compleanno di Kirk Douglas era diventata una tradizione spiccatamente natalizia, visto il periodo. Ad ogni inizio di dicembre, il nostro giulivo ricordo di Kirk, che era nato in modo del tutto spontaneo, si presentava come una sorta di beneaugurante appuntamento. “Papà, tra qualche giorno sarà il compleanno di Kirk. Un altro anno è passato”. Ne parlavamo anche negli attimi in cui tiravamo fuori dallo scatolone l’abete per addobbarlo. In quei momenti il nostro pensiero andava ancora al grande Kirk, all’attore, all’uomo, con un grandissimo augurio di Buon Natale.

Stando a una nostra "intuizione", i lineamenti del viso di Ercole, protagonista della pellicola disneyana "Hercules", ricordano moltissimo quelli del grande attore Kirk Douglas. Oltre alla forma delle orecchie e ai dettagli del naso e del sorriso, persino la fossetta sul mento richiama quella del leggendario interprete. I disegnatori di "Hercules" non hanno mai dichiarato di essersi ispirati a qualche "star" in particolare. Tale, possibile, somiglianza non viene riportata da nessun articolo dedicato al film ed è assolutamente di nostra ideazione. Potete leggere di più sul film in questione cliccando qui.

Quest’anno, purtroppo, è stata l’ultima volta che abbiamo avuto la possibilità di parlare del suo compleanno, ma non potevamo di certo saperlo. Ci eravamo illusi, sotto sotto. Per noi, Kirk Douglas era riuscito nell’impossibile: aveva arginato la morte, era riuscito a divincolarsi dalle sue grinfie. Sapevamo che prima o poi l’irreparabile sarebbe arrivato ma, con un pizzico di ingenuità, non volevamo crederci. Kirk Douglas si è spento qualche settimana addietro, alla veneranda età di 103 anni. Un traguardo eccezionale, il suo, raggiunto al termine di una vita dinamica, faticosissima, entusiasmante, impegnata e vissuta sempre a ritmi frenetici.

La mattina in cui seppi della sua morte, decisi di prendermi una pausa. Nel pomeriggio, cominciai a rivedere uno dopo l’altro tutti i suoi film più celebri. In seguito, mi fermai a indugiare sui ricordi e mi chiesi: quando “incontrai”, per la prima volta, Kirk Douglas? La mente vagò rapida e si soffermò, nuovamente, su mio padre.

Era una domenica come tante, e papà mi aveva fatto dono di una vecchia videocassetta. Con tono sfacciato, disse che in quella cassetta vi erano alcuni tra i più grandi attori di tutti i tempi. La guardai. L’immagine stampata sulla custodia mostrava, al centro, un tipo serioso, catturato in una posa eroica. Questi brandiva una fiaccola accesa, agitandola verso l’alto. Si trattava della videocassetta di “Spartacus”, uno dei lungometraggi simbolo della filmografia di Kirk Douglas.

Questo kolossal, diretto da Stanley Kubrick, fu espressamente voluto dallo stesso Douglas, il quale investì una cifra sostanziosa nella produzione della pellicola. Kirk desiderava fortemente recitare nei panni di un eroe d’altri tempi. Precedentemente, aveva cercato in tutti i modi di assicurarsi la parte principale in “Ben-Hur”, ruolo che andrà ad un altro gigante del cinema, Charlton Heston.

Non essendo riuscito ad ottenere quella parte, dunque, Douglas si mise in affari per conto proprio e “commissionò” a Stanley Kubrick il progetto “Spartacus”. Il ruolo del guerriero trace, dello schiavo che si erge e affronta coraggiosamente la Repubblica di Roma, parve cucitogli addosso. Kirk, infatti, anche nella realtà, si dimostrò sempre un uomo audace, indomabile, incorruttibile. Egli non si piegò mai alle regole imposte dallo Star System hollywoodiano, anzi tutt’altro. Le fronteggiò con ardore. Scardinò le limitazioni, i pregiudizi generati dal Maccartismo. Restituì la libertà a chi gli era stata sottratta, si impegnò, con coraggio, rischiando in prima linea, per dare lavoro e dignità a coloro che erano finiti nella lista nera.

Kirk Douglas si configurò come un gladiatore romano riapparso nel ventesimo secolo, un guerriero, un lottatore che si erse sui vigliacchi e che non si genuflesse mai ai potenti. Un caso emblematico per comprendere ciò avvenne proprio durante la lavorazione di “Spartacus”. Kirk voleva che Dalton Trumbo, noto sceneggiatore escluso dal business per sospette simpatie comuniste, curasse la sceneggiatura del suo film. Douglas non si lasciò intimorire dalle dicerie e prese Trumbo con sé. L’interprete pagò lo scrittore a sua spese e pretese che il nome del suddetto sceneggiatore fosse inserito nei titoli di coda.

Con grinta e impavidità, Kirk Douglas sfidò apertamente le reticenze, le ipocrisie del cinema statunitense, contribuendo a ribaltare tabù e preconcetti limitanti e oppressivi. Se il personaggio di Spartacus sarà destinato a cadere contro l’esercito romano e a morire sulla croce come un messia violento e rivoluzionario, Kirk, al contrario, riuscirà a trionfare, ad estirpare il clima ostile e paranoico vigente nella vecchia Hollywood dell’età dell’oro.

Le somiglianze tra Kirk e le sue controparti sul grande schermo, le similitudini tra la “persona” ed il “personaggio” non riguardano soltanto “Spartacus”. Sono molteplici i soggetti virili, temerari, ma anche pacati e buoni a cui Kirk Douglas conferì vita eterna tra i contorni nitidi di una cinepresa

Kirk somigliava pure ad Ulisse, il celebre eroe omerico che Douglas impersonò con passione e coinvolgimento. La pazienza, la tempra resistente, il carattere energico e la tenacia di Kirk erano proverbiali. Come Ulisse, Douglas non si dava mai per vinto e, come lo stesso Odisseo, il quale, per anni, lottò contro gli oceani ribollenti di collera avendo, come unico conforto, il ricordo della sua sposa, Kirk rimase innamorato della stessa donna per più di cinquant’anni. Douglas sposò Anne Buydens nel 1954, e insieme a lei rimase per tutto il resto della sua vita.

Anne era per Kirk ciò che Penelope fu per Ulisse: una certezza, un’ancora tenace, un porto su cui attraccare senza voler mai ripartire, un richiamo perenne, una meta da raggiungere costantemente. La conobbe sul set di “Atto d’amore”. Ne rimase incantato, ne venne rapito. Anne era una donna attenta e intelligente, una bionda furba e con la risposta sempre pronta. Ella non si lasciò facilmente “abbindolare” e sedurre dal divo di turno. Così, respinse le avance. Il corteggiamento per Kirk fu decisamente spossante, si protrasse per settimane ma, infine, sortì l’effetto sperato. Anne capì che per Douglas non si trattava della solita, fugace avventura di una notte. Acconsentì al loro primo appuntamento, a cui ne seguirono molti altri. In breve tempo, convolarono a nozze. Il loro sarà un matrimonio duraturo, sebbene Kirk, un po’ come lo stesso Ulisse, non esiterà ad essere “infedele”. Del resto, Kirk era un duro di buon cuore ma anche un “infame”, per sua stessa ammissione.

Egli era un sognatore, un idealista come il colonnello Dax, il protagonista di “Orizzonti di gloria”. In quest’opera filmica, Douglas impegnò tutto se stesso per portare in scena una tematica scomoda. La tragica battaglia “legale” condotta dal colonnello per salvare la vita a tre commilitoni, condannati alla pena di morte per un “crimine” mai commesso, evoca una critica sprezzante al militarismo, alla guerra che non custodisce, in sé, alcuna gloria.  Idealista fu anche un altro personaggio impersonato da Douglas, ovvero Jack Burns, un cowboy che si allontanò volontariamente dalla modernità per vivere a contatto con la natura, seguendo i dettami, le leggi, il credo di un passato “western”, di un mondo fatto di lealtà ed onore che non esiste più.

Kirk Douglas vantava un carattere infaticabile, una personalità irrequieta, ansiosa di creare, di fare arte in ogni sua forma. Questo lato della sua persona ricordava quello del pittore olandese Vincent Van Gogh a cui Kirk Douglas prestò il suo inconfondibile volto in un’interpretazione straordinaria, e per la quale mancò clamorosamente il premio Oscar.

Le pellicole più importanti della sua carriera costituiscono una fonte da cui attingere informazioni, una sorgente da cui trarre un’indicazione, una verità sull’identità sfaccettata di questo attore che visse per più di cento anni.

Ma forse, il ruolo più interessante e complesso di Kirk Douglas resta quello che, di rado, viene menzionato. Un ruolo profondamente diverso da quelli a cui ci ha abituato, che poco ha a che vedere con la personalità di Kirk Douglas. Come si è soliti affermare: un bravo attore si dimostra tale quando dà vita a un personaggio che è quanto di più distante da se stesso.

Se con i ruoli citati in precedenza, è possibile scandagliare l’animo di questo artista indipendente in virtù delle affinità evidenziate tra persona e personaggio, facendo riferimento a quest’ultima parte, sarà possibile, invece, indagare un’altra caratteristica: il talento, la bravura eccelsa di Douglas nel dare forma, presenza, portamento e voce ad un personaggio corrotto, insensibile, insaziabile e arrivista.

Nel film “L’asso nella manica”, per la regia di Billy Wilder, Kirk Douglas interpretò Charles Tatum, un giornalista arrogante e senza scrupoli, disposto a tutto pur di arrivare allo “scoop”.

Charles ha lavorato per i quotidiani più importanti di New York, venendo poi sistematicamente licenziato da ognuno di essi per cattive abitudini tenute sul luogo di lavoro. L’uomo, poco propenso a cambiare comportamento, rimasto senza un soldo, giunge ad Albuquerque e viene assunto nel piccolo giornale cittadino. Attende più di un anno per trovare una grande “notizia” che possa riportarlo sulla breccia.

Un giorno, Charles si imbatte in un evento decisamente particolare: una frana che ha intrappolato all’interno di una montagna un pover’uomo, Leo Minosa. Costui, da svariati giorni, stava saccheggiando tombe indiane in una vecchia caverna. I nativi avevano avvertito il ricercatore circa i pericoli celati in quel massiccio roccioso, su cui aleggia un’oscura maledizione. Fiutando le potenzialità dell’accaduto, Charles si avventura in quei luoghi e incontra l’uomo, rimasto con entrambi gli arti inferiori bloccati sotto un cumulo di grosse pietre. Un corposo masso sbarra la strada e separa il giornalista dal saccheggiatore, e i due riescono ad interagire soltanto attraverso una sottile apertura.

Charles comincia a scrivere il primo articolo sull’incidente. Mescolando elementi reali ad allusioni sovrannaturali riguardanti il presunto anatema che si è compiuto ai danni del “profanatore di tombe”, il giornalista crea una narrazione avvincente che desta l’attenzione di molti lettori.  Charles, giornalista navigato, rammenta come scrivere un “racconto” intrigante e a puntate, conosce i gusti del “pubblico”, sa che la notizia dovrà apparire sensazionale e la “questione” lunga e complessa. Concorda così con lo sceriffo del luogo di ritardare il più possibile i soccorsi. Per giorni, Charles scrive articoli repleti di parole forti, ammiccanti, appassionanti, che descrivono lo stato d’animo, la sofferenza dello sventurato rimasto prigioniero della montagna. I lettori vogliono sempre più particolari e non riescono a smettere di leggere tutti i pezzi che i quotidiani propongono loro. Una folla si raduna nei pressi della catena montuosa, e la tragedia umana finisce per tramutarsi in una forma raccapricciante di spettacolo. Charles trascinerà la sua inerme vittima sino allo sfinimento. Solo allora, distrutto dai sensi di colpa, si renderà conto del suo agire disumano e fraudolento, del suo tradimento compiuto nei riguardi del giornalismo libero e vero.

Kirk Douglas, col ritratto del suo reporter arrivista, lanciò una critica severa alla spettacolarizzazione del “fatto”, alla cronaca plasmata secondo le regole dell’intrattenimento, del “mito” narrato, il quale mira, sovente, a generare una reazione emotiva piuttosto che a stimolare una coscienza collettiva.

Se con “Spartacus”, “Ulisse”, con “Orizzonti di gloria” e con “Brama di vivere” aveva messo in mostra l’eroismo, la tenacia, l’orgoglio, l’altruismo, la genialità e l’amore per l’esistenza umana, caratteristiche che derivavano dalla sua stessa persona, al contrario, con “L’asso nella manica” Douglas volle ricordare la malvagità, l’opportunismo che può albergare nei cuori delle persone.

Fu questo il compito più importante e simbolico compiuto da Kirk Douglas. Rammentare quanto il sadismo, la crudeltà, e soprattutto l’egoismo umano possano essere corrosivi e pericolosi.

Dall’individualità, dall’egoismo, il cinema, che ha visto Kirk Douglas tra i suoi più grandi rappresentanti, non smette mai di metterci in guardia, educandoci nell’essere persone migliori.

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

Vi potrebbero interessare:

1

Il piccolo Hercules disegnato da Erminia A. Giordano per CineHunters

Giungiamo al 1997, e la Disney decide di basare il trentacinquesimo classico del proprio canone ufficiale per la prima volta sulla mitologia greca.  Aveva alle spalle trasposizioni di pregio tratte da antiche fiabe (La bella e la bestia), da favole molto più recenti (Dumbo, Bambi) e ancora da veri capolavori usciti dalla penna di uno, se non il più grande autore di fiabe (La sirenetta). La “Walt Disney” poteva vantare persino rielaborazioni tratte da testi molto ben conosciuti (Il gobbo di Notre Dame) o reinterpretazioni di alto spessore (l’arcinoto Sherlock Holmes che diventava il sagace Basil l’investigatopo); tante lavorazioni ispirate a generi diversi che testimoniavano l’invidiabile versatilità degli artisti Disney nel “prendere” le storie già conosciute e modellarle secondo il proprio inconfondibile stile. Soltanto la mitologia greca mancava all’appello, e dunque il suo arrivo fu quasi conseguenziale. La Disney aveva bisogno di un nuovo eroe, badate, proprio un guerriero valoroso, non più un principe della fiabe. Gli autori della Disney non poterono che focalizzare le loro attenzioni sul più grande degli eroi greci, e forse proprio per questo, il più conosciuto: Eracle. Beh, forse il suo nome greco non avrebbe destato la giusta reazione da parte del pubblico. Dopotutto, Eracle è maggiormente conosciuto col nome latino di Ercole. Si decise così di latinizzare il nome greco dell’eroe, e iniziò ufficialmente la produzione di “Hercules”.

“Hercules” è una sorta di omaggio benevolo alla mitologia classica, riportata in scena sotto forma di cartone animato e reinterpretata attraverso lo stile avventuroso di un singolo protagonista. “Hercules” non è però un lungometraggio didascalico ed educativo per quel che concerne lo studio della mitologia, è invece una commedia d’azione, d’avventura, che ha dalla sua il merito di far leva sugli aspetti tipici dei miti storici e leggendari. L’obiettivo del lungometraggio “Hercules” è quindi quello di fare avvicinare i giovani allo studio della mitologia, senza però spiegarne il contenuto, alle volte brutale, del mito stesso. Attraverso l’uso del mito la Disney informa ed educa secondo i propri principi e i propri valori. La storia di Eracle viene così modificata, egli non è più un semidio ma un vero e proprio dio greco, figlio di Zeus ed Era. Tale affermazione potrebbe far sobbalzare dalla sedia chiunque si ritenga un esperto, un divoratore famelico di miti e leggende, eppure tale “ritocco”, calato in un contesto d’animazione, funziona. Eccome se funziona! I bambini non erano forse pronti a scoprire l’origine naturale di Eracle, nato da una relazione adulterina avuta da Zeus con Alcmena, una mortale ingannata dal volere del dio. E gli stessi infanti non si sarebbero appassionati così tanto al film in questione se avessero saputo che Eracle sceglieva volontariamente di sostenere l’atroce fardello delle dodici fatiche per espiare i propri crimini, causatigli da Era che ne avvelenò la mente costringendolo ad uccidere l’amata Megara e i figli. La Disney aggira l’ostacolo dell’intrattabilità di certe tematiche così crude, e snocciola una storia più semplice, lineare, fatta d’amore, d’affetto materno e paterno, ma anche intrisa di odio famigliare. Non mancano infatti le interpretazioni più oscure e neanche troppo velate nella storia di “Hercules”. Il piccolo Ercole è oggetto d’odio da parte di Ade, fratello di Zeus e Signore degli inferi, che lo tramuta in un uomo mortale e lo condanna, inconsapevolmente, a vivere sulla terra. Ade aspira ad ottenere il trono di Zeus, e sa che se Ercole dovesse combattere per lui non ci sarebbe possibilità di vittoria. Hercules cresce sulla terra, allevato da Anfitrione e Alcmena, prima di venir addestrato da Filottete per divenire il più grande eroe di tutti i tempi. Hercules anela a tornare all’Olimpo e sa che potrà farlo soltanto se diverrà un dio, e per arrivare a ciò dovrà compiere il più grande atto d’eroismo che sia mai stato narrato.

“Hercules” è altresì il viaggio di un eroe alla scoperta di se stesso, del posto che può occupare nello scorrere della vita. In “Hercules” non si indaga soltanto l’identità d’animo e ciò che un giorno “diventeremo”, come veniva declamato in “Bambi” e ne “Il re leone” con il cosiddetto “cerchio della vita”, in cui dobbiamo imparare a prendere il nostro posto, vivere e generare altra vita, ma si ricerca proprio il “luogo prediletto” per vivere tale vita. “Hercules” pone in evidenza quanto sia importante la realtà che ci avviluppa per plasmare la nostra identità. Il guerriero è imprigionato tra ciò che è sulla Terra e ciò che potrebbe essere nell’Olimpo. Due mondi così distanti, inesplorati, quello del divino e quello dell’uomo, ed Ercole in quanto semidio confida in sé questa dualità uomo/divinità. L’intero film è un viaggio nella ricerca del proprio posto da occupare, in cui potersi realmente riconoscere in se stessi. Hercules, infine, sceglierà la terra, non perché non sentirà d’essere un dio ma per amore. Ecco che l’amore di Meg diventa la chiave per comprendere cosa si vuole davvero, se la gloria eterna o la semplicità di un’esistenza terrena, la vita mortale. Una scelta che per molti potrà rivelarsi banale, dalla morale semplice e ampiamente prevedibile, ma comunque apprezzabile, se analizzata come degno finale di una storia d’amore appena sbocciata tra il buon Ercole e la femme fatale, dall’animo generoso, Meg. Una sorta di tredicesima fatica emotivamente vinta e compiuta dall’eroe, che per amore trova finalmente e fieramente il proprio posto nella vita, e ascende al proprio destino.

Secondo noi di CineHunters, i lineamenti del viso di Ercole ricordano moltissimo quelli del volto del grande attore Kirk Douglas. Oltre al posizionamento delle orecchie e ai dettagli del naso e del sorriso, persino la fossetta sul mento richiama quella del leggendario interprete. Tale possibile somiglianza non viene riportata da nessun articolo dedicato al film, ed è assolutamente di nostra ideazione.

 

“Hercules” è un elogio alla mitologia, trattata in maniera, per certi versi, non veritiera (Ercole, ad esempio, uccide Medusa in questo adattamento), ma non per questo meno amorevole nei confronti del gusto classico. E’ una lettera d’amore a tratti parodistica, in altri beffarda e in altri ancora più spettacolare. Le nove muse qui vengono ridotte a cinque e non ispirano più lo scrittore, l’artista o l’uomo stesso nella stesura di un’opera o nel compimento dell’impresa a cui anela: sono le vere e proprie narratrici degli eventi. Sin dall’inizio, le muse raccontano ciò che avvenne anni orsono, dilettano il pubblico con canti che inneggiano alla fama dell’eroe e aiutano Meg a comprendere i veri sentimenti provati per Ercole. “Hercules” è paragonabile a una “commedia in costume”, un encomio al teatro tragico e comico dell’antica Grecia. La voce narrante che si ode inizialmente non è altro che il Prologo, le muse sono il coro e la storia rinarrata unisce sapientemente “commedia” e “peripezie” estratte e amalgamate dai due stili preminenti del teatro antico. La macabra presenza delle Parche, la furia violenta dei Titani, dominatori dei quattro elementi, l’amicizia incondizionata del cavallo Pegaso (in verità appartenuto a Perseo e Bellerofonte), Filottete tramutato in una sorta di Satiro sono solo alcuni dei numerosi tributi disseminati nel corso del film ai miti. I registi Ron Clements, John Musker e la Disney stessa citano: la pelle del felino che Ercole indossa in una scena, costituisce un doppio riferimento al celebre leone di Nemea e a Scar, il crudele fratello di Mufasa, antagonista de “Il re leone”.

Il piccolo Hercules disegnato da Erminia A. Giordano per CineHunters

Ma “Herules” poggia gran parte della propria bellezza sull’ottima caratterizzazione dei personaggi. Meg (in Italia doppiata da una bravissima Veronica Pivetti) è bella e sensuale, slanciata e armoniosa, una donna dai folti capelli neri, dalla parlantina sciolta e dal sarcasmo graffiante che nasconde però un’anima triste e affranta. Meg non crede più nell’amore ed è prigioniera del volere di Ade, perché al dio dei morti ha venduto se stessa pur di salvare l’uomo che amava e che, di tutta risposta, l’ha abbandonata. Filottete (doppiato da uno straordinario Giancarlo Magalli) nella sua ironia contagiosa nasconde la delusione di essere un “uomo” incompiuto e insoddisfatto della propria vita. Egli, un addestratore di eroi, non è mai riuscito a donare alla Grecia un combattente valoroso e imbattibile: ha addestrato Perseo, Odisseo, Teseo (un sacco di “seo”) e persino il pelide Achille, ma tutti loro sono stati, infine, sconfitti dal fato o da avversari spietati. Sia Meg che “Fil” troveranno la giusta realizzazione della propria esistenza con Hercules, e l’eroe la troverà in loro, in un simbolico rapporto di dare e avere: Meg riscoprirà l’amore, Filottete addestrerà finalmente il più grande difensore della Grecia antica, e Hercules, dal canto suo, troverà il posto a cui tanto anelava.

“Hercules” può vantare un antagonista per eccellenza, uno dei più amati, dei più potenti e dei più particolareggiati dei classici Disney: Ade. Ade (in Italia doppiato da un grandissimo Massimo Venturiello) è sarcastico, irascibile, furente, iracondo e stressato. Ade si infuria costantemente, sfoga la sua rabbia sui poveri Pena e Panico (Zuzzurro e Gaspare), e i capelli si infuocano fino a diventare di un rosso accesso quando è furibondo. La dialettica di Ade è arguta e cinica, e ne fa di lui un personaggio irresistibile. Anche in Ade è percepibile un’incompiutezza nella vita, egli è odiato da tutti gli altri dei per il suo fare tetro, è condannato a fare per tutta la vita un lavoro che nessuno desidera, mentre su, nell’Olimpo, tutti gli altri dei passano gran parte del tempo a banchettare e a oziare. Pur non potendo giustificare le sue malefatte il personaggio è perfettamente capibile in un'analisi caratteriale.

Con “Herules” la Disney diede un taglio molto ben distinto alla propria opera, mescolando i canoni epici del mito con quelli più spensierati e ironici tipici della comicità disneyana. Ma “Hercules” possiede una particolarità pressoché innovativa: i riferimenti, critici o parodistici, alla cultura americana. Che la storia sia un mezzo per indagare il nostro passato e comprendere maggiormente il nostro presente, e che il mito venisse usato per spiegare in maniera mistica l’origine e la natura di molte realtà che circondavano i greci, è una caratteristica assolutamente inattaccabile, ma la Disney usufruisce del racconto mitologico per trasporre aspetti contemporanei in contesti storici antichissimi. Hercules diventa così l’eroe più amato della Grecia, ed essere così famoso, nell’antichità, non è poi tanto diverso dall’essere una sorta di “vip moderno”. Hercules viene trattato a tutti gli effetti come fosse una star, che rilascia autografi a donne che urlano a squarciagola il suo nome, vive con un seguito di artisti che desiderano ritrarlo in tele da vendere ai fan, e con uno stuolo di artigiani intenti a produrre addirittura del merchandising dedicato all’eroe. Ecco che Hercules firma la sua “Herculade” la bevanda ufficiale dell’eroe, ispirata chiaramente alla “Gatorade”, e dà via alla produzione di elegantissimi sandali (come li definirà Pena) chiamati “Air Hercules” (le Air Jordan vi dicono niente?). Hercules lascia persino le impronte delle sue mani impresse nell’argilla, mimando i gesti degli attori più celebri. Ercole diventa un vip da ammirare e su cui discutere. Ercole oltre che buono, generoso e altruista è a volte ingenuo e sciocco. Gli autori fecero leggermente leva sullo stereotipo della “forza” che di rado accompagna il “cervello”. Ad onor di cronaca, negli stessi miti, Ercole appare molto impulsivo e poco riflessivo. Ma la Disney mette in scena col suo Ercole una vera analisi circa i miti di oggi, e sulla fama che circonderà l’eroe, divenuto una leggenda dopo essere stato un perfetto sconosciuto. Nell’antica Grecia i miti erano gli eroi valorosi e incorruttibili…oggi, invece, chi sono? Naturalmente i miti di oggi, che la società dei consumi moltiplica e distrugge con estrema facilità, non sono più gli eroi greci raccontati da Omero o fatti rivivere sulla scena dai grandi tragici, si tratta invece di gente che spesso rimane pochissimo sulla cresta dell’onda e scompare con la stessa rapidità con cui è stata creata.

“Hercules” è un film molto ben riuscito, divertentissimo ed emozionante. Non avrà la potenza narrativa di altre opere della Disney, ma possiede la particolarità di uno sguardo intenso e profondo rivolto alla mitologia classica, e forse proprio per questo, meritevole d’esser amato.

Voto: 7,5

Autore: Emilio Giordano

Per leggere il nostro articolo dedicato al videogioco "Disney's Hercules" clicca qui

Redazione: CineHunters

Vi potrebbero interessare:

Dal classico del 1997, la Disney Interactive Studios produsse il videogioco intitolato “Disney’s Hercules”. Il gioco venne sviluppato dalla Eurocom e distribuito per Playstation e PC.

Il videogioco di Hercules fu un’esperienza, una di quelle a cui si ripensa con un certo piacere e una sentita nostalgia. Proprio per questo non potrei esimermi dal definirlo un videogioco spiccatamente vintage, perché possiede la qualità d’invecchiare come fosse un cult, e la meraviglia di conservare in sé un gusto retrò, che induce a volerci rigiocare, e non soltanto per un bisogno di sopperire a quel senso di mancanza che il tempo può aver generato, ma proprio perché è un gioco capace di far divertire ancora e in maniera meravigliosa. L’appellativo di vintage non può che calzargli a pennello. In un periodo in cui la grafica poco importava ai videogiocatori, “Hercules” puntava al sodo, a raggiungere l’obiettivo finale: soddisfare i videogiocatori e farli svagare con semplicità.  “Hercules” era un videogioco in 2D, in cui il videogiocatore poteva muoversi frontalmente, eccetto che nei livelli improntati alla corsa, dove il giocatore si trovava ad  affrontare nemici e ostacoli restando in continuo movimento: in tal caso, la visuale di gioco seguiva alle spalle il personaggio, intento a correre verso la meta agognata.

Il videogioco si apriva con una schermata introduttiva che fungeva da menù iniziale, e vedeva la presenza delle cinque muse della pellicola. Attraverso la selezione del menù si poteva cominciare una nuova partita o caricare i progressi precedenti salvati su Memory Card. In alternativa, il videogiocatore poteva ricreare una sorta di password attraverso l’esatto allineamento di alcuni vasi greci che, se combinati adeguatamente, garantivano l’accesso a un dato livello. Tali vasi potevano essere raccolti dal videogiocatore nel corso di un livello e costituivano una specie di “salvataggio”. A Meg spettava il compito di allineare i vasi come le veniva suggerito dal videogiocatore.

I dieci livelli di “Hercules” erano presentati e alternati da scene tratte direttamente dal lungometraggio d’animazione. Il caricamento del videogioco era scandito da rappresentazioni ornamentali che immortalavano spesso l’eroe intento ad affrontare la minaccia che il videogiocatore avrebbe dovuto sostenere a momenti. In tale rappresentazione una musa era disegnata all’angolo dello schermo.

Hercules si muoveva lungo aree in cui poteva avanzare frontalmente e, in alcuni punti, spostarsi verso l’alto o verso il basso attraverso piccoli sentieri (La foresta del centauro) o scale che conducevano alle zone prossime del livello (La grande oliva). Hercules può combattere sferrando i suoi poderosi pugni, caricando al massimo la forza di un singolo colpo, può utilizzare la spada per difendersi, e può saltare e acquattarsi. Hercules, lungo tutta la sua avventura, raccoglie costantemente numerosi oggetti: monete, pupazzi ispirati allo stesso eroe che ne aumentano la barra della salute, un vaso che aumenta le vita a disposizione del giocatore e la bevanda “Herculade” che fa mantenere la buona salute, e che ogni qual volta viene presa fa pronunciare al personaggio il nome “Ercole”. Altri oggetti che possono essere presi sono le lettere che formano il nome completo “Hercules”, 4 vasi nascosti a livello, e alcuni oggetti magici che donano ad Ercole poteri come la capacità di sferrare saette oppure onde di fuoco direttamente dalla sua spada. Con tali poteri Ercole può abbattere gli uccelli in volo che tentano di divorarlo (ispirati probabilmente agli uccelli del lago Stinfalo della mitologia). Hercules può anche conquistare, per un breve lasso di tempo, l’elmo di Ermes, che gli conferisce una totale immunità agli attacchi e si rivela estremamente utile nei livelli in cui il personaggio corre contro decine di ostacoli e avversari, e i calzari di Hercules (le Air Hercules) che gli donano una maggiore velocità di movimento. Hercules sul suo cammino incontra spesso Hermes, che permette il raggiungimento del checkpoint della missione.

Il videogioco si apre con l’addestramento di Ercole, sotto l’attenta guida del mentore Filottete, che segue il giocatore di pari passo sullo sfondo delle vicende. Spesso Fil, incita il suo pupillo, complimentandosi per l’ottimo rendimento e ripetendo frasi estratte direttamente dal film: “Niente male ragazzo, non era proprio quello che avevo in mente, ma è niente male.”. Filottete ci suggerirà spesso di rammentare la regola numero 95: concentrarsi. Alcune zone del gioco celano dei segreti: sempre nel primissimo livello, ad esempio, Hercules può scalare delle zone rocciose in cui il terreno sembra venir giù all’improvviso. Saltando e percuotendo la zona con la possanza delle sue gambe, Ercole può far franare il terreno sottostante e scoprire delle aree segrete colme di tesori. Ercole, spesso, deve abbattere delle colonne gigantesche o imponenti costruzioni che sbarrano il passaggio. Tali sbarramenti possono essere distrutti lentamente, scaricando su di esse una lunga serie di pugni, oppure con un solo colpo, caricato con la massima forza e assestato al momento opportuno.

Molti sono i dettagli scenici estrapolati direttamente dal film, nel livello ambientato a Tebe, Ercole incrocia sul suo cammino l’uomo che, ironicamente, nel lungometraggio tentò di vendergli “sottobanco” una meridiana. Semplicemente avvicinandosi, Eracle riceverà numerose monete da tale mendicante.  Nel medesimo livello, Ercole (non Teseo) dovrà uccidere il Minotauro che pone sotto scatto la città. Ercole affronterà anche alcune delle sfide più ardue viste su pellicola: nel livello dedicato all’Idra, l’eroe dovrà mozzare la testa del mostro mitologico dopo averne schivato i suoi devastanti attacchi. Inutile affermare che per ogni testa mozzata, ne spunteranno delle nuove…

Un livello rielaborato direttamente per il videogioco è quello in cui Ercole (nel mito vero invece è Perseo) affronterà Medusa, la gorgone capace di pietrificare all’istante chiunque la guardi direttamente in viso. Nascondendosi dietro delle colonne greche, Ercole dovrà volgere lo sguardo della gorgone verso il riflesso di uno specchio.

Tra i livelli improntati sulla corsa dell’eroe non può non venir citato quello dedicato al Ciclope. Ercole dovrà farsi strada in una Tebe sotto attacco, andando nella direzione opposta rispetto a dove tutti i tebani (gli ebetani…) stanno fuggendo, terrorizzati. E nella fuga gli stessi Tebani non si cureranno minimamente di scontrarsi con il figlio di Zeus…. A distanza di anni resta indimenticabile per tutti i giocatori che hanno amato tale videogioco, l’urlo del Ciclope che reclama impaziente e disperato l’arrivo di Ercole, incitandolo a “venir fuori” ed affrontarlo.

Nel terzultimo livello, Hercules cavalcherà Pegaso, volando verso l’Olimpo contro i Titani, dovendo evitare il ghiaccio, il fuoco, la roccia e il vento. In tale livello Ercole potrà attaccare soltanto con la sua spada, e dovrà dirigere attentamente il volo di Pegaso, onde evitare la furia dei giganti, e potrà soltanto arretrare o avanzare.

Sarà alquanto deludente, invece, l’ultimo livello del gioco, in cui Ercole affronterà Ade in uno spazio ristretto. Ade sarà facilmente battibile, bisognerà soltanto curarsi di evitare le insidie delle fiamme scagliate dal dio degli inferi.

“Hercules” fu un bellissimo videogioco, adatto a qualunque fascia d’età, e dal divertimento assicurato, sia per i fan del film che per i videogiocatori amanti delle avventure ricche di genuinità.

“Hercules” è divertimento videoludico vecchio stile: praticamente inossidabile!

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: