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Non sono davvero molti i lungometraggi che si sono occupati di poesia; però quei pochi che  hanno affrontato l’argomento sono risultati di certo tra le opere più interessanti del panorama filmico di questi ultimi anni.

L’attimo fuggente, del regista Peter Weir, uscito nel 1989, narra il processo di crescita e di conseguente allontanamento dalle convenzioni di una condotta scolastica rigida e superata, messa in atto da alcuni studenti americani, ispirati da un docente anticonformista, il professor Keating, interpretato magistralmente da Robin Williams. Egli, riuscendo a far capire ai suoi alunni la grazia, l’incanto, l’importanza della poesia, li educa a essere uomini liberi, autonomi, a portare avanti le proprie idee, a tirar fuori e promuovere le attitudini che ciascuno reca in sé.

E poi… Un viaggio chiamato amore, uscito nel 2002 per la regia di Michele Placido, racconta la vicenda umana e affettiva della scrittrice Sibilla Aleramo, dall’adolescenza all’età matura.

Da ricordare ancora The Hours, un film del regista americano Stephen Daldry. Nel lungometraggio sono presenti tre figure femminili intorno alle quali ruotano tre storie intrecciate su livelli narrativi diversi.

Però il film che meglio ha saputo rendere, con linguaggio cinematografico, il senso della poesia è senza dubbio Il postino di Michael Radford e Massimo Troisi. Il film fu girato sia nell’isola di Procida che in quella di Salina. Siamo in presenza di un prodotto che unisce alla fantasia dei fatti realmente accaduti. All’inizio degli anni Cinquanta, in una piccola isola dell’arcipelago campano giunge dal Cile il poeta Pablo Neruda, esiliato assieme alla moglie.. Durante la sua permanenza sull’isola riceve lettere e attestati di vicinanza da ogni parte del mondo, tanto che si rende necessario affiancare un operatore di supporto al portalettere abituale. Mario Ruoppolo, è questo il nome del nuovo “latore”, diventa così il postino particolare di Neruda.  Nel film si intersecano varie vicende: quella di Mario, quella del poeta e quella del territorio. La bellezza del film nasce proprio dall’incontro di queste tre storie, ciascuna con la propria fisionomia. Neruda, personaggio dotato di un forte carisma, di cui Philippe Noiret riesce appieno a mostrarci i vari aspetti, ci coinvolge e ci cattura col suo credo politico, l’abilità di vivere l’esilio senza rinunciare affatto alla sua dimensione umana, la facilità con cui si approccia alla vita dell’isola. La vita di quella piccola parte di mondo ci dà l’idea di tutto il contesto storico in cui è ambientato il film, dalle elezioni del 1948 ai primi tentativi di mutamenti economici nell’Italia del dopoguerra. La figura che più di tutte ci conquista è senza dubbio Mario, il postino, che vive contemporaneamente la sua vicenda amorosa per Beatrice, nipote della proprietaria dell’osteria del paese, la scoperta della poesia e l’acquisizione di una coscienza sociale.

Il film è piacevole, ben fatto e ha riscosso un ampio consenso di critica e di pubblico. Di certo ha contribuito la “maschera” incredibile del suo interprete, un superlativo Massimo Troisi. Ma il suo significato più profondo sta tutto nell’animo del protagonista, nel momento in cui egli scopre la poesia. Mario si accosta al poeta con curiosità e ammirazione, cercando di capire il senso del suo poetare. Col passare del tempo entra in confidenza con lui facendo un immaginario percorso verso la poesia, alla quale il suo spirito innocente si schiude con trasparente candore. Il personaggio di Mario è reso da Troisi con la solita semplicità e la sua maschera espressiva restituisce appieno la meraviglia per la scoperta di quell’universo fatto di termini e vocaboli, attraverso cui è facile esprimere sentimenti e avvertire odori, suoni, colori. Il poeta è testimone attento e premuroso della vita del postino, e lo segue nel suo avvicinarsi a quelle realtà così distanti, rappresentati dalla poesia e dalla politica.

Nel film la natura, in quanto motivo d’ispirazione dei versi innocenti di Mario e di quelli più colti di Neruda, è protagonista. Il poeta è un costruttore di metafore, e il suo potere sull’animo umano è riconosciuto anche dalla zia di Beatrice, che rimprovera Neruda d’essere lui la causa delle continue insidie da parte di Mario nei confronti della nipote, e ciò proprio perché gli ha insegnato a poetare. Quando il postino chiede al poeta il perché di alcuni versi, egli risponde dicendo che la poesia non ha bisogno di spiegazione. Alla poesia bisogna avvicinarsi con l’animo ben disposto a capirla, non serve “spiegarla”. E’, invece, quanto mai necessario entrare in sintonia col poeta per scoprire attraverso quali sistemi ha voluto manifestarci i propri stati d’animo.

A esilio concluso, Neruda lascia l’isola e destina il suo amico postino a custode delle sue memorie. Farà ritorno solo dopo alcuni anni, e Beatrice gli presenterà una cassetta nella quale Mario aveva provveduto a registrare per lui le voci e i rumori dell’isola, e di cui lei non si era voluta privare dopo la sua morte. Quest’ultimo passo ci dà la giusta grandezza del personaggio, pur nella sua semplicità, e di come egli abbia voluto scorgere nella voce della natura, la risposta all’insegnamento poetico del suo immenso amico.

Redazione: CineHunters

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