
La fiaba della bella addormentata nel bosco viene quasi totalmente rivisitata in questa originale trasposizione, dove la giovane Aurora non è più la protagonista del racconto quanto lo “strumento” in cui si incontrano e si scontrano le due forze che alimentano maggiormente l’animo di Malefica: l’amore e l’odio.
Malefica è una fata dai penetranti occhi color ambra. Ella è in grado di volare per mezzo di due grandi ali che si dipanano largamente alle sue spalle, il suo volto è ornato da gote pronunciate e spigolose, e la sua fronte è accentuata da due imponenti protuberanze ossee simili a delle corna. Il mondo incantato in cui vive la piccola e dolce Malefica è quello della brughiera, una foresta ai margini dello sfarzoso castello del reame degli uomini. La prima contrapposizione che il film desidera evidenziare è dunque quella dei confini che separano il regno degli uomini da quello delle creature magiche. Tra i meandri di quel bosco, Malefica incontra un giovane chiamato Stefano, con cui nascerà una profonda amicizia che in età adulta si trasformerà in amore. Stefano, però, accecato dalle sue ambizioni di potere, non esiterà a tradire la fata che un tempo diceva di amare. Venuto a conoscenza dell’odio che il Re riserva verso di lei, rea di averlo sconfitto durante l’assalto dei soldati alla foresta incantata, decide di agire meschinamente alle spalle della donna per assicurarsi la successione della corona. Stefano strappa via le ali della fata, donandole al monarca che lo designerà, poco prima di spirare, futuro erede al trono del regno.
Malefica, distrutta dal dolore e angosciata dal tradimento cui è stata vittima, giura vendetta sulla figura del nuovo sovrano. Il giorno in cui il Re e la Regina festeggiano la nascita della loro figlia nella grande sala del trono, Malefica si presenta dinanzi ai reali, scagliando sul frutto della loro unione la celebre maledizione che segnerà il destino della nascitura: appena avrà compiuto sedici anni, la piccola Aurora si pungerà il dito con il fuso di un arcolaio e cadrà in un sonno eterno, finché il vero amore non la risveglierà con la pura levità di un bacio. Ad onor del vero, il primo maleficio lanciato dalla fata cattiva nel capolavoro della Disney datato 1959 prevedeva la morte della protagonista, ma in quest’ultima trasposizione l’indole oscura di Malefica viene notevolmente affievolita già per quel che concerne la formula dell’oppressivo incantesimo che graverà sul futuro della bimba.
La regia di Robert Stromberg e la sceneggiatura curata da Linda Woolverton ribaltano la fiaba mostrandocela dal punto di vista dell’antagonista. Malefica, che nella fiaba viene mossa dal solo desiderio di arrecare dolore alla neonata, viene qui mostrata come una creatura divenuta malvagia a causa dell’agire fraudolento dell’uomo. Assistiamo dunque a un semplice rovesciamento della medaglia in cui ciò che reputavamo malvagio è in realtà più buono di quel che si creda, e un elemento in cui confidavamo le nostre aspettative di bontà è in verità un crudele ingannatore.
“Maleficent” però non va compreso come una vera chiave di lettura della fiaba quanto una rivisitazione che reca in sé un inevitabile cambiamento. “Maleficent” non è la vera storia de “La bella addormentata nel bosco” quanto una nuova versione della suddetta fiaba, tant’è che molti dei punti cardine della storia conosciuti dai più vengono notevolmente stravolti. Starà allo spettatore abbracciare quale versione riterrà più veritiera, se quella classica o quella appartenente alla cinematografia più moderna; dopotutto, le stesse fiabe, sin dall’alba dei tempi, sono soggette a restrizioni o a inaspettati cambiamenti ogni qual volta vengono raccontate da un cantastorie abile nell’arte dell’improvvisazione.
Angelina Jolie è l’interprete di Malefica. Il volto candido ma, se l’occasione lo richiede, anche cupo della diva appare scolpito in un’espressività sempre mutevole, sottomesso a un dualismo che tortura l’animo della fata, la quale si muove a metà tra quella bontà che fa parte del suo essere sin dalla nascita e quell’odio con cui è stata, invece, costretta a convivere. Angelina Jolie si presta splendidamente alla parte, divertendosi ad essere sia l’eroina che la nemica di una storia non esente da sviluppi illogici.
La “crudele” Malefica si prende cura della piccola Aurora mantenendosi a distanza, osservandola con dedizione durante la sua crescita e addirittura proteggendola dalle insidie del bosco come una vera e propria fata madrina. Aurora diviene il punto in cui convergono i sentimenti di odio e amore provati dalla fata, che si legherà sempre più alla ragazza fino a provare per lei un profondo affetto materno.
Il film trabocca di effetti speciali fin troppo invasivi tanto da risultare, il più delle volte, esagerati e esecrabili. L’uso della computer grafica non sempre viene sfruttato per fini narrativi o sbalorditivi, e il regista finisce per calcare troppo la mano, rendendo il più della scenografia platealmente finto. La boscaglia possiede una fascinosa impronta barocca nel suo aspetto fantastico, tetra ma allo stesso tempo luminosa, come se riflettesse lo stesso animo di Malefica, prigioniera di una costante contrapposizione che poggia sul semplice dualismo tra bene e male, tra luce e tenebra.
Questo adattamento risente di una certa negatività riservata alla figura dell’uomo, apparentemente incapace di amare. Stefano è il vero antagonista in questa sorta di traslazione, e il principe azzurro, colui che giunge al castello per risvegliare dal sonno eterno Aurora non è più il salvatore della principessa nella sua ora più disperata. Il principe non riesce infatti a risvegliare la giovane col suo bacio. Malefica, dopo ciò che ha subito, crede fermamente che il vero amore non esista ma dovrà ricredersi quando sarà ella stessa a rompere il maleficio, posando le sue labbra sulla fronte di Aurora, con il medesimo affetto e l’egual amore di una vera madre a cui manca solamente…un figlio per essere tale. Un finale che farà strabuzzare gli occhi e che procurerà un certo shock nel cuore dei puristi ma che non può che venire apprezzato quanto meno per la sua originalità. L’unico uomo a poter vantare caratteristiche eroiche nel film è Fosco, fedele compagno di Malefica, il quale però è in verità un corvo che viene costantemente trasformato in tanti altri animali dalla stessa fata oscura. Le fattezze umane di Fosco sono manifestazioni d’effimera valenza e quindi, anche lui, sembra dimostrare come i veri uomini presenti nella storia non siano misericordiosi come invece si rivelerà Malefica sul finire della vicenda.
“Maleficent” è un film che esalta la forza femminile, offrendo una panoramica introspettiva di indubbio valore sulla psicologia della protagonista, ma perde qualcosa nel suo sviluppo narrativo, sembrando alle volte poco coerente con se stesso. Malefica si pente troppo in fretta del maleficio da lei perpetrato, la sua aura di malvagità si disfa ancor prima di formarsi, e la causa scatenante del suo odio non sembra giustificare il perché dovrebbe accanirsi sulla piccola piuttosto che su Stefano stesso. Delle apparenti incongruenze che possono essere ignorate se volgiamo la nostra attenzione alla storia classica che, inevitabilmente, doveva essere rispettata. I restanti personaggi del racconto soffrono la limitatezza dello spazio concesso loro, arrivando a sfiorare il non invidiabile appellativo di “macchiette”, inserite al modesto scopo d’esigenza di trama.
“Maleficent” fa breccia nel cuore degli spettatori più per la spiccata personalità della protagonista che per la storia in sé, ma in un’opera concepita proprio per far cambiare l’opinione del pubblico verso un personaggio così tristo, il feeling che può instaurarsi tra gli spettatori e Malefica non può che essere il conseguimento del traguardo più importante.
Voto: 7/10
Autore: Emilio Giordano
Redazione: CineHunters
Vi potrebbero interessare: