Capita spesso di porsi alcune domande, specie nei momenti più riflessivi, come al calar della notte, quando si resta seduti sulla poltrona, circondati da una serie di piccoli specchi, rinchiusi nella propria cabina sulla poppa della nave a sorseggiare del vino da una coppa dorata. Sono quei momenti in cui neppure giocare con la propria isola e fare fuoco a babordo con il plastico di un galeone può attenuare la nostalgia per un ricordo felice, che appare tanto distante da indurti a chiedere: “cos’è la felicità?”. Un orizzonte limpido davanti a sé, privo di alcuna preoccupazione imminente, è forse questa la vera felicità? Quella che si concretizza nel mantenere un senso di rilassatezza che possa permettere il proliferarsi della creatività, della fantasia e del sogno. La felicità più pura, quella che coincide con il desiderio sognante è tipica dei bimbi: è il pensiero felice. Personalmente, me lo ha insegnato “Hook”. No, non solo il film, anche lui, proprio Uncino, pardon, Capitan Giacomo Uncino. Mi ha insegnato che se si è privi di un solo pensiero felice si cede alla malinconia, vivendo nella solitudine dell’abbandono e nell’alienazione di un mondo ormai svuotato dalla benché minima avventura da quando la nemesi di un tempo è ormai l’ombra sfocata di ciò che rappresentava tanti anni fa. Si finisce poi per rievocare spaventati la mamma, un’ultima volta, quando un gigantesco coccodrillo, risvegliatosi per pochi istanti, spalanca le fauci lasciando cadere al suolo una grossa sveglia col solo intento di banchettare con i nostri corpi inermi.
Un pensiero felice è anche legato ad un singolo oggetto, per noi custode di vecchi ricordi e di emozioni trascorse, me lo ha insegnato Tootles, che riprendeva il sorriso quando ritrovava le sue biglie e smetteva così di sembrare perennemente “sulle nuvole”, perché poteva raggiungerle davvero questa volta, volando sopra la torre del Big Ben una sera d’inverno, avvolto dalla neve, con l’ausilio di una polvere di fata. Lo ha insegnato anche a voi?
Me lo ha insegnato anche Robin, voglio dire, Peter. Mi ha insegnato quanto possa diventare ripetitiva, monocorde, una vita dedita soltanto al lavoro e alla freddezza di un ufficio, lontana dal calore di una famiglia e dall’avventura di un luogo staccato dalla realtà, dove continua ad attenderlo e ad amarlo Trilli, che alberga proprio laggiù, tra il sogno e la veglia, dove non possiamo più ricordare cosa stavamo sognando davvero. Un luogo all’apparenza imperscrutabile, poiché troppo vicino al reale e ancora poco distante dal fantastico. Peter ha continuato ad insegnarmi quanto possa essere difficile ritrovare un vero pensiero felice e come sia arduo vivere senza, poiché il pragmatismo, la tendenza realistica, tiene saldamente i piedi ancorati a terra, impedendo ai sognatori di alzarsi in volo. Restano condannati, se scevri da un pensiero felice, persino i previdenti e gli speranzosi, coloro che sanno di non dover volare troppo vicini al sole ma vogliono comunque provarci, perché magari, nel mondo dei sogni, il sole non brucia davvero le nostre ali di cera e non mette freno ai nostri desideri. “E’ fatta! L’ho trovato!” - me lo ripeto sempre quando scorgo un pensiero felice, e voi? Trovarne uno sancisce una sfida nel non perderlo; dobbiamo tenerci stretto quel pensiero felice, così che allontani tutti gli affanni accumulati e scacci ogni residuo di paura, e se ci riusciamo, siamo pronti a spiccare il volo, il Peter Pan che dorme sopito in noi è tornato. Un pensiero felice è un domani radioso, un orizzonte non solo limpido ma anche soleggiato, è il bambino che è in noi che torna ad allietare l’adulto, perché proprio come Peter voliamo fino al sole, mentre i bimbi sperduti ci guardano entusiasti, e con un’ulteriore spinta delle nostre gambe, piombiamo giù in picchiata, come un falco sulla preda, a volare sopra i galeoni, facendoci solo sfiorare dalle palle di cannone che i pirati ci sparano contro ed evitando ogni genere di freccia scagliata dagli indiani dell’isola.
“Hook” è un’opera fantastica che si riduce ad una sola e unica indagine: scorgere la via di una felicità mirabile, e in questa costante ricerca, verità e leggenda si intrecciano, travalicando i confini dell’infinito. Un Peter adulto nella sua consistenza reale mira con sgomento un disegno che lo ritrae giovane e audace tra le pagine consunte di un libro che narra ciò che fu ma non ciò che potrà essere. La negazione della fantasia si scontra così con l’arte dell’affresco che immortala, sulle stesse pareti della casa, Uncino su di un’imbarcazione in procinto di giungere da un mondo imperscrutato. Il ritratto e la narrazione letteraria sono prove di un passato oramai sperduto nell’oblio dei ricordi, e il mito di Peter Pan viene testimoniato nell’arte, atta a tracciare l’iniziale percorso della ricerca della felicità che il protagonista dovrà presto intraprendere. Una ricognizione lunga una vita, con il tempo, temuto da Uncino, che scorre inesorabile, anche se non viene scandito dal suono di una sveglia o di un cucù.
Sebbene il film diretto da Steven Spielberg sia meritevole d’esser menzionato per l’imponenza di un cast stellare, per l’indubbia qualità di una pellicola onirica e visionaria, e per il rispetto amorevole che nutre verso la spensierata fanciullezza, “Hook” dev’essere analizzato, prima di tutto, come un film che esplora la felicità in quanto motore acceso dell’animo umano. Pertanto, il lungometraggio di Spielberg dovrebbe essere commentato con un linguaggio garbato e amichevole, come se venisse rinarrato tra le pagine di un diario dei ricordi. Per tale ragione ho scelto di descriverlo attraverso ciò che per me ha significato, perché è una pellicola alquanto personale, capace di subentrare nella profondità dell’animo dei piccoli spettatori che, come il sottoscritto, hanno avuto la fortuna e il piacere di vederlo per la prima volta da bambini. “Hook” è un film che desidera insegnare, trasmettere in un formato di magia didascalica ciò che ogni personaggio può esplicare tramite il proprio percorso.
“Hook – Capitan uncino” non è solo un fantasy che rielabora l’immortale storia di J. M. Barrie mostrandoci un Peter Pan adulto, “Hook” è un continuo elogio alla natura mutevole della felicità, quella che ognuno di noi può e deve ricercare nel corso della propria vita nelle più disparate ragioni. La felicità è motivazione, una spinta costante, e proprio per questo è tra i più coinvolgenti sentimenti provati dall’uomo, specie se combinata con l’arte dell’immaginazione. Ciò porta a sedersi intorno a una tavola imbandita di piatti e bicchieri vuoti, e di posate lasciate lì unicamente per rammentare ai piccoli commensali il bisogno di non doverle usare, poiché l’inganno della fantasia e del gioco ci permette di trovare di colpo, non appena apriamo gli occhi, piatti ricolmi di cibo appetitoso e bicchieri traboccanti.
“Hook – Capitan uncino” ci mostra che il sogno è uno strumento che non smette di funzionare non appena si abbandona l’innocente illusione della giovinezza, e ci offre questa tangibile testimonianza seguendo le orme e il pellegrinaggio di Peter, che ritrova se stesso quando ormai sembrava troppo tardi, quando aveva già varcato la soglia della monotonia degli adulti. Un’opera volta a ricordarci l’importanza di “credere nelle fate” e di vedere il più delle cose con gli occhi sognanti di chi crede che tutta una vita possa essere una grande avventura.
Perché il pensiero felice ci permette di volare, di finire realmente su nel cielo, a “nuotare” sopra un pascolo di nuvole, facendoci accarezzare dal vento poco prima di mirare la seconda stella a destra, per poi proseguire dritto fino al mattino. Già! All’isola che non c’è!
Autore: Emilio Giordano
Redazione: CineHunters
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