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Era il 1985 quando Dustin Hoffman tornava a interpretare Willy Loman per la trasposizione televisiva di “Morte di un commesso viaggiatore”, capolavoro di Arthur Miller qui riadattato per la regia di Volker Schlöndorff. Proprio cosi, Hoffman tornava, perché aveva già vestito i difficili e angoscianti panni di Loman, un commesso viaggiatore, nel prestigioso teatro di Broadway.

Il testo drammaturgico di Miller, destinato a diventare una pietra miliare del teatro americano del dopoguerra, vide per la prima volta la luce nel 1949. Come per tutte le opere dell’autore statunitense, anche e soprattutto qui, viene posta l’attenzione sull’uomo comune e sulla vita di ogni giorno, caratterizzata da timori, paure, debolezze ma anche da tante speranze e aspettative. In Willy Loman infatti è facile riconoscere l’uomo comune che per tutta la vita si è sacrificato svolgendo con la massima dedizione il proprio lavoro, nella speranza di lasciare ai propri figli un futuro brillante.

Le sue sicurezze crolleranno quando arriverà la consapevolezza, perentoria e devastante, di non essere riuscito a costruire nulla: al fallimento professionale si unisce il disprezzo da parte dei figli che tuttavia non coinciderà con il loro odio. E' proprio questo uno degli elementi più significativi introdotti da Miller. In una vicenda prevedibile egli aggiunge un elemento nuovo: il figlio incolpa il padre di averlo illuso, avendogli egli stesso suggerito, sempre erroneamente, di essere destinato a mete ambiziose, raggiungibili senza sforzo alcuno. Un'illusione che finì per condizionare il figlio. Nonostante queste menzogne, l'erede, al termine di una brutale lite verbale, ammetterà di non odiare il padre. E' questo sentimento di perdono che fa scattare in Loman l'intenzione di porre fine alla sua vita per salvaguardare il futuro dei suoi figli.

"Morte di un commesso viaggiatore" è un’opera teatrale prestata, in questo caso, alla televisione (e al cinema considerando che in Europa usci nelle sale cinematografiche) ma che non perde quasi nulla del suo fascino originale. Lo scenografo Tony Walton sin da subito ci presenta infatti un ambiente casalingo semplice ma a tratti cupo e malinconico che perfettamente si abbina al dramma originale, con una regia, quella di Schlöndorff, che evita inquadrature complesse e articolate per lasciare il giusto spazio ai personaggi e per focalizzarsi al meglio sull’interpretazione degli attori, proprio per mantenere quanto più possibile una visione di carattere più teatrale che televisiva.

L’assoluto spessore del film lo si trova nelle interpretazioni degli attori: Hoffman, qui sottoposto a un pesante trucco d’invecchiamento, offre una performance straordinaria, coinvolgente e da manuale. Gli viene data ampia libertà di movimento, così da poter spaziare da un angolo all’altro della casa catturando lo spettatore con la gestualità e la sua categorica presenza scenica; l’attore, in quel periodo reduce dagli enormi successi cinematografici di “Kramer contro Kramer” e “Tootsie”, si cimenta in una caratterizzante interpretazione prettamente di stampo teatrale. Hoffman, aiutato anche da un grande John Malkovich, è capace di mostrare ogni sfumatura di fierezza e di orgoglio del personaggio come anche il sentimento di disperazione e di angoscia che attanaglia Loman nel tragico finale.

Il sacrificio vedibile nell'ultimo atto testimonierà che il valore della vita di un uomo non sarà mai riconducibile soltanto alla sua riuscita sociale. La sua morte volontaria non è più la resa di un debole che non è riuscito a imporsi in un mondo che premia soltanto i forti, ma si configura come una estrema rivendicazione di dignità, mediante la quale il protagonista, che ha sempre subito sommessamente ogni forma di angheria credendo che fosse il prezzo da pagare per il raggiungimento di uno stato sociale consono, si ribella a questa situazione, ritrovando la propria identità di uomo. Con il suo suicidio, il commesso viaggiatore garantisce alla sua famiglia i ventimila dollari dell'assicurazione, una somma di denaro con cui può congedarsi e lasciar vivere i suoi cari in condizioni decorose.

Miller con questo suo dramma esistenziale tocca le corde più profonde della riflessione emotiva e sociale.

Per questo suo lavoro, Hoffman ricevette l’Emmy Award come miglior attore protagonista.

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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