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(Rilettura personale della fiaba di Hans Christian Andersen)

Era l’ultimo giorno dell’anno e faceva tanto freddo. Il vento soffiava forte forte dalle montagne, giungendo fino alla città. Quella sferza glaciale, sin dalle prime luci dell’alba, avviluppava i corpi dei viandanti con le sue mani invisibili, stringendoli in un gelido abbraccio.

La gente trotterellava di gran fretta lungo strade serrate da mucchi di neve. Gli uomini che si attardavano per quelle vie, sebbene fossero grandi e grossi, solevano rannicchiarsi di continuo tra le pieghe dei loro cappotti, celando il proprio volto dietro gonfie sciarpe di lana. Le donne, dal canto loro, si coprivano le mani con guanti di pelle scura, velando, al contempo, il viso sotto spessi cappucci. Qualche ciocca arricciata dei capelli di queste donne fuoriusciva, comunque, dal copricapo e veniva lambita dai fiocchi bianchi che scendevano dal cielo.

Venne la sera, e la folla che rallegrava la grande piazza si dissolse. Le persone rientrarono nelle proprie dimore, dove avrebbero atteso la venuta del nuovo anno. Da un misero vicolo, spuntò una bimbetta. Costei procedeva fiacca, col capo chino. Levava gli occhi di tanto in tanto da terra e guardava gli adulti, imponenti, fuggire via verso il tepore del focolare domestico. La bambina provava ancora a farsi ascoltare da chi le veniva incontro, pronunciando fioche parole con la sua voce debole. Nessuno accostò l’orecchio. Nessuno si curò di lei. Tutti passarono oltre.

La bimba era molto triste. Sapeva che non poteva assolutamente fare ritorno a casa. Vagò sola per tutta la sera, disperata e a piedi nudi. In una manina stringeva una scatola di fiammiferi. Avrebbe dovuto venderli tutti entro la fine della giornata, ma non era riuscita a venderne neppure uno. Non aveva incassato un singolo scellino, e non osava fare marcia indietro. Ella sapeva che il patrigno l’avrebbe punita. Le mani nodose e forti del genitore l’avrebbero colpita in viso, le avrebbero fatto male. Per lei, il freddo della notte avrebbe avuto un tocco più lieve.

La piccola fiammiferaia si allontanò dal piazzale, dileguandosi nell’ombra. Trovò un angolino in cui riposare, formato da due case molto vicine tra esse. Si rannicchiò in quella porzione di spazio, tirò verso di sé le gambette e si sfregò le mani. Alitava su di esse nel vano tentativo di riscaldarle. Ad ogni respiro affannoso, vedeva dinanzi a sé il soffio della vita che le stava scivolando via nel freddo.

Il vento continuava a brontolare, oltrepassando le mura ghiacciate che racchiudevano il corpicino della giovane venditrice di fiammiferi. La piccola non aveva di che coprirsi. La sua veste azzurra e minuta era per gran parte scucita, rattoppata alla meglio, e non aveva alcun cappuccio per proteggere il capo. I fiocchi di neve le cadevano addosso, fermandosi tra i boccoli della sua chioma dorata. Era tanto bella, nonostante fosse pallida. Le guance purpuree le erano diventate ceree, le labbra apparivano di un rosso slavato e i piedi avevano assunto un colore violaceo.  La bimba raccolse un fiammifero, lo sfregò contro la parete grezza ed esso si accese. Una tenue fiammella si alzò alta davanti ai suoi occhi, illuminando l’esiguo giaciglio su cui la piccola se ne stava adagiata. Che dolce luce che era quella prodotta dal fiammifero!

Per la piccina, quel riverbero era un raggio di sole giallo, ancor più luminoso delle candele di Natale accese e lasciate sui davanzali delle finestre o sulle balconate delle case. Da quella luce, la piccola vide scaturire un’immagine nitida, come se fosse giunta in un sogno.

La bambina vide una stufetta giacere proprio lì, ferma e pullulante di calore, con il focherello che si muoveva ondulante al centro. Protrasse la mano che non teneva il fiammifero e provò a godere un po’ di quel calore. Le parve di avvertirlo sulla pelle smorta. Quel caldo tenue le ricordò una sensazione passata, la stessa che la piccola avvertiva quando la nonna la svegliava, dandole un bacio sulla fronte al mattino.

Il fiammifero si spense. La fanciullina, allora, ne prese un altro. Lo sfregò nuovamente, ma questo non si accese. Era da molto che vendeva fiammiferi e sapeva che, quando la capocchia di un fiammifero non si accende al primo sfregamento, non si accende più. Un fiammifero è come un pezzetto di vita umana: nasce una sola volta, arde luminoso e si consuma di gran fretta, dopo di che muore, si estingue come una modesta vampa su cui è stata versata dell’acqua.

La piccola fiammiferaia ne raccolse un altro, e poi un altro ancora. Finalmente uno si accese al primo tentativo, e materializzò un nuovo ritratto: una tavola imbandita e un albero di Natale che s’innalzava lì vicino. Era ciò che sognava la fanciullina: del buon cibo e un albero rigoglioso, ricco di colori. La giovane guardò con più attenzione, e scorse un camino dentro cui bruciavano ceppi di abete. Era il camino della nonna, non poteva non ricordarlo. Lo riconobbe dalle pietre grigie che ne ornavano la base. Le toccava sempre quelle pietre quand’era ancora più piccola e se ne stava a giocare sul pavimento caldo. La nonna la prendeva in braccio e la metteva a sedere quando era pronto in tavola. Ma quella visione non era che un idillio, l’eco di una memoria ormai svanita. 

Allora, la bimba volse lo sguardo all’insù. La neve precipitava copiosa su di lei, impedendole di vedere distintamente. Ma ella riuscì lo stesso a scrutare un bagliore improvviso scuotere il buio del cielo. Una stella cadente lo aveva appena attraversato. “Un’anima è pronta a salire in paradiso” – sussurrò la piccola fiammiferaia, con la poca voce che le era rimasta. La nonna le raccontava sempre questa storiella. “Quando vedi una stella cadente, nipotina mia, vuol dire che un’anima è pronta a volare in cielo.”

Le erano rimasti pochissimi fiammiferi. Ne accese un altro. Adesso, vide il volto della sua amata nonna. Ella la salutava, sorridendole con amore. La nonna teneva gli occhi chiusi, sbarrati da un nugolo di rughe. Stupefatta, la piccola fiammiferaia si mosse, e accarezzò i capelli d’argento della nonna; poi le poggiò le mani sulle guance. La nonna non batté ciglio, e sorrise ancora.

“Non senti il freddo delle mie mani, nonna?” – bisbigliò subito. E la nonna scomparve nell’oscurità.

"Ofelia e Pan" - Dipinto di Erminia A. Giordano per CineHunters. Anche Ofelia, la protagonista del "racconto" di Guillermo del Toro, è una piccola fiammiferaia. Per saperne di più cliccate qui.

Il fiammifero si era spento. Di tutta fretta, la bambina raccolse i fiammiferi rimasti. Li sfregò uno ad uno. La nonna le sembrava più vicina di volta in volta. In un attimo la prese in braccio, tenendola a sé come faceva quando era appena nata. La piccola fiammiferaia si emozionò così tanto che cominciò a piangere, ma le gocce che le scendevano lungo le gote svanivano al contatto con l’aria gelida.

La nonna la cullava pian piano, e la piccola era finalmente felice. Dondolando tra le braccia della nonna, la bambina si sentì lieve come se le paure e i tormenti si fossero staccati dal suo spirito, cadendo al suolo, disperdendosi. La piccola fiammiferaia era tanto emozionata, eppure il suo cuore non batteva velocemente come si sarebbe aspettata. Quando ci fece caso, si accorse di non sentir più alcun battito. La nonna le baciò la fronte e la piccola fiammiferaia chiuse gli occhi. Entrambe volarono via. 

La notte passò rapida. L’indomani, gli uomini e le donne, imbacuccati sotto dense pellicce, accorsero per le strade, lieti di festeggiare il primo giorno del nuovo anno. Alcuni di loro ritrovarono la bambina in quell’angolo tra le due case, addormentata per sempre. I capelli biondi erano coperti di pioggia nivea. Sul visino brillava un sorriso sereno. Era morta di ipotermia, e tra le dita stringeva ancora l’ultimo fiammifero liso nella notte.

Tutti la piansero dopo averla ignorata. Un nuovo anno era sorto, una vita se n’era andata con quello appena trascorso.

In cielo, la piccola passeggiava mano nella mano con la nonna. Su quei pascoli di nuvole, la bambina scorse molte altre anime. Due, in particolare, danzavano alle porte del paradiso. Smisero solo per un attimo, quando volsero lo sguardo verso la piccola fiammiferaia, appena approdata. Erano due anime molto speciali queste due. La prima apparteneva ad un valoroso soldatino fatto di stagno, la seconda ad una ballerina di carta, dalle fattezze di porcellana, la sposa del militarino. Entrambi, come la piccola fiammiferaia, avevano trovato la pace dopo la morte, lassù, in quel mondo luminoso e puro. 

La bambina intravide, poi, una fanciulla dai capelli d’oro e la pelle bianchissima correrle incontro.  Si trattava di una donna molto bella, tanto felice nel correre libera con le sue gambe lisce come seta.

Costei, in passato, fu una sirena del mare. Scelse volontariamente di diventare un’umana per amore, e per il desiderio di ottenere un’anima immortale. Sin da quando era una principessa giovane e garbata, la sirenetta era consapevole che, un giorno, sarebbe morta. Le sirene vivono molto più a lungo di un comune essere umano, ciononostante quando esse muoiono si dissolvono in spuma del mare. Di esse non resta che un sibilo dimenticato tra la correnti dell’oceano.

"La sirenetta e Re Tritone" - Dipinto di Erminia A. Giordano per CineHunters. Per saperne di più cliccate qui.

La sirenetta voleva ottenere un’anima immortale, così diventò umana e, prima di morire tragicamente per un amore non corrisposto, fu tramutata in uno spirito dell’aria. La sirenetta visse tra i refoli per 300 anni, aiutando i bambini buoni e versando lacrime per i bambini monelli. Fu la piccola fiammiferaia l’ultima bambina aiutata dalla sirenetta. La donna venuta dai fluttui vide l’angoscia della bimbetta, e scortò la nonna della piccina giù, attraverso l’etere. Salvando l’anima della piccola fiammiferaia, la sirenetta ottenne l’immortalità.

Erano tutte in paradiso le creature di Hans Christian Andersen. Il soldatino, la sirenetta, la piccola fiammiferaia, allo scoccare dell’anno, si erano incontrati nel candore del regno dei cieli, felici, distanti dalle tenebre del mondo terreno.

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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