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Esiste un confine sottilissimo in grado di demarcare l’artista dal mestierante. Il primo interpreta il secondo esegue; i visionari imprimono unicità al proprio lavoro, le maestranze generalizzano, l’artista scruta, sviscera e pone al vaglio col proprio sguardo penetrante ogni sfaccettatura della realtà circostante e la sovverte con la volontà del proprio “occhio”, il mestierante osserva e riproduce esattamente così com’è ciò che sta guardando. Potrei definirlo come un filo immaginario che delimita l’estro di un genio e la meccanica volontà di un lavoratore. Nella sequenza iniziale de “L’infernale QuinlanOrson Welles dimostra ancora una volta come la falsa realtà di un cinema d’autore venga piegata alla volontà dell’artista. In quanto tale, egli non si limita ad utilizzare la camera come un occhio attento che fissa i personaggi che si muovono intorno al suo raggio d’azione con imparzialità, come un dio annoiato, che veglia silenzioso senza poter tuttavia intervenire sugli eventi dei comuni mortali. La camera per Welles diventa uno strumento con cui mutare la finzione e seguire le successive estensioni. Come fosse argilla, Welles modella la storia e ne realizza una scultura in terracotta dai tratti stilistici più unici che rari. Come d’altronde fanno solo i veri artisti.

“L’infernale Quinlan” si apre con un piano sequenza della durata di poco più di tre minuti in cui la camera segue di pari passo lo sviluppo degli eventi che coinvolgono diversi personaggi tra loro. L’atto terroristico di terzi che grava sul futuro di altri viene magistralmente portato in scena tramite la visione silenziosa e imparziale, e aiuta a farci comprendere come qualsiasi gesto possa ripercuotersi di conseguenza su dei poveri ignari innocenti in una serata apparentemente tranquilla. Non vi sono tagli, è un’unica sequenza, ripresa in uno spazio molto grande, in cui viene presentato l'antefatto: una carica di dinamite viene sistemata all’interno di un’autovettura nel mentre i personaggi principali del film si muovono liberamente in città. Il movimento dell’auto prosegue fino a incrociare Vargas e la moglie (Charlton Heston e Janet Leigh) intenti a passeggiare in strada. L’oggetto inizialmente inquadrato (la dinamite) risulta essere solo un mezzo con cui Welles si serve per accendere la “miccia” di una storia che causerà lo scoppio, un deflagrazione di una potenza devastante. Il fuoco disfa la pietra che sotterrava alcune verità fraudolente e dall’esplosione, emergono le velleità fatte di fanfaluche di una città schiavizzata dalle forze del male. L’auto saltata in aria era di un facoltoso imprenditore, inizia così un’investigazione che coinvolgerà l’ispettore Vargas e il Capitano Quinlan (interpretato dallo stesso Welles) che porterà alla luce tragiche realtà sia sul fronte criminale sia su quello poliziesco.

Vargas e Quinlan sono due giganti della scena, rispettivamente appartenenti al bene e al male, immersi in uno scenario cittadino miserabile, corrotto, dominato dalla criminalità e dal malaffare. Vargas, un astuto poliziotto messicano, riuscirà a scoprire una fitta rete di bugie inerenti le metodologie investigative del sanguinoso Quinlan, uomo rozzo, buzzurro, di scarsa salute e affetto da obesità. Le differenze fisiche e caratteriali che intercorrono tra Quinlan e Vargas sono più che evidenti. Il primo appare cinico, trasandato, dalla moralità dubbia e compromessa. Il secondo, invece, è un uomo elegante, altero, dalla fisicità imponente, cosciente che il ruolo del poliziotto è quello di far rispettare la legge, senza mai sostituirsi ad essa. Quinlan è una personalità complessa, un uomo consumato da una tragedia che pur di seguire il proprio intuito spesso si avvale di prove riciclate, montate ad arte per incastrare il sospettato, senza avere alcuna prova concreta e necessaria per vagliare i propri dubbi investigativi. Vargas smonterà questo castello di menzogne in nome dell’indissolubile forza della giustizia. Ma l’opera di Welles, assai più complessa e pertanto impossibile da compendiare in un semplice riassunto narrativo, esercita una duplice analisi. Da un lato il tutore della legge, personificato in Quinlan, viene trasformato in un malfattore senza scrupoli, dall’altro il protagonista, sempre Quinlan, inteso come un uomo e non più un poliziotto, viene analizzato sotto un’altra veste, nella sua lenta e triste metamorfosi da incorruttibile detective ad assassino fedifrago. A questo punto emerge la forza coraggiosa dell’investigatore Vargas, il ricordo personificato di una legge giusta e nata per garantire l’ordine e proteggere, fin dove è possibile, tanto il reo quanto l’innocente.

“L’infernale Quinlan è un noir del 1958, tra le opere più fascinose e evocative del cinema di Orson Welles. Il lungometraggio, girato completamente in bianco e nero, vanta un cast di enorme spessore: Charlton Heston, Janet Leigh, Marlene Dietrich e lo stesso Welles recitarono ruoli influenti nella pellicola. Il film inscenò con pregevolezza molti dei classici espedienti che resero il noir non solo un genere ma l’espressione in chiaroscuro di un’arte visiva.

A cominciare dalla tipica partitura drammatica che in un crescendo di tensione diventa armonia instabile e nervosa, in un montaggio caotico e discontinuo nel perpetrare nello spettatore un senso di confusione e sgomento. Il gioco di luci e ombre sui corpi schiariti e le pareti oppresse dal nero, il fumo del mozzicone di sigaro stretto tra la bocca, come venisse “masticato” dal corpulento Capitano, che sale verso la parte alta dell’inquadratura, fino a scomparire sono altre caratteristiche evidenti di un genere studiato per esaltare ogni minuzia di un cinema investigativo in bianco e nero. Welles scelse di riprendere molte scene indirizzando la camera dal basso verso l’alto, metodo atto a rendere le presenze del Capitano, già di per sé opprimenti, ancor più ingombranti e invasive.

La recitazione non si affida soltanto al fattore vocale e gestuale, ma le fisicità stesse degli attori sono le particolarità esplicative e espressive di un’opera con pochi eguali. Gli attori vengono così immortalati spesso in pose statuarie, nell’atto di compiere un’azione, eppure in quei pochi secondi, sembra siano come catturati in una posa sospesa nel tempo. Nella celebre sequenza in cui Vargas ritrova il corpo moribondo della moglie, disteso su di un letto disfatto, la rigidità della presa di Heston, il bianco e nero che si contrappone all’ombra vera e propria del letto, ma soprattutto la posa di Janet Leigh, completamente abbandonata, con il volto esausto mosso verso l’alto e il braccio teso verso il vuoto, sono tutti aspetti di alto impatto visivo. Due posture di stampo classico, due personalità catturate in una teatrale immobilità, come fosse un quadro tratteggiato a china, dove si intrecciano speranza e paura.

“L’infernale Quinlan” è un’opera in cui l’opacità della luce possiede una valenza ipnotica tanto marcata da render tangibile la differenza tra bene e male, tra chiarore e oscurità.

Forze oppositrici e ben distanti tra loro: un po’ come gli artisti e i mestieranti.

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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