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"La Pantera Rosa e Jacques Clouseau" - Dipinto di Erminia A. Giordano per CineHunters

Una delle poche cose, anzi forse la sola cosa che Peter Sellers sapeva di se stesso era questa: che si chiamava Peter Sellers. A tutti coloro che, con garbo, gli rivolgevano parola, egli socchiudeva gli occhi, serrava le spalle e rispondeva con quanto sto per dire: “Io sono Peter Sellers!” Tutti, naturalmente, lo sapevano già, ma per lui quel nome ridondante, quell’identificativo puntualizzato, non era cosa da poco. Corrispondeva a tutto, o per meglio dire all’unica impronta singolare che conosceva di sé.

L’inizio di questo mio testo richiama in parte, intenzionalmente e con una nota d’ammirazione, le parole con cui Luigi Pirandello scrisse le premesse di uno dei suoi racconti più famosi. Di fatto, “Il fu Mattia Pascal” comincia con un preambolo che ammalia il lettore; un’introduzione nella quale il personaggio principale precisa l’unica verità che non ha mai scordato nel corso della sua lunga vita: il suo nome, quell’insieme di vocali e consonanti che, messe insieme, sono in grado di rievocare un passato, ciò che Mattia Pascal, in effetti, fu. Per Peter Sellers, tuttavia, non valeva lo stesso principio. Egli sapeva il suo nome, lo ripeteva come fanno tutti quando devono presentarsi innanzi ad interlocutori sconosciuti o inattesi, ma per lui quel nome non era altro che un comune appellativo, un “epiteto” di dubbia valenza. Peter Sellers era conscio di chiamarsi in tal modo, ma non sapeva chi fosse davvero, né se un fantomatico Peter Sellers esistesse realmente. Una volta lo ammise schiettamente, e confessò che la sua personalità era del tutto assente, come se fosse stata rimossa chirurgicamente. - “Io non so chi sono.” - sussurrò, inquietantemente, in qualche circostanza.

Ai suoi stessi occhi Peter Sellers non era nessuno, poco più di un fantasma fluttuante, una carcassa viva ma indefinita, argilla informe ma propensa a modellarsi in maniera continuata e sempre differente, via via che ce ne fosse stato bisogno. Sellers era un attore e come tale vestiva, di volta in volta, gli abiti dei suoi personaggi, assumendone caratteri e destini. Essi gli si modellavano addosso come abiti di taglio sartoriale, cuciti su misura. Star istrionica e maestro del trasformismo, Sellers fu un camaleonte che mutava la propria pelle in diverse tonalità cromatiche sino a perdere se stesso, il proprio vero colore.

Passo dopo passo, pellicola dopo pellicola, Sellers alterava radicalmente la propria fisionomia, trasformandosi in qualcun altro, in uno differente da sé. Già, ma a cosa corrispondeva questo “sé”? Dietro le sue maschere, oltre i suoi camuffamenti, vi era un volto affranto, crucciato, intollerante e terribilmente sofferente. Chi era, in fondo, Peter Sellers? Un Mattia Pascal che aveva perduto la propria identità e consumava il proprio tempo a peregrinare da un luogo ad un altro.

Sellers era un uomo enigmatico, di indole malinconica, un artista pedante e maniacale che si crogiolava nei tormenti. Il suo temperamento impaziente, il suo ego facilmente scalfibile, la grave depressione che lo affliggeva, le sue ire improvvise e i suoi comportamenti infantili lo resero un interprete difficile, mal sopportato dai registi e mal visto da colleghi, amici e famigliari. Sellers era insicuro, dannatamente e incurabilmente insicuro.

Viveva in una selva di ansie, pativa, come una morsa che lo divorava dall’interno, il terrore di non riuscire a far ridere il suo pubblico, proprio lui, uno dei comici di maggior talento della storia della settima arte. La mente, se fragile, può fare brutti scherzi, può rompere ogni fiducia ed indurre a dubitare delle proprie abilità, anche se queste ottengono i riscontri tango anelati, i successi a lungo desiderati. Peter Sellers era amato e rispettato come un divo affermato; ciononostante egli ammetteva d’essere perennemente scettico circa le proprie doti espressive. Così sfogava le frustrazioni in fiumi di alcool che scorrevano copiosi in grosse caraffe. Tentava, inoltre, di eludere le proprie paure fuggendo via, smarrendosi in tunnel bui, ripieni di droga, dentro i quali la luce del giorno si faceva sempre più fioca e la lunga notte scendeva tetra e inevitabile.

Ultimate le riprese di un film, Sellers, sovente, restava solo, come un personaggio tragico all’ultimo atto di un dramma prossimo a compiersi. I suoi matrimoni fallivano uno dopo l’altro, i rapporti con i figli si incrinavano. Peter Sellers era un genio ed un pazzo al tempo stesso. La genialità e la follia – già – sono due facce della medesima medaglia.

Sellers giaceva in un limbo di incertezze e angosce che lo isolavano dagli altri. In lui, era possibile scorgere il riserbo di un’acuta insicurezza, quella stessa insicurezza tanto ingombrante da gettare il povero guitto che ne soffre nel protratto silenzio e nel costante maceramento. Seller era un artista poliedrico, dall’innata inclinazione comica, eppure non riuscì mai a capirlo, perso tra le sue ossessioni, schiavo dei suoi demoni. Non ebbe mai modo di fare uno sfoggio consapevole della propria abilità recitativa. Peter Sellers era capacissimo ma insicuro, al contrario di Clouseau, che era incapace ma sprezzante. Quale ironia!

Ci fu un tempo non troppo lontano in cui questo Clouseau vagava spaesato, come un personaggio in cerca di attore. Qualcuno giurò di averlo visto muoversi, a fatica, da un capo all’altro di un periodo scritto, di una frase che doveva essere ancora pronunciata. Nessuno si era preoccupato di dar lui contorno, gesto, fattezza. Clouseau, in quel tempo, non esisteva ancora, viveva a stento, boccheggiava tra il bianco della carta, poiché era solo un’idea, un’intuizione imbastita, un pressappoco, un comprimario di un’opera filmica ancora da farsi.

In quel copione appena abbozzato e pasticciato d’inchiostro, Clouseau veniva delineato sommariamente come un investigatore. Badate bene, però, non un investigatore come era auspicabile attendersi, non un tizio accorto, riflessivo, intuitivo. Non una sagoma introversa col vizio del fumo, immersa in una nuvola grigia a pensare, assorta e silenziosa. Non si trattava, neppure, di un tipo razionale e intrigante, con la passione per la buona letteratura. Clouseau – beh - doveva essere un “detective” di tutt’altra caratura. La sceneggiatura da cui emise il primo vagito questo bizzarro ometto con la lente d’ingrandimento in mano lo bollava, sin da subito, come un piedipiatti sciocco, un perfetto idiota. Clouseau era stato concepito come un inetto, un incapace, un maldestro ispettore di polizia.

Conseguentemente, Clouseau si discostava e di molto dalla classica figura dell’investigatore attento, incline a cogliere il particolare, l’indagatore minuzioso, sagace e un pizzico faceto. Insomma, per dirla alla buona, questo tipetto impudente chiamato Jacques fu partorito come un gonzo a cui ogni forma di trionfo era stata preclusa. Poco altro venne indicato nel copione per quanto riguardava questo soggetto, vago nel carattere ancor più che nell’aspetto.

Or dunque, Peter Sellers raccolse il “manoscritto” tra le mani, lo lesse e plasmò il suo investigatore di lì a poco. Colui che non aveva una vera personalità, quell’uomo tanto disturbato e infelice, conferì, con grande naturalezza, un’individualità cristallina e del tutto singolare al suo ispettore. La maschera di Clouseau fu, quindi, indossata dall’attore britannico. L’aspetto e la cadenza di questo personaggio erano belli che pronti: un trench bianco, un cappello ben piantato in testa, baffi folti a sormontare le labbra, un accento spiccatamente francese, una pronunzia scorretta e un incedere signorile ma tendente al claudicante, all’impaccio improvviso. Peter Sellers inventò tutto ciò dal nulla. Quello che accadde dopo, come si suole dire, è storia nota.

Nel primo lungometraggio della serie de “La Pantera Rosa”, Clouseau non figurava come protagonista. Come già accennato, egli era un comprimario, un personaggio di contorno, l’improbabile antagonista di un ladro gentiluomo. Al pari di un “Zenigata” dall’accento francese, Clouseau inseguiva infruttuosamente il suo acerrimo nemico, un “Lupin” che vantava il volto di un aristocratico inglese.

In questa pellicola d’esordio, Clouseau si palesa ingenuo e arruffone, e viene imbrogliato da tutti. I restanti personaggi del film si prendono gioco di lui, ingannandolo come si è soliti fare ad un pivello. Persino la moglie, la donna che Clouseau adora e per la quale si mostra sottomesso come un antico schiavo, non fa che raggirarlo. Clouseau, quindi, con i suoi inciampi, con i suoi capitomboli, con i suoi abbagli ai limiti dell’assurdo genera compiacimenti e risate, cionondimeno dalla sua storia è possibile intravedere, almeno nella prima pellicola, una rilettura commuovente. Innanzitutto, per quanto riguarda la sua vita privata.

Jacques sembra innamorato perso di Simone, la sua consorte, e per lei è disposto a comportarsi in maniera servizievole, accontentandola ad ogni capriccio. Simone non lo ama affatto, ma Jacques non può dedurlo, preso com’è a riverirla. Simone è una donna bella e criptica come un diamante che brilla, nascondendo, con un gioco di riflessi e di luci, la propria meschinità. Ma Jacques non si fa troppe domande su di lei, a lui importa soltanto averla e non sentirsi solo. Anche Peter Sellers cercò per tutta la vita una donna che potesse amarlo, portarlo via dalla strada della solitudine, restargli accanto, tollerarlo.

Clouseau vorrebbe, poi, essere preso sul serio nel suo lavoro, ma la sua goffaggine non fa che metterlo alla stregua di un sempliciotto. Egli aspira, inoltre, ad essere riconosciuto come un poliziotto infallibile ma la fama, in tal veste, non arriverà. Soltanto quando sarà ingiustamente processato e arrestato, la folla ed i colleghi di lavoro lo accoglieranno come un eroe scaltro e attento, lesto a gabbare le forze dell’ordine. Negli istanti finali dell’opera filmica, a Clouseau, deluso, non resterà che accettare lo scherzo, fingersi davvero un ladro e godersi, per pochi, ineffabili, momenti la gloria tanto sognata. Il primo Clouseau era un uomo incompreso, che agognava l’approvazione dei superiori e dei sottoposti, ma non poteva raggiungerla come ufficiale di polizia, troppo inadatto per farcela. Pur di percepire questa sensazione di notorietà, pur di sentire l’abbraccio e il calore della gente, Clouseau accetta, infine, d’essere reputato un criminale. Si conclude così la prima vicenda del noto ispettore, con un esito amaro, ironico ma profondamente ingiusto.

Anche Peter Sellers sognava l’approvazione della massa. Desiderava costantemente avvertire il supporto, l’apprezzamento, le risate della sua gente. Sebbene ricevesse tutto questo, non fu mai del tutto convinto di meritare quanto riscuoteva. Similmente all’originario Clouseau, lo stesso Sellers era un uomo che faceva ridere, che strappava consensi ma che, in fondo in fondo, si sentiva triste, incompleto, eternamente inappagato.  

Il personaggio dell’ispettore spopolò nel mondo e, nel sequel della Pantera Rosa, divenne l’assoluto protagonista. I tratti pertinenti di Clouseau si amplieranno con il secondo film. In questa successiva pellicola, Sellers affinò ulteriormente i caratteri salienti della sua maschera comica. La goffaggine, la stupidità, il coraggio emersero, trasbordanti, in Clouseau. L’attore mise a nudo le bizzarre consuetudini dell’ispettore, come i dissidi quotidiani ed esasperanti con il capo Dreyfus o gli addestramenti col maggiordomo Cato, sempre incline a tendere agguati tanto surreali quanto imprevedibili per mantenere l’ispettore vigile e in allerta. Oltre questi segni distintivi, Sellers donò al personaggio un temperamento ironicamente tronfio ed una sfrontata… sicurezza. Quella che a lui mancò per tutta la vita.

L’ispettore Clouseau, differentemente dall’attore che lo interpretò con tale maestria, ostenta una sicurezza invidiabile, uno spirito audace, impavido, certo dei propri mezzi sebbene non debba. Clouseau è, infatti, sicuro di sé, ed è convinto d’essere un eccelso investigatore. Invero, egli è rimasto un adorabile imbranato, un ottuso e sgraziato “gendarme”. Clouseau inciampa a ritmi continui, distrugge tutti i mobili che, sfortunati, giacciono nelle medesime porzioni di spazio in cui egli agisce. Clouseau procede imperterrito, lasciando scie di catastrofi alle sue spalle. Ancora, egli ferisce inconsapevolmente i suoi poveri interlocutori e genera disastri al pari di una calamità naturale. Del resto, Clouseau può essere descritto come un tornado contenuto nel corpo disadorno, slanciato e smunto di un uomo qualunque. Tuttavia, l’ispettore pare non accorgersi mai di ciò che accade intorno a lui, delle iatture che combina, dei disastri che lascia al suo passaggio, delle sventure che perseguitano chi gli sta attorno. Talvolta, però, si scusa per i suoi bizzarri incidenti, senza mai comprendere appieno l’origine paradossale delle sue disavventure. Ma non tutto ciò che gli accade passa inosservato alla sua vista.

Quando casca a terra, Clouseau si rialza prontamente, vergognandosi timidamente del proprio ruzzolone. Sellers infuse a Clouseau una lieve vanità, una dignità sciorinata dal suo portamento fiero, orgoglioso, che poco aveva a che vedere con la goffaggine che affiorava d’improvviso in lui. Clouseau è tanto distinto quanto dinoccolato, cerca di darsi un portamento da elegante indagatore per poi apparire come un questurino rabberciato. Clouseau vorrebbe essere bravo e diligente ma non può, poiché il suo è un fato già scritto. La natura di Clouseau è inalterabile: quella d’essere un inguaribile pasticcione. Quindi, Jacques fa finta di nulla, fa sì che le brutte figure gli scivolino via come gocce di pioggia su di un impermeabile color pastello.

L’ispettore Clouseau rappresenta il desiderio di Peter Sellers di riuscire a scrollarsi di dosso il peso di un’aspettativa personale irraggiungibile. Sellers avrebbe voluto padroneggiare la sicurezza del suo personaggio, avrebbe voluto, in parte, possedere la sua personalità, vale a dire l’abilità d’essere risoluto anche a seguito di un intoppo, di un banalissimo sbaglio. Sellers era un maniaco della perfezione, non contemplava l’errore come una caratteristica dell’essere umano. Forse, in cuor suo, avrebbe desiderato avere in dono un po’ del carattere del suo più celebre alter-ego: quel carattere che riusciva ad andare oltre la svista, al di là della figura barbina. Clouseau cadeva ma era sempre pronto a rialzarsi con baldanza, senza mai rimuginare troppo su quanto accaduto. In altre parole, Clouseau incarnava la leggerezza, la disinvoltura, la voglia di andare oltre il giudizio del prossimo, di non lasciarsi sopraffare dal dubbio e dall’incertezza, “perizie” mai possedute dal suo afflitto interprete.

In ogni sua avventura, Clouseau è protetto da una fortuna sfacciata, da una provvidenza manzoniana che veglia sul suo corso, aiutandolo a sopravvivere a svariati attentanti e ad assassinii premeditati. Tale provvidenza fa sì che l’ispettore riesca sempre a risolvere il caso, pur non avendone ben compreso i fatti. La mano provvidenziale della sorte premierà sempre Clouseau, restituendogli le soddisfazioni e i meriti che, nella sua primissima avventura, mancò tristemente. Tali meriti Clouseau li otterrà non certo per la sua intelligenza, ma in virtù della sua bontà d’animo. L’egual provvidenza non vegliò sul triste destino di Peter Sellers. Questo attore dallo sconfinato talento spirò dopo un’esistenza travagliata e autodistruttiva.

Ma chi era Peter Sellers, infine? Mah! Forse nessuno lo ha mai saputo.

Non era né l’attore e neppure il personaggio, non era né Peter né Clouseau. Era forse la Pantera Rosa, quel felino antropomorfizzato che camminava in posizione eretta e che seguiva, come un segugio, le gesta del minuto ispettore. Col suo manto rosato, col suo volto allegro, con quell’andatura sicura di sé, col suo agire fortunato e sublime qualunque cosa facesse, la Pantera Rosa simboleggiava la compiutezza dell’uomo e dell’artista.

E’ proprio la Pantera a personificare i due aspetti bramati da Peter e da Clouseau: la sicurezza tanto agognata dall’attore e il talento così ricercato dalla maschera. In quell’animale nato da una punta di matita, persona e personaggio si sono ricongiunti.

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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