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"Lo schiaccianoci" - Dipinto di Erminia A. Giordano per CineHunters

(Reinterpretazione personale della fiaba de “Lo schiaccianoci e il re dei topi” per la notte di Natale)

Non molto tempo fa, alle “radici” di un albero addobbato, giaceva, in piedi e zitto zitto, un giocattolo veramente speciale. A differenza degli altri regali, non era stato inscatolato in una confezione colorata. Qualcuno lo aveva poggiato per terra così com’era per far sì che venisse notato di primo acchito. Le illuminazioni si riflettevano su di lui ed esaltavano la scarlatta coloritura con cui era stato dipinto. Il volto del “balocco” vantava una forma bislacca, simile a quella di un grosso quadrato su cui erano stati dipinti, a mano, due occhi azzurri, un naso sottile e un paio di baffi scuri da sparviero. Esso teneva i denti in bella mostra, elargendo, a chiunque lo osservasse, un perpetuo e stravagante sorriso. La bocca poteva essere aperta e chiusa mediante un’apposita barra che spuntava dalla schiena. Tale giocattolo era, a tutti gli effetti, uno schiaccianoci. “Azionando” la leva, i duri incisivi frantumavano con facilità il guscio del frutto. Nulla sembrava turbare questo schiaccianoci. Permaneva immobile, irto sulle gambe con la sua bella divisa tempestata di gemme scintillanti come rubini.

Quant’era grazioso! Lo schiaccianoci ostentava l’eleganza di un piccolo principe, coraggioso e inamovibile dinanzi al pericolo. Aveva i capelli densi e bianchi, tanto soffici da ricordare i filati di lana. Dal mento “fioccava”, come della candida neve, un folto pizzetto affusolato. Sulla sua testa, svettava un cappello a cilindro rosso, adornato da una catenina d’oro. Stretto all’argentea cintura ricamata con elementi arabeschi, vi era un fodero dal quale emergeva la guardia di un fioretto. Quell’aura distinta e quel portamento diritto indicavano un qualcosa di misterioso. Quel giocattolo, fatto interamente di legno pregiato, doveva essere un valoroso cavaliere e non un comune frantumatore di noci.

Nell’ampio salone in cui “egli” sostava, vi era in atto un lauto banchetto. Dolci canzoni facevano eco da ogni dove, creando una magica atmosfera. Dalla cucina, effluivano gli allettanti odori di biscotti al cioccolato appena sfornati. Lo schiaccianoci percepiva i profumi attraverso gli esigui fori del suo naso, ricavato da un frammento di corteccia. Davanti ai suoi occhi si stagliavano le sagome di almeno due dozzine di invitati, tutti allegri e festanti. Lo schiaccianoci non era un ninnolo di minute dimensioni, a suo modo, tenendo ben ritta la schiena e accentuando la larghezza delle spalle, sapeva essere imponente, ciononostante, lì in basso, si sentiva insignificante al cospetto di quegli adulti, animati dal brio della festa. Avvertì la sensazione d’essere un irrilevante esploratore, avventuratosi in un sentiero popolato da giganti. Questi ultimi si scambiavano auguri, caldi abbracci e innumerevoli baci, sfiorandosi le gote. “Che confusione” - borbottò lo schiaccianoci con una voce fioca che a stento riuscì ad udire lui stesso. Del resto, non poteva di certo farsi notare. Tutto d’un tratto, gli si avvicinò una ragazzina. Lo prese in braccio e lo portò con sé.  “Oh, che bella!” - pensò lo schiaccianoci. Finalmente una creatura esile, delicata e gentile si era fatta avanti e lo aveva strappato da quel luogo fastidiosamente rumoroso. “Sarà lei la mia nuova padroncina?” - rifletté.

Clara, la timida bambina che aveva ricevuto lo schiaccianoci in dono dallo zio Drosselmeier, era rimasta affascinata da questo trastullo dal fervido colore vermiglio. Si sedette in poltrona e cominciò a tenerlo tra le sue braccia come fosse un bambolotto, fin quando lo zio la raggiunse.

Per mestiere, Drosselmeier fabbricava giocattoli ma era anche un costruttore di orologi. Egli somigliava ad un Geppetto d’altri tempi, ed il suo schiaccianoci ad un bambino di legno, un Pinocchio schietto ed incapace di mentire. Da buon giocattolaio, Drosselmeier era solito intagliare ed ottenere, da un ciocco di pino, una forma inanimata, seppur carica di significato estetico e artistico; da buon orologiaio, nelle sue creazioni, arrestava il tempo, infondeva staticità, catturando una sensazione felice nei sorrisi esternati dalle buffe faccine dei suoi giocattoli, instillando continuità ad un compito che un determinato giocattolo avrebbe dovuto svolgere, e rendendo eterno un gesto d’amore. Lo schiaccianoci non era stato plasmato dalla sua arte, eppure, in lui confluivano tutte le finalità volute dal signor Drosselmeier. Lo schiaccianoci, infatti, era sempre fermo quando doveva compiere un’azione costante, ovvero quella di rompere le noci; altresì, era “imprigionato” nella sua intenzione più ignota, vale a dire quella di ottenere la “libertà” e, infine, era stato eternato nel suo gesto d’amore segreto: il suo restare rigido per poter essere notato da una ragazzina di cui si sarebbe innamorato.

Lo schiaccianoci, suo malgrado, era schiavo di un compito gravoso e fiaccante. Lui, un principe, non voleva adempiere tale obbligo per sempre. Sbriciolare le noci per il resto della vita era una mansione ripetitiva e alienante, un po’ come quella che un baffuto personaggio di un’altra storia, chiamato Charlot, avrebbe dovuto svolgere in una fabbrica da lavoro in tempi, decisamente, più moderni. Spaccare noci non è poi tanto diverso dal finalizzare sempre le stesse mosse in una catena di montaggio, se le aspirazioni fantastiche di una vita sono tanto preminenti nelle anime e negli spiriti dei più sognanti.

Drosselmeier sapeva che lo schiaccianoci non era un giocattolo come un altro, ma volle tenere il segreto per sé. Dopotutto, Clara avrebbe scoperto quanto doveva quella stessa notte. Indugiò allora a parlare con la piccola.

 “Sai cos’è questo?” – domandò il giocattolaio alla piccina.

 “No!” – rispose sinceramente Clara.

Beh a prima vista è uno schiaccianoci, ma devi sapere che è anche un principe”. – confessò l’anziano signore.

Un principe?” – chiese la giovinetta. - “E di quale regno?” - incalzò subito dopo.

Ma del regno delle bambole, naturalmente. Devi sapere che quello da cui proviene è un mondo incantato, accessibile soltanto nei sogni più intensi” – sussurrò Drosselmeier all’orecchio della bimba, prima di lasciare un bacio sulla di lei fronte.

Clara cullò lo schiaccianoci per tutta la sera, cadendo poi in un sonno profondo. Riaprì gli occhi in piena notte e vide, stupefatta, l’albero di Natale che si faceva immenso, ergendosi a dismisura come una pianta verde fiorita da un fagiolo magico. L’angelo che sovrastava la cima non si vedeva più, poiché l’albero era divenuto ciclopico come un castello, ed era cresciuto sin oltre il tetto della casa, tanto da accarezzare il cielo stellato. Subito dopo, Clara si rese conto che tutti i mobili della casa erano alti, possenti, capienti da far paura. La già ampia camera era divenuta, ai suoi occhi, sterminata. Ma era tutto cambiato oppure era stata lei a rimpicciolirsi senza alcun motivo? Clara si sentì minuscola, come una bambola vestita di rosa. Vide poi il suo schiaccianoci, fermo, alle radici dell’immenso abete, splendente di luci e festoni colorati. Oramai avevano entrambi la stessa altezza, come se un incantesimo avesse esercitato le proprie arti per congiungerli.

Ombre silenti, imprecisate e rapide come un battito di ciglia, si erano ammassate negli angoli bui della stanza. Digrignavano i dentoni sporgenti, grattavano i muri con le loro unghie affilate come lame e scuotevano le code a mo’ di eliche vorticose. Erano topi da battaglia, entrati in casa e decisi a balzare sullo schiaccianoci ancora inerme.

Maestà! Maestà!” - si udì un coro echeggiare dalla vetrina in cui Clara era solita custodire le sue bambole. Tutte loro avevano preso vita e volontà, dibattendo le loro manine sui vetri per destare il loro sovrano, finalmente giunto.

Padroncina! Padroncina!” - sbraitavano – “Salvate il nostro principe” – proseguivano all’unisono.

Com’era fiero lo schiaccianoci nella sua postura. Restava sugli attenti come un tenace soldatino di piombo. Tuttavia, non poteva essere quel soldatino tanto famoso! Lo schiaccianoci aveva entrambe le gambe e nessuna baionetta tra le mani. Clara, tremante perché i topi erano in agguato, si portò vicino a lui, come una ballerina di carta desiderosa di danzare col suo amato soldatino. Quando sentì la dama così vicina da poterla sfiorare con le sue mani di legno, improvvisamente, lo schiaccianoci vivificò, iniziò a muoversi, a parlare, dimostrando a Clara d’essere vivo. Sullo schiaccianoci gravava, infatti, un’oscura maledizione, scagliata dalla regina dei topi. La sua triste storia fu presto rivelata: lo schiaccianoci, un tempo, era un ragazzino, tramutato in giocattolo dalla perfida megera dei ratti.

Con l’arrivo di Clara, la sola a confidare nel fantastico e a provare affetto per lo schiaccianoci, l’incantesimo cominciò a sciogliersi. Lo schiaccianoci, dunque, brandendo la sua spada, affrontò il re dei topi, accorso in testa al suo esercito di sozzi roditori per fermare la magia buona scaturita dalla fanciullina. Lo schiaccianoci prevalse sul malvagio despota, riassumendo sembianze umane. Porgendo la mano alla sua adorata, il principe la invitò ad accompagnarlo sin dentro quell’ammaliante illusione, precisamente nel regno della foresta innevata, laggiù dove la fata dei dolci li stava attendendo con impazienza. Colma di gioia, Clara acconsentì, incamminandosi verso la coltre bianca, oltre i confini della dimora oramai svanita. Laggiù, dove tuttora risuonano melodie celestiali, e ogni fiocco bianco disceso dal firmamento danza nell’etere, seguendo le arie di un valzer di neve, Clara e lo schiaccianoci si innamorano l’un l’altra. Decisero allora di concedersi un ballo. Lei lo abbracciò, cingendolo con le braccia; intrecciò poi il proprio sguardo con quello del principe e i due si persero nei rispettivi occhi pieni di sentimento. Lui, di colpo, la sollevò verso l’alto, dove la levità di un soffio subitaneo carezzò il viso arrossito di Clara.

L’amore, all’inizio, è una luce fioca, che vive di impulsi e brevità, che si accende e si spegne come l’illuminazione intermittente di un albero di Natale, e che poi, consolidatasi, diviene stabile, accesa, radiosa come un raggio sfavillante. L’amore nasce dall’incontro inaspettato, si genera da un lampo improvviso che precede il tuono rimbombante di un colpo di fulmine. L’amore è tenue, e germoglia nelle essenze eteree di due batuffoli di neve che vengono dondolati dal vento ma che non si allontanano, volteggiando e dando concretezza ad un passo di danza che si consuma tra i meandri di una boscaglia cosparsa di candore. L’amore è robusto come il legno più duro, eppur fragile, scalfibile e delicato come la pelle immacolata di una ragazza vera. Esso è una composizione musicale che cadenza l’incedere danzate di un principe e di una principessa; è tutto ciò che, nella dimensione onirica della notte di Natale, vivono insieme Clara ed il suo schiaccianoci.

L’indomani, al sorgere di un nuovo giorno, Clara si risvegliò nel suo letto, rimembrando quel sogno vivido ed indimenticato, ma del suo schiaccianoci non vi era più alcuna traccia. Alla porta bussò lo zio Drosselmeier, seguito dal nipote ritrovato, un giovane che indossava una giacca rossa.

Buongiorno, Clara” – disse lui, accennando un sorriso.

Buongiorno, mio schiaccianoci” – sussurrò lei.

Molte notti dopo, quel mondo ovattato tornò a materializzarsi nei sogni dei due protagonisti, oramai grandi e desiderosi di convolare a nozze. Ascenderanno al trono di re e regina del reame delle bambole.

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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