
- Sguardo e carezza
Si è soliti affermare che gli occhi siano lo specchio dell’anima. Talvolta, sono azzurri come cielo schiarito, incastonati in un volto che “nuvole” non ha. Altre volte, invece, brillano di un ceruleo profondo, simile al colore del mare. Alcuni li hanno marroni, somiglianti a scorze di castagne, altri verdi, scintillanti di speranza, ed altri ancora dalle tonalità tenui come nocciole. Mirando un viso, è possibile scorgere gli occhi di una persona sormontati da due tratti ondulati di rilievo cutaneo, avvolti da ciglia folte e protetti dalle palpebre. Contraccambiando uno sguardo corrisposto si ha la capacità di comunicare senza proferire alcuna parola. Gli occhi nascondono i segreti di ognuno di noi, e il loro osservare interessato riesce ad esternare, senza volerlo, i sentimenti non ancora confessati. Uno sguardo può dire molto: un rimprovero, esplicato con un “cipiglio”, un accordo, riferito con un “occhiolino”, o un dolce innamoramento, espresso dal mantenimento di un’occhiata schiva, timida, riservata che, di colpo, si fa insistente, affascinata, quasi contemplativa. Un’anima sensibile, curiosa ed attratta, volgendo i propri occhi all’indirizzo di un interlocutore, può comprendere le emozioni, così come le bellezze interiori di chi ha dinanzi.
Se gli occhi sono davvero il riflesso della nostra intimità, le mani, al contrario, sono un bozzolo di simboli, spesso incerti e indecifrabili. Il palmo non è che una tela d’epidermide tratteggiata con linee sinusoidali, che scendono e salgono sino a sfiorare la radice delle dita. C’è chi è fermamente convinto che le mani possano essere “lette”, e che quelle linee confuse, che, non di rado, si intrecciano tra loro, rappresentino la fonte e la lunghezza della vita, la ricchezza, l’amore, persino la salute che si avrà durante l’esistenza. Le mani sono un nido di verità e suggestioni, ed offrono rivelazioni solo a chi è in grado di tradurre il loro “parlato” silente.
Le rughe che tempestano i dorsi, avvizzendo la pelle col passare delle stagioni, testimoniano il tempo che scorre via. Ma le mani sono soprattutto una proiezione delle nostre volontà. Attraverso esse, possiamo sfiorare una gota, lambire una ciocca di capelli, accarezzare chi amiamo, persino creare ciò che la mente immagina.
Con le sue mani, un atleta tocca la volta celeste al raggiungimento della vittoria, un interprete conferisce solennità al proprio gesto, un artista rende visibile quello che suppone ed uno scrittore trascrive un pensiero, sussurrato con le labbra e poi l’immortala sul foglio con l’inchiostro. Chi ama tiene per mano la propria metà, stabilendo con essa un legame sancito con la sola forza indelebile di un tocco. E ancora, un artigiano modella la grezza argilla infondendo in essa una foggia precisa, mentre un falegname plasma il legno, e con esso crea altra vita, solo apparentemente inanimata. E’ proprio vero, le mani possono generare vita, altresì salvarla.
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- Tocco simbolico
Rose: Questa donna le piaceva. L'ha usata diverse volte.
Jack: Be', aveva delle mani bellissime, vede?
Rose: Secondo me, ha avuto una storia d'amore con lei.
Jack: No, no, solo con le sue mani.
In “Titanic”, il cineasta James Cameron dedica un’attenzione simbolica alle mani, reinterpretate come tangibili allegorie dell’amore spirituale e carnale. Per Cameron le mani sono astratte eppur concrete al senso della vista, in quanto “concetti” figurativi e paradigmatici ricolmi di sentimento umano. Sul ponte della nave, durante uno dei loro primissimi incontri, Rose ammira i disegni realizzati dal giovane. Parte di essi raffigurano le splendide mani di una prostituta parigina. Le attenzioni “impressioniste” dell’artista erano state rapite da quelle mani che tanto raccontavano ai suoi occhi. Nell’espressività silenziosa di una ruga, nella storia celata dietro una lieve ferita appena visibile, Jack indaga l’ignota personalità di una donna misteriosa e schiva.
Lo squattrinato passeggero della terza classe del Titanic ha eternato quelle mani sui propri fogli in chiaroscuro, con l’ausilio di un carboncino. L’importanza del “toccarsi”, del carezzare, continua a ripetersi durante lo scorrere della pellicola. Quando Jack attende Rose al culmine basso della scalinata, ella indossa due guanti bianchi di finissimo raso. L’uomo la saluta, imprimendo sulla mano destra della giovane un bacio fugace che a stento rasenta la stoffa che le copre anche parte delle braccia. Poco dopo, lo stesso si commiata temporaneamente dalla donna, dandole un nuovo bacio sulla mano, e lasciando cadere, di soppiatto, un biglietto. I guanti sono indumenti che nascondono, e vengono indossati da Rose per un uso formale, forzatamente impostole dalla casata borghese alla quale appartiene. Al calar della sera, la protagonista del lungometraggio osserva una bambina che impara dalla madre come stare correttamente seduta a tavola. “L’occhio meccanico” di Cameron indugia sulla mano della piccola che compie un movimento non naturale, preimpostato, per ben sistemare un tovagliolo di seta sulle gambe. Quel gesto “aristocratico” evocato da quella mano porta Rose a meditare ulteriormente sulla sua vita, oramai tristemente indirizzata da una classe nobiliare, tediosa ed opprimente, in cui ogni giorno è del tutto simile al precedente, caratterizzato da un immutabile chiacchiericcio, da un invariabile cenno, e da un identico susseguirsi degli eventi.
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Rose fugge via, abbandonandosi alle braccia dell’amato sulla prua del Titanic. Le mani dei due protagonisti, durante il loro primo bacio, si cercano e si ricercano con carezze scandite sino a congiungersi in un abbraccio avvolgente, simbolo di un amore spirituale. Dentro un’auto, la mano di Rose, adagiata sul vetro appannato dal calore passionale, diventa, nel kolossal di Cameron, testimonianza simbolica di un amore divenuto carnale. Ancora, sul finale, le mani dei due innamorati che tornano a sfiorarsi sulla cima della scalinata, in un mondo che giace sospeso tra il sonno e la veglia, si tramutano in metafora visiva di un amore sbocciato nell’oceano, proseguito sulla Terra e che ha raggiunto le vette del paradiso celeste.
Tra Rose e Jack vige un’eterna carezza che attraversa tre stadi diversi dell’esistenza: il mare, la terraferma, il cielo.
- Magia e scienza contenute nel palmo di una mano
Nel 1963, dalla fantasia di Stan Lee e Steve Ditko, nacque Dottor Strange, uno dei più potenti supereroi dell’universo Marvel. Prima di diventare un difensore del pianeta, dotato di poteri eccezionali, Strange era un neurochirurgo di fama mondiale.
Egli era in grado di operare senza concedere alcuna imperfezione. Dal temperamento flemmatico e dall’agire freddo come il ghiaccio, Strange usava le mani come un prolungamento della propria smisurata conoscenza neurochirurgica. Non conosceva la paura, l’ansia, il tremore dei propri arti, egli riusciva sempre ad avere il totale controllo, a mantenere l’ordine, ad avere sempre il polso della situazione.
Proprio al polso, Strange porta, ogni giorno, un orologio sempre differente. Nella sua casa, tiene infatti un cassetto pieno di preziosi orologi col loro bel cinturino, ben ordinati l’uno accanto all’altro. Strange è un uomo incredibilmente metodico, organizzato, morbosamente preciso. Un calcolatore freddo ed emotivamente distaccato. Egli prova l’illusione di dominare il tempo e di genuflettere la sorte al proprio volere. Non esiste il caso per il Dottor Strange, tanto meno il destino, esiste la vita così come scientificamente la conosciamo, comandata e supervisionata dalla sola ragione. In una notte sfortunata, questo credo, saldo e inalterabile, si frantumerà improvvisamente. Stephen è vittima di un gravissimo incidente automobilistico, nel quale si spezza tutte le ossa della mano. I suoi arti restano danneggiati irreparabilmente. L’ultimo degli orologi indossati finisce per infrangersi al suolo, segnando drammaticamente l’ora in cui la vita di Strange cambiò per sempre. Non aveva fatto altro che ingannarsi fino a quel momento: la fatalità aveva, d’un tratto, dissolto il suo razionale controllo dell’esistenza.
Stephen ha perduto quanto di più importante aveva: egli non potrà più operare. Il suo sogno è svanito. Le mani per Strange erano un’estensione del proprio talento, nonché una prosecuzione necessaria per dare atto alla sua vocazione interiore: salvare i pazienti. Dopo diversi mesi dal tragico accadimento, Strange raggiunge Kamar-Taj, dove diventa discepolo dell'Antico, un maestro che lo inizia al mondo della magia e delle dimensioni alternative.
Avviene qui l’incontro-scontro ed il successivo idilliaco connubio tra due mondi opposti, il passato, oramai perduto di Strange, e il futuro imminente, entrambi incarnati rispettivamente nella scienza e nella magia. Strange era un uomo accorto, oculato, rigido, cinico, fatto di ghiaccio. La sua razionalità si accoppiava perfettamente con la fede nella scienza. In seguito, il bisogno di ricominciare una nuova vita porta quest’uomo di scienza ad abbracciare una seconda “religione”, la magia, e con essa l’accettazione del fantastico e di ciò che scientificamente parrebbe impossibile. In Dottor Strange convivono, in un unico sposalizio, ragione e fantasia, sapere scientifico e conoscenza del potere magico. Stephen diventa così uno stregone, custode dei santuari, e scopre i segreti della manipolazione del tempo per mezzo dell'Occhio di Agamotto. Il tempo che Strange poteva semplicemente computare, adesso, può essere compreso, padroneggiato per un fine superiore e, soprattutto, rispettato da lui stesso. Una volta ultimato il proprio addestramento, Stephen assume l’identità di Stregone, indossando un costume che comprende la Cappa della Levitazione, la quale consente all’eroe di volare, e il suddetto Occhio di Agamotto, incassato in un amuleto che Strange regge vicino al petto.
Quello adempiuto da Stephen è stato un viaggio di resurrezione, un pellegrinaggio necessario per scoprire, con tale rinascita, una nuova parte di sé. Una mutazione caratteriale che gli permetterà di aprirsi ad una maggiore e più sincera emotività. Stephen peccava di megalomania ed egocentrismo. L’incidente ha su di lui un effetto catartico, trasformando la sua alterità in puro e disinteressato altruismo. Stephen si libera dai suoi “artifici meccanici” e abbraccia un universo in cui il tempo non è più calcolabile con gli ingranaggi, e per tale ragione va difeso e tutelato.
Strange ricomincia, quindi, a utilizzare le sue mani per emettere sfere di energia, ipnotizzare, creare portali dimensionali, generare poteri telecinetici e attuare il teletrasporto. Da una tragedia che poteva mettere fine alle sue motivazioni vitali, Strange è riuscito a risorgere nelle vesti di un invincibile supereroe. Non potrà più salvare vite sui letti d’ospedale, ma potrà salvare comunque gli innocenti nei panni di un vigilante mascherato con il solo tocco della mano!

Autore: Emilio Giordano
Redazione: CineHunters
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