Al tempo de “Il delitto perfetto” Hitchcock aveva un contratto con la Warner Bros, per la quale aveva già girato diversi film. Dopo aver visionato parecchi soggetti, nessuno dei quali lo aveva interessato particolarmente, il maestro decise di salvaguardarsi con un thriller di grande successo, una commedia di Frederick Knott dal titolo “Dial M for Murder”. Hitchcock lavorò con l’autore alla sceneggiatura e non si distaccò poi tanto dal testo originale. Il pubblico accolse con entusiasmo “Il delitto perfetto”, anche se Hitchcock lo definì sempre un film minore, girato più che altro per esigenze contrattuali e commerciali. In effetti con “Il delitto perfetto” siamo ben lontani dal successo ottenuto dai film “Notorius” e “La finestra sul cortile” ma non per quel che concerne la qualità dell’opera.
Con “Il delitto perfetto”, Hitchcock è ancora una volta attratto da un soggetto che ha al suo interno i dissidi, i malumori e la durezza che sovente si nascondono in un rapporto di coppia. Al maestro stava a cuore la concentrazione narrativa e strutturale del film, dovuta in parte al lavoro teatrale dal quale è tratto, ma principalmente alla volontà e alla bravura del regista. Nel caso di Hitchcock lo testimoniano numerosi film d’impianto teatrale, girati in un unico ambiente, come per esempio “Nodo alla gola” e “La finestra sul cortile”, ai quali è giusto accomunare anche “Il delitto perfetto”, che praticamente si svolge per intero nel soggiorno dei Wendice. In alcuni metri quadrati Hitchcock è capace di mettere in scena una vicenda fitta e avvincente dal ritmo praticamente perfetto, alla cui realizzazione partecipano un sapiente montaggio, abili movimenti di macchina e un’azzeccatissima colonna sonora, tutti elementi questi di spiccato taglio cinematografico.
Se la caratterizzazione dei personaggi è alquanto sfuggente non è così invece con gli oggetti. A essi, più che ai protagonisti, sono rivolti alcuni suggestivi primi piani: la borsetta, il telefono, il disco dell’apparecchio telefonico con la lettera “M” in risalto, le forbici. Numerosi altri oggetti sono sparsi nel lungometraggio e la loro presenza non è mai casuale: i guanti, i bicchieri ripuliti per togliere le tracce, il cestino da lavoro, il bastone, la calza usata da Awan, il flacone di benzina, le calze di Margot, il vassoio con le tazze, la valigetta blu. Ma l’oggetto più importante rimane indubbiamente la chiave. Con un solo elemento Hitchcock è capace di suscitare ansia, paura e sgomento.
Grande attenzione viene rivolta alle luci, in quanto nella sala dei coniugi Wendice si trovano alcune lampade, le quali contribuiscono a formare l’atmosfera delle varie sequenze, creando così un sinistro gioco di luci e ombre. Le ombre si stagliano sui muri della casa, ma anche i colori fanno la loro parte. I movimenti di macchina avvinghiano i personaggi in una sorta di rete invisibile e li imprigionano all’interno della stanza.
L'ispettore Hubbard, interpretato da John Williams, possiede molti atteggiamenti e adopera metodi investigativi paragonabili a quelli del Tenente Colombo, che sarà interpretato da Peter Falk dal 1968 in poi. Entrambi sono estremamente intelligenti, capiscono dopo un'attenta analisi chi sia il colpevole e lo incastrano con una trappola sapientemente architettata. Il personaggio di Williams finge anch'egli d’essere un tantino smemorato dinanzi al sospettato, fa finta di ricordarsi improvvisamente cosa dover chiedere all'accusato, e quando sta per andare via, torna di colpo indietro. Un tipico atteggiamento utilizzato da Colombo, che ritornando sulla scena esclama “solo un’ultima cosa…”
Però, in effetti, c’è una sequenza che in modo particolare si erge su tutte le altre per drammaticità interpretativa, ed è quella del tentato omicidio di Margot. Le tenebre, lo squillo ossessivo del telefono, la luce che si accende, Margot che procede in vestaglia al centro del fascio di luce che proviene dalla porta rimasta aperta, il suo volto che rimane per metà in ombra mentre si porta la cornetta all’orecchio; e poi ancora la presa inaspettata e violenta di Swan, il piegarsi all’indietro di lei, la proiezione sul muro delle sagome dei due che si dibattono. E infine la disperata ricerca di qualcosa per liberarsi da quella morsa mortale e le forbici inquadrate in primo piano, così come il successivo ferimento dell’aggressore, e Margot che si adagia sulla scrivania, mentre Swan rovina a terra supino, con il macabro particolare delle forbici che si piantano ancora di più nella sua schiena. In questo Hitchcock è un vero maestro: gira una scena di una tale brutalità senza far vedere nemmeno una goccia di sangue.
Molto probabilmente il delitto perfetto non esiste, di certo però esistono scene perfette come questa!
Colombo - Dipinto in Pop Art di Erminia A. Giordano per CineHunters
Trasandato nell’aspetto, distratto e perennemente sulle nuvole agli occhi di chi lo osservava, goffo e stranito nei modi di fare, inseparabile da quel suo impermeabile sgualcito; un aspetto consolidato in uno scenario piacevolmente ripetitivo. Persino quel mozzicone di sigaro, portato con ritmata frequenza dalla mano alla bocca, assumeva spessore e valenza interpretativa per il personaggio durante il proferire delle battute o in quelle lunghe, famose pause riflessive. No, non parlo di Clint Eastwood, anch’egli attaccato a un sigaro, che spesso diveniva parte integrante dell’espressione dell’attore stesso nei vecchi spaghetti-western. D’altronde come potrei parlare di qualcun altro, avendo fatto cenno a un particolare impermeabile, che immediatamente riporta il lettore, nel proprio immaginario, a pensare a una sola icona storica del piccolo schermo. In egual modo, se nominassi una giacca di pelle verrebbe in mente soltanto un individuo in grado di indossarla con tale disinvoltura tanto da farne un simbolo, come fosse il costume di un eroe degli anni Sessanta, riconoscibile al primo sguardo, essendo un qualcosa di talmente evocativo da entrare prepotentemente nell’immaginario collettivo. Ma gli atteggiamenti ripetitivi, monotoni, quasi asfissianti, oltre il consolidato classico look, costituiscono il segreto della notorietà. Sono quegli elementi che bucano lo schermo e conquistano lo spettatore. E’ l’espediente essenziale per il perfetto funzionamento di una sceneggiatura standardizzata, la ricetta per il successo. Parlare di Peter Falk e associarlo solo all’immortale ruolo del Tenente Colombo apparirebbe quanto mai riduttivo, poco garbato, persino offensivo. Un grande attore non può e non deve essere mai preda di un singolo ruolo, ma riguarderà solo e soltanto una parte nella sua carriera d’artista. A volte, gli attori tendono a detestare la mera associazione che il pubblico fa nei loro confronti con un personaggio da essi stessi interpretato, sia pure per un breve periodo di tempo. Desiderano invece essere ricordati nell’interezza della propria carriera artistica. Il serio pericolo per un attore è che nessuno riesca ad apprezzarlo in altri ruoli altrettanto meritevoli, poiché viene a trovarsi come schiacciato dalla sua interpretazione più conosciuta e innalzato quasi a emblema. Ma non è assolutamente il caso di Peter Falk. Anzi, tutt’altro! Falk, infatti, riuscì ad alternarsi con spiccata destrezza dal cinema alla televisione, ottenendo altrettanti favorevoli riscontri dalla critica e dal pubblico. Ma i panni del famoso tenente della polizia statunitense non li abbandonerà mai. E perché mai avrebbe dovuto lasciarli? Falk non fece mai mistero della sua profonda ammirazione per il ruolo che lo rese celebre in tutto il mondo. Lo descriveva come un personaggio dotato di un immenso carisma e di un coinvolgente temperamento. Era davvero un piacere interpretarlo. Il grande attore non rifiutò mai la sua “creazione” più famosa, ma la modellò su di sé negli anni e ne fece vanto nel tempo. Trattando maggiormente il suo ruolo più rappresentativo, non s’intacca mai, a mio avviso, la grandiosità del suo talento, anzi, assume ancor più quel prestigio che lo rende unico agli occhi del vasto pubblico.
Già nei primissimi anni ‘60 Falk aveva abbracciato il successo cinematografico per le interpretazioni ne “Sindacato assassini” e in “Angeli con la pistola”, arrivando a sfiorare l’Oscar come miglior attore non protagonista. Un preludio alla successiva scorpacciata di premi che otterrà in televisione. Ancor prima aveva lavorato in parti di tutto rispetto nella nota serie “Alfred Hitchcock presenta…”, un’anticipazione, questa volta, agli scenari noir e polizieschi che lo accompagneranno per tutto il resto della sua carriera. Falk era un volto televisivo, una presenza abitudinaria del piccolo schermo, ma era anche una figura piuttosto ingombrante, alimentata dalla bravura che cresceva giorno dopo giorno, per non restare relegato in un solo spazio interpretativo. E proprio per questo, tra gli anni Sessanta e Settanta, duetterà al cinema con alcuni dei più grandi nomi del momento: Sidney Poitier, Spencer Tracy, Jack Lemmon, Nanni Loy, Sidney Pollack, Maggie Smith, Peter Sellers e David Niven. Sui set cinematografici abbandona saltuariamente quell’impermeabile beige, pur custodendolo gelosamente, essendo consapevole che dovrà tirarlo fuori dall’armadio ogni qual volta gli tornerà utile. Ma quando indossò per la prima volta quell’identificativo indumento? Era il 1968. Il “tenente” però era già nato negli anni cinquanta ma viveva soltanto in un’idea abbozzata dai creatori Richard Levinson e William Link. Colombo era appunto "un'idea", in attesa di prendere forma e consistenza attraverso le mani dello stesso Falk. La grande novità che i due autori volevano proporre col suddetto sceneggiato era che l’attenzione dello spettatore non doveva essere riservata agli indizi, disseminati nel corso della puntata per arrivare a scoprire il colpevole, magari ancor prima del detective.
Nell’idea concreta dei due scrittori, lo spettatore doveva invece conoscere immediatamente l’assassino e le dinamiche che lo porteranno a compiere il delitto. L’attenzione doveva andare sul personaggio protagonista e non sul presunto colpevole. E’ capire come il tenente riesca a far crollare il possente castello eretto dall’assassino, a difesa della propria innocenza, il vero punto di forza della serie appena tracciata. Per rendere appetibile e interessante un approccio così diverso serviva un personaggio di spessore, che facesse breccia nelle simpatie dei telespettatori e reggesse il peso di una sceneggiatura a lui devota. Ma prima ancora serviva un altrettanto grande interprete per rendere quel medesimo personaggio all’altezza del compito richiestogli. Il primo attore a indossare la “divisa” ufficiale del tenente fu Bert Freed, ma allora il nome del personaggio era Fischer. Freed venne in seguito sostituito da Thomas Mithcell. L’episodio pilota stentava a decollare, gli attori non avevano le physique du rôle per la parte predestinata. Si alternarono ancora Lee J. Cobb e Bing Cosby con scarsi riscontri. La Universal, che credeva ancora nel progetto, attese l’arrivo del definitivo attore protagonista: dopo quattro fallimenti venne chiamato Peter Falk. Levinson e Link avevano finalmente trovato il loro Tenente Colombo. Puntando lo sguardo verso la telecamera, Peter Falk raggiungeva la fama internazionale. A dirigere il grande attore, dietro la macchina da presa, vi era un altro predestinato, allora sconosciuto: Steven Spielberg. Una squadra omologata per il successo.
Falk aveva una menomazione, un occhio di vetro, che ai primi provini della sua carriera lo aveva limitato nei severi giudizi dei produttori. Ma il suo merito più grande fu quello di trasformare un presunto difetto in un assoluto pregio; quell’occhio gli conferiva, infatti, uno sguardo particolare, arguto e intelligente, come se stesse continuamente riflettendo nel momento in cui scrutava attentamente il volto dell’assassino. Fu la prima, inimitabile caratteristica che Falk regalò al proprio personaggio. Gli sceneggiatori scrissero dei veri e propri tormentoni che il tenente avrebbe dovuto rispettare, permettendo, dopo poche puntate, agli spettatori di cogliere dei tratti comportamentali e abitudinari irresistibili. Di Colombo non conosciamo il nome di battesimo e non vediamo mai in volto la moglie che però nomina costantemente e alla quale è legatissimo. L’idealizzazione della consorte è onnipresente nei dialoghi di Colombo, venendo ironicamente inserita come contrappunto comico, quasi a mettere a proprio agio il sospettato, durante degli accenni di interrogatorio, velati da una dialettica furbescamente garbata e amicale. Colombo va in giro con un modello d’epoca malandato di Peugeot 403 cabriolet, rumorosa, non troppo linda e alquanto consunta ma di cui paradossalmente va molto fiero. Porta spesso con sé un cane, mite e dormiglione, a cui è molto affezionato, pur non avendogli mai trovato un nome, e per questo lo chiama semplicemente “cane”. Stravaganze bislacche che rendono il personaggio ancor più geniale nella propria quotidianità. Ma la genialità, dopotutto, non corrisponde ad un pizzico di “stramberia”?
Colombo ha un quoziente intellettivo superiore alla media e una capacità intuitiva fuori dalla norma. Non viene mai spiegato evidentemente se il suo apparire distratto e così “alla mano”, al limite dell’ingenuo, sia fatto di proposito per celare la propria intelligenza, o se sia una caratteristica naturale del personaggio che tende ad essere massimamente perspicace nella sua rilassatezza colloquiale. Implicitamente sembra che Colombo voglia apparire goffo e poco brillante per risultare una minaccia di poco conto agli occhi del sospettato. L’assassino, convinto di avere a che fare con un poliziotto qualunque, comincia ad abbassare la guardia, fino a commettere errori decisivi. Colombo intuisce dopo poco tempo chi è il principale indiziato, diciamo colpevole, e inizia così a pressarlo, all’inizio cautamente, per poi divenire ossessivo. Colombo approfitta della minima disattenzione del proprio interlocutore, usufruendo di una concentrazione spasmodica, mettendo il reo alle strette. In un sottile gioco d’intelligenza, il personaggio di Falk demolisce l’apparente impenetrabilità dell’alibi del colpevole, riuscendo straordinariamente a smascherare ogni contorto passo falso dell’assassino, ormai ridotto allo stremo. Falk caratterizzò Colombo facendo sovente uso della sua abilità di comico brillante, alternando così una comicità raffinata a un aspetto più serioso e raziocinante. Grazie alle sue fantastiche doti d’interprete rese il personaggio piacevole agli occhi del grande pubblico, sia quello adulto che quello giovane. Colombo è un moderno Sherlock Holmes, privo di pipa ma accanito fumatore di sigari, lontano dall’eleganza inglese ma realistico in quel suo ingegno, anteposto volutamente alla classe nell’aspetto esteriore. Durante lo scorrere delle serie decine e decine di star parteciperanno, desiderose di contribuire al successo del serial, spesso in veste di assassino. Falk inchioderà tra i tanti: Martin Landau, Johnny Cash, Leonard Nimoy, William Shatner, Anne Baxter, Dick Van Dyke, Lee Grant e Janet Leigh. Frutteranno le nomination e le vittorie ai maggiori premi per la serie e per lo stesso Falk, che porterà a casa ben quattro Emmy award e un Golden Globe, sempre come Miglior Attore Protagonista.
Dylan Dog, il personaggio dei fumetti creato da Tiziano Sclavi, è anch’esso un detective. Di ben altra natura, ma è interessante notare come anche lui vesta sempre allo stesso modo, risultando riconoscibilissimo agli occhi dei fan. Anche il fumetto di Dylan Dog pone la sua narrazione su alcuni tormentoni come le varie fobie del protagonista, le costanti freddure di Groucho o i passatempi di Dylan, che vanno dal suonare un clarinetto alla costruzione di un modellino di veliero. Persino Tex, altro mito del fumetto italiano, veste perennemente allo stesso modo: sono quelle caratteristiche iconiche e irrinunciabili di un personaggio. In tali casi, di un personaggio che tende a rispecchiare, fin dove è possibile, l’uomo normale che si erge a eroe. Falk con Colombo non fu altro che un uomo qualunque, costante e minuzioso nel proprio lavoro, vissuto, alle volte, nella monotonia della quotidianità, devoto ad uno stile simbolico che gli offrì il canone dell’eroe che ricerca giustizia, del detective che non impugna mai una pistola (persino quella di Dylan era spesso scarica) poiché l’avversità va affrontata con la potenza dell’intelletto. Peter Falk non abbandonerà mai i panni del Tenente da lui interpretato in veri e propri film, e trasportato anche al cinema, per ben 35 anni. Nel 1976 Falk fu particolarmente apprezzato per un ruolo, sempre da detective, nella commedia “Invito a cena con delitto”, dove recitava in una divertente opera di Neil Simon, parodizzando Sam Spade e lo stesso Colombo. Nel 1984 fu tra le star che apparvero nel famosissimo video di Ray Parker Jr “Ghostbusters”. Uno dei suoi ultimi, indimenticabili ruoli fu quello del nonno/narratore nel cult fantasy “La storia fantastica”. Peter Falk si spense il 23 giugno del 2011 all’età di 83 anni.
Dal 2008 soffriva della malattia di Alzheimer e non era più in grado di intendere e volere. Mi piace pensare che lassù indossi ancora quel suo impermeabile, e vada gironzolando di nuvola in nuvola a pressare il “malcapitato” di turno; sono certo che non gli farà domande dirette, parlerà probabilmente di sua moglie, ma senza dubbio si farà dire dov’era e cosa faceva a quella determinata ora di quel determinato giorno, e magari, dopo qualche altro passaggio del suo umorismo disarmante, allungando il braccio verso l’interlocutore, stringendo tra le dita il mozzicone di sigaro, aggiungerà candidamente: “Solo un’ultima cosa…”