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"Navarre e Isabeau" - Illustrazione di Erminia A. Giordano per CineHunters

 

Ogni fiaba che si rispetti comincia sempre con “C’era una volta…” E se decidessimo, solo per un istante, di sorvolare tutte le altre pagine della storia e andassimo a scorrere le ultime righe della nostra fiaba non ci aspetteremmo altro da leggere che: “…e vissero tutti felici e contenti”. E’ una formula ben collaudata e fin troppo nota, che non riserva alcuna sorpresa, pur restando sempre efficace come una gradevole consuetudine. In fondo è quello che noi lettori desideriamo: una prassi narrativa consolidata nel tempo ma con quel pizzico di novità nel suo sviluppo centrale. Una fiaba deve lasciarci viaggiare con la fantasia, seguendo quei dettami imprescindibili. Deve, per esempio, riportarci in un passato che altrimenti non potremmo vivere, facendoci appassionare a una storia d’amore tra un principe e una principessa, o ponendoci nelle condizioni di affrontare fattucchiere maligne, sapienti stregoni e addirittura draghi sputafuoco, da cui potremmo difenderci soltanto con l’ausilio dello scudo costruito da un abile artigiano del villaggio. La fiaba che sto per narrare potrebbe cominciare anch’essa con un bel “C’era una volta…” ma questo non sarebbe sufficiente   nella logica di una sceneggiatura cinematografica. Dovremo allora essere più specifici, scendere più nel particolare: il passato che andremo a vivere risale al lontano Tredicesimo secolo.

  • Sempre insieme, eternamente divisi

Un giovane ladro chiamato Philippe Gaston si appresta a compiere un’impresa mai riuscita a nessun altro prigioniero confinato tra le segrete del castello di Aguillon: fuggire. Strisciando per i sudici cunicoli delle caverne sottostanti, Philippe ritrova la libertà, scampando così da una condanna per impiccagione che si sarebbe consumata alle prime luci dell’alba. Le campane di Aguillon suonano senza sosta per segnalare proprio la prima, inaspettata fuga dalla fortezza. Certo di essersi lasciato alle spalle le guardie del vescovo, Philippe, nonostante gli assordanti rintocchi, decide di concedersi qualche attimo di riposo, sostando nei pressi di una taverna. Quello che il giovane non può immaginare è che molti dei commensali che siedono con lui al tavolo altri non sono che i cavalieri di Aguillon, prossimi a giustiziarlo. Philippe viene salvato dal provvidenziale intervento di un misterioso cavaliere. Il valoroso combattente afferma di chiamarsi Etienne Navarre, vecchio capitano della guardia di Aguillon. Navarre cavalca un maestoso destriero nero e porta sempre con sé un bellissimo falco a cui è molto affezionato. Philippe scende a compromesso con il misterioso cavaliere a cui deve riconoscenza: per ricambiare il favore di avergli salvato la vita egli dovrà aiutare Navarre ad irrompere nella roccaforte del vescovo, ritenuta fino a quel giorno praticamente inespugnabile. I due, divenuti amici per circostanza, si addentrano nel bosco prima del calar del sole. Il cavaliere, dopo aver legato il ladruncolo per impedirgli di scappare, si allontana proprio quando il sole sembra scomparire all’orizzonte, e mentre sta per genuflettersi davanti all’astro morente sussurra tra sé con voce compassata: “un altro giorno”.

Solo a notte fonda Philippe riesce a liberarsi, e così si dà alla fuga, ma dopo aver percorso soltanto pochi metri s’imbatte in un feroce lupo dal manto cupo e dallo sguardo di ghiaccio. Terrorizzato alla vista dell’animale, Gaston tenta di nascondersi in un capanno, quand’ecco che scorge una donna dal candido viso e dai grandi occhi color del cielo. La giovane avanza senza timore alcuno verso il lupo che, d’un tratto, si mostra domo e mansueto. La notte cede il passo agli albori di un nuovo giorno in cui Navarre riemerge dal bosco, e ritrova il suo adorato falco che volteggia alto nel cielo per poi finire la sua corsa sul braccio dell’amico cavaliere. La notte successiva, Philippe, per evitare che fugga via, viene ancora legato da Navarre, prima che questi si inoltri di nuovo tra la fitta vegetazione del bosco. Durante la notte si odono continui ululati che agitano non poco il povero Gaston, il quale viene liberato dalla stessa donna che aveva incontrato la notte precedente. La giovane afferma di chiamarsi Isabeau D'Anjou, e che purtroppo lei non è altro che una portatrice di dolore e sventura.  L’eterea bellezza di questa dama dei boschi è paragonabile a quella di un fiore appena sbocciato, ma al contempo prossimo ad appassire, perdendo via via quei petali tanto profumati che cadono al suolo come avvizziti dal freddo dell’inverno. Isabeau volge i suoi occhi affranti verso il bosco, per cercare di scorgere il lupo, i cui ululati echeggiano tra la fitta vegetazione, proprio come se lei riuscisse a leggere dentro quei versi emessi dall’animale.

Philippe, piuttosto turbato dalle figure del cavaliere e della donna, avvolte da un palpabile alone di misticismo, decide di scappare via, venendo tuttavia raggiunto l’indomani da Navarre e dal suo falco. Anche le guardie del vescovo rintracciano il ladro, e quando Navarre si frappone tra loro e Gaston, ne segue un conflitto che vedrà trionfare il cavaliere nero. Durante l’aspra battaglia il falco rimane ferito da una freccia scoccata da una balestra e precipita giù in picchiata, per poi poggiarsi ormai sfinito a terra. Navarre, sconvolto, si affretta a raccogliere la bestiola ferita e ormai prossima alla morte. Il sole sta tramontando quando Navarre ordina a Gaston in maniera perentoria di portare il volatile alla diroccata cattedrale del monaco Imperius. Quest’ultimo si prende immediatamente cura del falco ferito il quale, a mano a mano che i raggi del sole illuminano sempre meno le alte mura del castello, perde il suo aspetto di pennuto e ritorna a essere una bellissima fanciulla, la stessa che Philippe incontrava tutte le notti da quando scortava Navarre. Isabeau ha una freccia conficcata nella spalla, rivelando oramai per certo ciò che sembrerebbe apparentemente impossibile: il falco e la ragazza sono la medesima esistenza. Imperius riesce ad estrarre la freccia dal corpo di Isabeau che si lascia andare a un urlo di dolore quando, contemporaneamente, il lupo, fermo su di un’altura, ulula al plenilunio, cercando d’esternare le proprie sofferenze. Imperius svela a Philippe e a noi spettatori ignari di questa fiaba, che rimane ancora avvolta nel mistero, ciò che in effetti accadde nel passato. Giunta già da qualche anno ad Aguillon, la splendida Isabeau incantò molti degli uomini che ebbero la fortuna di ammirarla, ma tra tutti loro ella ricambiò soltanto l’amore di Etienne Navarre. Il capitano della guardia, venuto a conoscenza della folle attrazione che il vescovo nutriva per la bella Isabeau, decise di tenere nascosta la relazione tra i due, memore della sinistra fama che aleggiava attorno al prelato, confidando la verità soltanto ad un monaco che avrebbe dovuto, di lì a breve, celebrare le loro nozze in segreto. Il monaco, che si rivelerà essere lo stesso Imperius, tuttavia, tradì la fiducia dei due innamorati, quando ubriaco, confessò al vescovo la relazione tra Navarre e Isabeau. Consumato dalla gelosia, il vescovo maledisse i due giovani riversando su di essi i malefici del demonio che condannarono Navarre e Isabeau a una vita condivisa ma eternamente distante: di giorno Isabeau sarebbe stata tramutata in un falco, mentre di notte avrebbe ripreso le sue sembianze umane; Navarre invece sarebbe rimasto uomo di giorno e lupo al calar delle tenebre.

  • Alla scoperta di “Ladyhawke”: la notte e il giorno

Una Michelle Pfeiffer poco più che venticinquenne donò la sua celestiale bellezza alla giovane Isabeau, conferendo al personaggio un’aura particolare, contraddistinta da una sofferenza protratta nel tempo. Isabeau nell’interpretazione della Pfeiffer è una donna forte, che combatte senza alcun timore pur di proteggere Navarre quando egli, trasformato in lupo, rischia di cadere vittima di un sanguinario cacciatore. L’attrice possiede l’abilità di concedere al personaggio tratti tanto dolci e aggraziati quanto fermi e decisi, essendo essa disposta a tollerare il dolore di una vita oppressa da una strana forma di prigionia pur di non arrendersi, continuando a credere fermamente che ci sia ancora spazio alla speranza d’annullare il tristo maleficio. Navarre, interpretato da Rutger Hauer (già famoso per aver pronunciato il celebre dialogo finale in “Blade Runner”), è invece un personaggio molto più rassegnato al proprio destino rispetto a Isabeau. Sarà per via della sua maturazione, ben più evidente rispetto a quella della ragazza, che lo porta ad affidarsi poco a un’aspettativa che potrebbe rivelarsi un’utopistica illusione. Navarre è un cavaliere dall’indomito coraggio, che rispecchia totalmente i caratteri tipici dell’eroe solitario e incorruttibile che si batte più per amore di Isabeau che non per se stesso.

In fondo domani è un altro giorno…” è una delle frasi più famose pronunciate da Vivien Leight in “Via col vento”. Un messaggio di speranza che la protagonista del capolavoro del 1939 diceva a se stessa, per continuare a credere in un domani migliore e in un futuro benevolo. In “Ladyhawke” il domani è soltanto la triste, seppur diversificata, ripetizione di un giorno già trascorso. L’indomani non reca alcuna speranza per il cavaliere nero, poiché il sole seguiterà sempre a sorgere e le tenebre scenderanno comunque ogni notte sulle vite dei due innamorati. Ne deriva un’evidente demarcazione rappresentata dai protagonisti: il buio e la luce, la notte e il giorno. Navarre con indosso un’armatura coperta da un mantello nero reca sempre con sé il simbolismo della notte, dell’oscurità che tortura il suo spirito. Isabeau, invece, è una fanciulla dai lineamenti angelici che cammina solitaria tra i boschi con la grazia indiscussa di un elfo nato dalla penna di J. R. R. Tolkien. Come i protagonisti, che risultano intrappolati in una specie di vita a metà, così “Ladyhawke” è una sorta di storia prigioniera in un genere ambivalente: quello della fiaba e della favola. Navarre e Isabeau nelle loro fattezze umane assurgono ai canoni della fiaba, ma nella loro trasformazione in creature della foresta e del cielo tendono ad avvicinarsi ai velati aspetti della favola, con gli animali intesi come incarnazioni di ideologie e credenze del tempo. Una seconda diversità personificata dalle due creature è da ritrovarsi nei due “spazi vitali” in cui si muovono la donna e l’uomo. Isabeau, tramutata in falco, diviene la signora del cielo, volando con le proprie ali fino alle vette più estreme. Navarre invece, trasformato in un lupo, è il signore della notte, rimasto con le zampe ben ferme a terra, potendo solo alzare i suoi occhi al cielo, in quella “realtà” così distante che non potrà mai raggiungere. Il lupo nero ulula alla luna come se volesse lasciarsi andare ad un malinconico canto che soltanto il cielo può accogliere nella tranquilla “riservatezza” della notte. Come il lupo resta attratto dalla luna, non riuscendo a scorgerla pienamente perché fin troppo distante, così Navarre, subita la trasformazione, cede a un continuo lamento verso quella volta celeste in cui, di giorno, il suo falco vola maestoso. L’ululato del lupo nel film altro non rappresenta se non il grido disperato di Navarre rivolto al cielo, quella realtà che egli non può raggiungere esattamente come non può rivedere Isabeau. La dannazione circa il fato dei due sfortunati innamorati è ulteriormente rimarcata nel tema dell’incomunicabilità. A differenza delle favole di Esopo, gli animali non possono esprimersi in quanto tali, e la vicinanza tra Navarre e il suo falco non può che limitarsi a lievi carezze che l’uomo riserva all’adorato pennuto. Isabeau, al contempo, può soltanto placare l’animo irrequieto del lupo accarezzandone il manto per regalargli qualche attimo di conforto e serenità. Navarre e Isabeau, divisi da una metamorfosi corporea, non possono quindi comunicare neppure con brevi sguardi corrisposti. La figura di Philippe si pone nel mezzo, essendo essa utile a garantire un punto di raccordo tra i due innamorati privati della possibilità di potersi rivedere. Di giorno Philippe riporta al suo salvatore le parole pronunciate dalla bella Isabeau, e di notte ciò che Navarre vuole che Isabeau sappia. Philippe rappresenta quindi una sorta di “trasposizione” eseguita dal regista Richard Donner nei confronti dello spettatore, nel caso in cui uno di noi fosse “catapultato” in questa fiaba e si trovasse interposto tra queste due anime separate da forze rie e ostili.

L’ambientazione del film è spiccatamente italiana, con il castello di Rocca Calascio e il Borgo di Castel del Monte come luoghi prescelti per impreziosire ancora di più una ricostruzione scenografica di un mondo medievale. In “Ladyhawke” traspira un amore per il cinema girato dal “vero”, tipico degli anni ’80, in cui si prediligeva scegliere da principio aspetti sognanti e fantasiosi, infondendo in essi i caratteri più profondi di un’indagine sull’animo umano e verso l’amore ben più articolata di quanto sembrerebbe a priori. “Ladyhawke” è una fiaba onirica, costantemente in bilico tra il sogno e la veglia, tra la realtà crudele e il mondo idilliaco del miraggio fantastico.

La scena più intensa del film è senza dubbio quella in cui Isabeau attende il sorgere del sole, riparata in un piccolo spazio, distesa assieme al lupo. Il sole comincia a sorgere dietro le colline e i raggi luminosi irradiano l’epidermide dell’animale. L’incantesimo si disfa progressivamente e Navarre si materializza, riprendendo la sua forma umana. Il sole non è ancora sorto completamente e Isabeau ha mantenuto ancora il suo aspetto naturale, quando Navarre si volta riuscendo a vederla. I due innamorati tornano a rimirarsi dopo interminabili mesi, ma non appena allungano le mani per potersi a stento sfiorare, l’inclemente maleficio si manifesta di nuovo e Isabeau, trasformatasi in falco, vola via: delle brevi sequenze dall’innegabile valenza commovente. Guardare la persona a noi più cara, poterla fissare ogni qualvolta lo desideriamo, avere la possibilità di stringerla a noi, farle una carezza per mostrarle tutto il nostro affetto, è ciò che spesso diamo per scontato. Dinanzi a due innamorati che dispongono appena di qualche istante per potersi soltanto intravedere non possiamo fare a meno di chiederci quanto sia ineluttabile il destino di una vita e quanto valore abbia il tempo che passiamo assieme alle persone amate.

  • Un giorno senza la notte e una notte senza il giorno

Navarre, non vedendo alcuna via d’uscita da questa tragica sorte, decide di vendicarsi irrompendo con Philippe nella fortezza di Aguillon per uccidere il vescovo. Il cavaliere prima di intraprendere quest’ultima missione ha ordinato a Imperius di uccidere il falco se avesse udito le campane della chiesa suonare, poiché ciò avrebbe significato la morte dell’uomo. La chiesa guidata col pugno di ferro dal crudele porporato assume i caratteri contrapposti a quelli della casa di Dio, cui dovrebbe essere, divenendo invece un luogo tetro e malvagio, dimora del diavolo. Il vescovo di Aguillon, nella sua ideazione, sembra essere ispirato a Claude Frollo, il prete custode della cattedrale di Notre-Dame nel capolavoro letterario di Victor Hugo “Notre Dame de Paris”. Come Frollo anche il vescovo s’innamora di una giovane donna dalla bellezza indescrivibile, ammirata per la prima volta sul sacrato della chiesa in cui Isabeau (Esmeralda nel libro di Hugo) trascorreva alcuni momenti della sua giornata. Il vescovo è paragonabile alla figura del truce religioso parigino soprattutto per la sua folle concezione dell’amore: un sentimento violento e possessivo, che lo porterà a sviluppare l’idea che se non potrà avere lui quella donna allora non l’avrà nessun altro. L’elemento soprannaturale però è unicamente riscontrabile nell’agire del vescovo, che maledisse i due giovani per impedire loro di vivere appieno l’amore che provano l’uno per l’altra. “Ladyhawke” tenta inoltre di mostrare come in epoca medievale la chiesa fosse una potenza politica e militare che poteva contare su imponenti eserciti e dominare con velleità dittatoriali. Navarre prima di poter affrontare il vescovo dovrà duellare con il capitano della guardia. Navarre, come ha sempre fatto, indossa un’armatura scura mentre sta in sella al suo cavallo nero; il suo avversario, invece, cavalca un cavallo bianco, difendendo una chiesa corrotta, un “bene” in questa storia non cristallino, anzi alquanto “opacizzato”. Appare evidente una sorta di dicotomia contrapposta tra i colori di scena rispetto alle scelte classiche, in cui il nero rappresenta il bene e il bianco il male. Al termine della contesa, Navarre sconfigge il cruento rivale, prima di accingersi a uccidere il vescovo. In quel momento avviene un’eclissi solare, e la luce del mattino tende a perdersi in una flebile oscurità: è un giorno senza la notte e una notte senza il giorno. Isabeau improvvisamente varca la soglia della chiesa: la maledizione si è spezzata. Navarre, una volta intravista l’amata, ignora improvvisamente il suo acerrimo nemico per avvicinarsi a lei. I passi dei due giovani si fanno sempre più incalzanti e in prossimità dell’altare, Navarre, prostrandosi in ginocchio, riabbraccia Isabeau. La splendida ragazza si avvicina in seguito al vescovo, che abbassa lo sguardo sopraffatto dalla vergogna. Isabeau mostra le sue mani oramai “spoglie” delle dannate catene in cui l’aveva confinata. Il porporato accecato dall’odio non accetta la sconfitta, e tenta di sorprendere alle spalle la giovane donna, ma Navarre, avvertito il pericolo, si volta di scatto e trafigge il prelato con la sua spada, uccidendolo. Navarre quindi si ricongiunge a Isabeau e l’abbraccia calorosamente, sollevandola con forza verso l’alto, mentre la ragazza, voltando lo sguardo all’indietro, si lascia andare ad un sorriso liberatorio. L’eclissi svanisce e il sole torna a risplendere, illuminando così i corpi dei due innamorati attraverso la vetrata della chiesa.

Terminare questa meravigliosa storia d’amore con la formula di rito “…e vissero tutti felici e contenti.” potrebbe apparire come un qualcosa di riduttivo alla celebrazione di un tale momento di gioia. Tuttavia non possiamo essere certi che i due innamorati abbiano vissuto per sempre nella felicità più autentica e cristallina. Ciò che è certo però è che da quel momento in poi ebbero di nuovo la possibilità di poter vivere comunque la loro vita assieme.

Preferisco terminare queste mie osservazioni sul film dicendo solamente che Isabeau e Navarre vissero per sempre uniti e mai nessuno più li divise, finché il sole continuò a sorgere e a tramontare, finché ci fu il giorno e ci fu la notte.

Voto: 9/10

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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