
Le opere di maggior successo di Paul Verhoeven sono ritratti freddi e amari, dove ricorre il tema della violenza, della realtà fantascientifica e dell’erotismo. Se “Basic Instict” è universalmente noto per appartenere all’ultimo dei generi appena citati, “Atto di forza” e “Robocop” sono le sue opere di maggior successo legate invece al filone fantascientifico. Verhoeven scelse come soggetto per il suo secondo film hollywoodiano una storia dalla duplice dimensione temporale. Ripercorrendo i canoni espositivi del noir anni ’50 riportò in auge la figura del solitario giustiziere, calandolo però in un contesto futuristico e capitalista. L’ambientazione prescelta è quella della città di Detroit, in un imprecisato futuro distopico in cui il progresso tecnologico è centrale nella vita quotidiana tanto nel contesto casalingo come in quello lavorativo. Persino l’aspetto urbano della città subisce le innovazioni estetiche del periodo, tanto che Detroit viene divisa in “Vecchia” e “Nuova”. I due fronti cittadini appaiono astrattamente demarcati da un confine evidente nell’estetica dell’architettura urbana, sfarzosa e fatiscente nella città nuova, malmessa e sorpassata nella vecchia, soverchiata dalla criminalità organizzata, la quale trova terreno fertile per svilupparsi. La potentissima multinazionale denominata OCP vuole demolire la "Vecchia Detroit" per edificare Delta City, un’utopistica megalopoli. Tuttavia, per poter dare il via definitivo al progetto è necessario eliminare il crimine debordante della Vecchia Detroit. Per tale ragione, Bob Morton, vicepresidente del Comitato della Sicurezza della OCP, sta lavorando in gran segreto al progetto “Robocop”, la creazione meccanica di un cyborg infaticabile che possa vegliare in sicurezza sulla città.
“Robocop” è la tragica storia di Alex Murphy (Peter Weller). Alex è uno sbirro vecchio stampo, metodista nelle scelte, impetuoso nell’agire e ferreo nella sua incorruttibile volontà morale. Murphy, in un agglomerato sociale orrido e corrotto, è probabilmente il solo personaggio privo di compromessi. Un uomo integerrimo, con un profondo senso di giustizia, che discerne il bene dal male, ma non riesce a contemplare ombre o grigiori nel proprio disegno etico: non esiste la tentazione del male per lui, ciò che è criminale viene definito “spazzatura”. La sua vita imbocca, in una triste mattina, un viale oscuro e decisamente impercorribile. Una via da cui non si può più tornare indietro: la morte. Nel tentativo di sedare le attività criminali di una banda di efferati assassini, Murphy viene barbaramente ucciso. I suoi resti inermi vengono trasportati in ospedale ma i suoi occhi, sbarrati e immobilizzati nel vuoto, continuano a richiamare alla mente l’immagine della propria morte. Murphy si spegnerà su quel letto d’ospedale con la costante reminiscenza del suo trapasso e del momento esatto in cui il proiettile del suo carnefice è stato “scoccato” dal grilletto senza alcuna clemenza.
La salma di Alex Murphy non ottiene però degna sepoltura. Egli stesso, prima di arruolarsi, aveva firmato un contratto che prevedeva la disposizione del suo corpo alla OCP. Bob Morton decide così di assemblare Robocop coi resti del poliziotto caduto. E’ una lunga ripresa in soggettività quella che Paul Verhoeven adopera per immortalare i frangenti in cui Robocop viene, nel corso dei successivi mesi, costruito; percepiamo la nascita del cyborg attraverso i suoi occhi e viviamo il destino post-morte della coscienza di Alex, mediante le sue palpebre dischiuse. La prima immagine di Robocop, una volta completato, ci viene fornita da una telecamera che riflette la ripresa su uno schermo posto alla sinistra dell’inquadratura, che mostra la maschera protettrice laminata in Kevlar del cyborg. Robocop giunge improvvisamente nella stazione di polizia pochi minuti dopo. Un’ombra argentata si dipana dietro una sfilza di vetrate retinate. La sagoma gigantesca di Robocop viene annunciata da alcuni estratti musicali inquietanti, cadenzati dal rumore dei suoi passi, lenti e pesanti, quando poggia gli arti inferiori sul terreno. L’intero reparto di polizia si mobilita per scrutare la figura robotica, nel mentre Robocop, il cui cervello umano è stato integrato con un sistema informatico, espleta i suoi obiettivi:
1) Mantenere l’ordine pubblico totale
2) Proteggere gli innocenti
3) Far rispettare la legge.
Robocop, in poche settimane, comincia a ripulire la vecchia Detroit dal crimine, seminando il panico tra la delinquenza cittadina per i suoi modi risolutivi e spietati. Robocop annienta alcune fonti della criminalità organizzata, e i cittadini cominciano a considerarlo come un eroe.
“Robocop”, specie nella prima parte dell’opera, a prima vista, sembra rivelare solo alcune delle molteplici tematiche che abbiamo imparato a rinvenire nel cinema di fantascienza. Mi riferisco a quegli argomenti nascosti sotto l’involucro superficiale di un tema reso esteriormente preminente. Un’osservazione sommaria ci indurrebbe a pensare che “Robocop” sia una rivisitazione, in chiave fantascientifica, di un vigilante. La figura del supereroe, qui reso sotto-forma di cyborg tecnologico indistruttibile, in effetti è un fondamento alquanto basilare del film. “Robocop” è la storia di un uomo coraggioso trasformato in una macchina giustiziera. Tutto ciò, però, non è che la punta di un iceberg. Occorre dunque immergersi in quelle acque gelide e cristalline per vedere cosa si nasconde sotto il fluttuare dei marosi. Un’osservazione più attenta e approfondita del film ci mostrerà tratti sottili e intriganti delle peculiarità di un Noir del tutto particolare.
“Robocop” è una storia di vita e di morte. Due antitesi inglobate in un duplice inganno. La lenta e insostenibile agonia di Alex Murphy che conduce alla sua estenuante morte avviene secondo un processo conclusivo di straziante resistenza. Sembrerebbe ai nostri occhi che il protagonista non riesca a morire e perduri a resistere, rimanendo come immobilizzato in un limbo ascetico che si pone tra la vita e la morte. Poco prima di spirare, egli seguita a rimirare il volto della moglie, a rammentare i ricordi del figlio, e gli istanti in cui giocava con lui ai banditi del west, e infine rivive ancora e ancora l’immagine dei suoi assalitori. Quando la camera si pone in soggettività, gli occhi di Murphy si aprono nuovamente al mondo, come in una rinascita; eppure egli non conserva alcun ricordo né un barlume di conoscenza su ciò che è stato.
Alex Murphy risorge come Robocop, e ritorna alla vita in uno stato apatico e “meccanico”. Una sera, quando il cyborg è a riposo, la sua attività cerebrale indugia inaspettatamente nella sfera onirica: Robocop sogna. Materializza nei suoi ricordi il proprio brutale omicidio. Violenti flashback, come dardi acuminati, lo trafiggono al viso, e il cyborg reagisce svegliandosi e tornando prepotentemente in pattuglia, convinto che in qualche posto sperduto della città si stia consumando l’omicidio che ha vissuto. E’ il colpo di genio dell’opera di Paul Verhoeven: l’uomo intrappolato nella macchina. Alex Murphy giace così sospeso in un’incredula dimensione angosciante, nella quale può richiamare i ricordi della sua vita precedente, ma non può comprendere in modo chiaro che siano suoi. Un dramma esistenziale che pone “Robocop” nella cerchia dei film di fantascienza votati all’analisi filosofica del rapporto uomo-macchina e del rapporto vita, morte e resurrezione.
In tutto questo soltanto la giovane Ann Lewis (Nancy Allen), una poliziotta amica e compagna di pattuglie di Murphy, comprende cosa sta accadendo al cyborg. Ella osserva come Robocop, ogni qual volta sta per deporre la sua arma, esegue un gesto istintivo: rotea la pistola più volte. Era il medesimo gesto che Alex faceva per compiacere il figlio. La sfera inconscia tende a manifestarsi nell’agire del cyborg, il quale, lentamente, viene influenzato dai suoi tratti gestuali di umano. Durante una ricognizione, Robocop si imbatte in uno dei suoi carnefici, il quale lo riconosce da un’altra frase ripetuta istintivamente dal cyborg: “vivo o morto tu verrai con me”. A quel punto, l’omicida esterna la propria frustrazione, affermando di conoscere chi si celi sotto la corazzata di Robocop e che non può essere vivo poiché è stato ucciso. Robocop, memorizzando l’identità dell’assalitore, risale agli omicidi per i quali lui e il resto della squadra sono imputati e scopre, per la prima volta, l’identità di Alex Murphy. I ricordi della sua vita precedente continuano a ripresentarsi ciclicamente, soprattutto quando Robocop si reca nella sua abitazione, oramai abbandonata. Percorrendo le varie stanze, egli attinge ai ricordi della sua mente senza tuttavia riuscire a carpirli. E’ un dramma difficilmente comprensibile ma che piega le sicurezze metodologiche della macchina lasciando trasbordare le ansie e le paure dell’uomo che vive sopito al suo interno. Alex si configura, così, come un personaggio attaccato visceralmente alla vita, ai suoi beni affettivi e ai suoi alti valori, così devoto al bene da riuscire ad aggirare la morte e tornare alla vita, senza trascendere le reminiscenze emotive ed effettive. “Robocop” è un noir traslato in un avvenire distorto, scevro dalla consueta proliferazione delle riflessioni intime del protagonista. La pellicola è, bensì, un genere rivisitato, la cui investigazione è rivolta alla scoperta della propria identità umana. A questa indagine ne segue una successiva, quella in cui il “guardingo” protagonista si pone alla ricerca del suo acerrimo rivale. Il male in "Robocop" avviluppa anche i tutori della legge. Devastante, a tal proposito, la sequenza in cui le forze di polizia aprono il fuoco su un Robocop schiacciato dai proiettili di quei nemici che un tempo dovevano essere suoi alleati. In quegli istanti si comprende quanto Robocop sia divenuto il solo ad agognare ancora quel senso di giustizia inattaccabile.
“Robocop” è un film crudo, estremamente violento, a tratti sconvolgente, valorizzato da un montaggio eccellente e da scene d’azione nette e incisive. Il lungometraggio è ritmato da sequenze di comicità amara, con un feroce cinismo perpetrato dal regista per estremizzare le fonti di informazione, i mass-media e le pubblicità futuristiche con parodie caricaturali. “Robocop” è un film di fantascienza in cui la giustizia è una fiamma prossima a consumare i resti liquefatti della candela su cui può riuscire ad ardere ancora per poco. Spetterà a Robocop l’arduo compito di eliminare i suoi assassini. “Robocop” è l’ascesa di un punitore, che torna dall’aldilà per vendicare la sua fine: “Robocop” è un dipinto dai caratteri vendicativi.
Il trapasso e la morte vengono onorati nel film tramite un simbolismo religioso velato ma non indifferente. In alcuni momenti la figura di Alex Murphy viene come rivisitata nella figura del Cristo risorto. La dipartita e la conseguente resurrezione del protagonista rimandano ai momenti più evocativi della mistica esistenza di Gesù. In una scena, Robocop sembra che cammini sull’acqua quando si fa strada tra le macerie dell’acciaieria e avanza su di un pantano acquitrinoso. Poco dopo, il cyborg viene trafitto da una lancia, in un rimando alla mitica lancia del destino che secondo le fonti religiose trafisse il costato di Cristo. Religione e fantascienza incrociano i rispettivi sguardi come fossero posti dinanzi a uno schermo i cui volti appaiono sovrapponibili.
Compiuta la sua crudele vendetta e ristabilito l’ordine pubblico, Robocop può ammettere con piena consapevolezza di essere Alex Murphy. L’uomo riprende coscienza di sé e del suo essere pur restando isolato in un corpo cibernetico, non più suo.
E’ il duplice inganno, quello che d’ora in poi Robocop patirà: vivere un’esistenza in cui vita e morte sono allegoria di una medesima menzogna. Una bubbola paragonabile ai suoi ricordi: può sentirli in lui ma non può riviverli.
Voto: 9/10
Autore: Emilio Giordano
Redazione: CineHunters
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