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Devo ammettere che non ero affatto a conoscenza delle pieghe che la storia avrebbe preso nel secondo capitolo della saga di “Terminator”. Eppure, un dubbio mi assalì quando guardai per la prima volta il lungometraggio del 1984. Osservando la caccia che coinvolse i fuggitivi, Sarah e Kyle, e che venne portata avanti con infaticabile devozione dal cyborg, a cui Arnold Schwarzenegger prestò le sue nerborute fattezze, non potei fare a meno di pormi il seguente interrogativo: se un Terminator venisse programmato per difendere, invece che per attaccare, cosa potrebbe accadere? Esso costituirebbe una difesa non solo “rocciosa”, ma pressoché indefessa. Il Terminator vigilerebbe giorno e notte sul soggetto verso cui le sue attenzioni sono state a ben riguardo “indirizzate”. Una macchina distruttrice si tramuterebbe in un protettore possente quanto infaticabile. Per me non rappresentava che una mera ipotesi. Rimasi comunque scettico circa la possibilità di poter vedere un cyborg di tale natura “tramutato” in una sorta di guardia del corpo. Mi ripetevo che, come descritti dal guerriero Kyle Reese, i “Terminators” non conoscessero paura, rimorso, stanchezza, pietà. Erano stati concepiti per annientare gli uomini, plasmati tra le fiamme di una fucina affacciata su una voragine infernale, al solo scopo di procurare dolore. Ciononostante, quando recuperai per la prima volta “Terminator 2” rimasi piacevolmente colpito. La macchina assassina era stata riprogrammata, e il T-800 vestiva adesso i panni di un vigilante.

James Cameron spiazzò le attese del periodo e realizzò un sequel innovativo e spettacolare. L’antagonista del primo film tornava mantenendo un aspetto del tutto somigliante a quello che aveva il suo tristo predecessore, tuttavia, il suo ruolo venne invertito, da efferato assalitore il Terminator di Schwarzenegger indossò le vesti dello stoico difensore di Sarah Connor e del figlio, il futuro guerriero John. Il T-800, questa volta, se la sarebbe dovuta vedere contro un nuovo Terminator, un modello T-1000, maggiormente potente e ancor più imbattibile. Se nel primo lungometraggio di Cameron, la sfida dell’uomo contro la macchina costituiva il fulcro narrativo dell’opera, per il sequel il cineasta scelse di porre su fronti opposti le due creazioni “partorite” dell’intelligenza artificiale Skynet. La macchina si scontrerà contro un’altra macchina, in un duello senza esclusione di colpi.

“Terminator 2 – Il giorno del giudizio” è un sequel stupefacente, che si pone ad un livello paritario se non addirittura superiore rispetto al capostipite della propria saga. Come spesso è accaduto per le produzioni del regista James Cameron, il budget per la realizzazione del film fu impressionante. I costi superarono i 100 milioni, ma i guadagni e i responsi critici ripagheranno ampiamente le spese: “Terminator 2” sarà il film di maggior successo dell’anno, e vincerà quattro premi Oscar su sei candidature. La pellicola è una lunga e inarrestabile corsa effettuata tra la notte e il giorno per ricercare una doppia salvezza: quella dei nostri protagonisti, Sarah e John, vigilati da un guardiano che farà quanto è in suo potere per difenderli, e quella relativa alla razza umana, sulla quale pende una minaccia per l’imminente creazione di Skynet. Il film è permeato da un’atmosfera avvincente, ed è in particolar modo scandito da fantastiche sequenze d’azione che lasceranno attoniti anche coloro i quali sono meno propensi a conturbarsi davanti ad un trucco scenico ben congegnato o ad un articolato effetto speciale.

“Terminator 2 – Il giorno del giudizio” riprende a raccontare la storia là dove si era interrotta. Sarah è molto cambiata da quella notte in cui perse la vita Kyle Reese per darle la possibilità di trarsi in salvo. Quando Reese spirò, ciò che restava del busto in endoscheletro metallico del Terminator riprese ad animarsi e, strisciando, continuò il suo folle proposito di neutralizzare la donna. Sarah riuscì a terminare definitivamente la macchina, schiacciandola sotto il peso di una pressa idraulica. Fu in quel momento che lei cominciò la sua ascesa. Sarah andrà incontro ad un’evoluzione evidente rispetto al primo film, nel quale era una giovane donna, dolce e spaventata, vittima di eventi avversi, di una caccia spietata perpetrata da un predatore impossibile da arrestare. Tale fuga, per scampare alle intenzioni fatali del terminator, l’aveva resa una preda indifesa, la cui unica tutela era garantita da un uomo, il padre del suo futuro figlio. In “Terminator 2”, Sarah verrà rappresentata come una donna forte, atletica, un’esperta di armi da fuoco e del combattimento corpo a corpo. Ella è pronta a battagliare per scongiurare l’olocausto nucleare che Kyle le raccontò. Sarah è una delle grandi protagoniste del cinema di James Cameron: come Ellen Ripley di “Aliens”, Sarah è audace, una madre che non contempla alcuna resa quando si tratta di difendere il suo unico figlio; e come Rose di “Titanic”, ella è una donna in grado di vivere con fierezza, di affrontare le asperità che la vita le pone sul proprio commino, e di restare eternamente legata al ricordo di un primo e indimenticabile amore.

Nel sequel di “Terminator”, colpisce la naturalezza con cui il pubblico instaura un feeling spontaneo con il T-800. Quel cyborg ha i medesimi connotati fisici del brutale assalitore che tentò, fino allo stremo e oltre, di uccidere la nostra protagonista, Sarah Connor, e che riuscì ad annientare il coraggioso guerriero Kyle Reese, compagno di Sarah e padre inconsapevole di John. Sebbene verso il robot non potremmo che, da subito, nutrire la stessa diffidenza provata da Sarah, quando questa si imbatterà nuovamente nella macchina che ha il medesimo aspetto del suo indimenticato assaltatore, noi spettatori riusciamo comunque a simpatizzare con l’agire sincero del Terminator: ciò perché senza remora alcuna riponiamo in lui la nostra fiducia. Con una scrittura curata e intelligente del personaggio, il T-800, da cattivo, venne mutato in un protagonista d’indiscussa caratura eroica, in grado di far breccia nel cuore del pubblico come un guardiano silenzioso scelto per essere l’estrema difesa.

E’ il concetto di “difesa” un aspetto interpretativo importante e ricorrente del film. In “Terminator”, Kyle Resse ammetteva d’essere tornato indietro nel tempo per proteggere Sarah, una donna la cui fama leggendaria precedeva la conoscenza del suo vero aspetto. In pochi sapevano realmente chi fosse Sarah Connor, e ancor di meno quale conformazione avesse il suo viso. Nessuno sapeva il colore dei suoi occhi, o che i suoi lunghi capelli erano, in verità, biondi. Eccetto Kyle, a cui John Connor, conscio d’essere suo figlio, darà una fotografia della madre in modo che Kyle cominci a conoscerla. Kyle si innamorerà dei lineamenti di quel volto, imparerà a scoprire ogni curva d’epidermide di quella giovane donna, immortalata in uno scatto fotografico a cui rimase tanto legato. Kyle era prontamente disposto a dare la sua vita per Sarah quando fu scelto per incarnare l’ultima difesa della donna: è questo l’atto d’amore più grande espresso dai due film di “Terminator”, quello relativo al “difendere” ciò che amiamo. Kyle morirà per dare una speranza alla sua amata, Sarah, la quale, a sua volta, sarà pronta a sacrificare se stessa pur di proteggere il figlio. La strenua difesa dei protagonisti umani subirà una nuova analisi in “Terminator 2 – Il giorno del giudizio”, quando il T-800 dimostrerà di poter essere anch’esso una difesa inossidabile.

La lotta spossante che coinvolge il T-800 con il T-1000 è una battaglia in cui il male, personificato nel Terminator di nuova generazione, non solo si manifesta come una forza oscura ma anche e di certo per nulla scalfibile. Se il T-800 poteva essere distrutto dopo una serie di violenti attacchi eseguiti con grosse armi da fuoco, il T-1000 vanta una capacità rigenerativa infusa in lui dal materiale con il quale è stato costruito; ad ogni colpo subito, la lega di metallo liquido che riveste l’androide pare deformarsi per poi tornare allo stato iniziale come se non fosse successo nulla. Ma non solo, tale lega mimetica gli permette di assumere la forma degli oggetti che lambisce o delle persone che tocca. Il male in “Terminator 2” potrebbe celarsi ovunque, usufruire di ogni forma e adoperare ogni possibile voce per attirare a sé le vittime designate.

Il Terminator mandato indietro nel tempo per proteggere John dovrebbe essere il primo T-800 “riprogrammato” per garantire un’azione non più votata all’eliminazione ma alla salvezza. Se in principio le macchine erano soltanto fautrici di morte, lui sarà il primo cyborg a farsi garante di un atto protettivo. Nulla lo avrebbe fatto demordere dalla sua missione, nessuna ferita, nessun patimento, niente avrebbe fermato il Terminator dal suo intento primario: difendere John e Sarah a qualunque costo. Il T-800 ripete proprio quella frase che Kyle disse alla donna di cui era innamorato: “vieni con me se vuoi vivere!”. In quest’affermazione trapela la testimonianza di un affetto votato alla protezione assoluta.

Il T-800 di “Terminator 2” è un androide atipico, il primo ad aver subito un cambiamento delle proprie direttive. Nella sua peculiare situazione, incentrata sulla difesa e non più sull’attacco omicida, il Terminator sembra “aprirsi” ad una maggiore comprensione dell’agire umano. Si domanderà, tra le tante cose, perché le persone piangono. L’interpretazione di Arnold Schwarzenegger, non più una maschera fissa e impenetrabile di rabbia e odio, rimarcherà questo aspetto della personalità della macchina. La mimica, in diverse scene, sembra cambiare, il Terminator non ha più un volto meccanico e indecifrabile, freddo e distaccato. In particolare, quando nella fonderia si rivolgerà a John e gli dirà di allontanarsi, il cyborg avrà uno sguardo comprensivo, e assumerà un’espressione che sembra trasmettere l’idea che il Terminator sia conscio dell’affetto che il giovane ha iniziato a provare per lui, considerandolo alla stregua di un padre. Ancora il T-800 dirà al giovane, quando la sanguinosa battaglia volgerà al vittorioso culmine, che ha ben capito perché noi esseri umani piangiamo, eppure, il suo sistema gli impedisce di poterlo fare.

“Terminator 2 – Il giorno del giudizio” sembra ricercare, mediante un’indagine introspettiva, un barlume di umanità negli ingranaggi meccanici del cyborg. Il rapporto empatico venutosi a creare con questo androide raggiungerà il suo massimo nella scena finale, in cui il Terminator sceglierà volutamente di uccidersi, facendosi sciogliere in una vasca di acciaio fuso. Con la sua dipartita, potrà cambiare gli eventi apocalittici previsti per il 1997. La sua mano sarà la sola parte del corpo che permarrà per qualche istante sopra la superficie del fluido incandescente: le sue dita simuleranno il gesto di un “ok”. In quell’ultimo saluto, il robot mimerà un cenno tipicamente umano.

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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Semplicità e complessità sono le due antitesi del cinema di James Cameron. Due dogmi che dividono il volto di Cameron e ne influenzano le rispettive visioni con cui i suoi occhi reinterpretano la realtà in arte filmica. Dalla semplicità di una trama di base si sviluppa una monumentale complessità di realizzazione, una ricerca esasperata dello sperimentalismo tecnico. Per James Cameron l’anima gemella dell’essenzialità è l’inestricabile, ed entrambi vanno congiunti in uno sposalizio scenico.

  • Storia cristallina, generi variegati

Dal suo primo grande successo “Terminator” all’ultimo dei suoi lungometraggi “Avatar”, il cineasta statunitense ha sempre voluto far sorgere le proprie storie su fondamenta robuste e trasparenti. Esse reggono il peso di una sovrastruttura delineata e candida. Le trame dei suoi film sono infatti comprensibili, caratterizzate preventivamente da una narrazione ordinata che evita digressioni da capogiro. La narratività di Cameron si forma sotto i nostri stessi occhi, come fossero parole in procinto d’imprimersi su pagine bianche. Le sue pellicole sono, per l’appunto, libri aperti, non contrassegnati da una copertina, ad onor del vero, già di per sé sfavillante di colori policromi; tomi da divorare famelicamente per saziare l’ingordo appetito di chi anela a gustare le prelibatezze di un banchetto dai più disparati sapori. La trama non è che un menù, ed il “menù” è una storia basilare che mescola i generi più variegati. Vengono, pertanto, servite portate d’inaspettata combinazione culinaria. Perdonate l’indugio metaforico, adoperato per evidenziare il talento di James Cameron nell’amalgamare vari stili cinematografici in “un sol corpo”, d’impossibile categorizzazione. Come fosse un rinomato chef, Cameron saggia, infatti, l’accostamento tra essenze diverse. La fantascienza si mescola al thriller, l’azione alla commedia, l’epicità al romanticismo.

  • La contraddizione del progresso tecnologico

La tematica più cara, quella che ha ispirato il credo artistico di Cameron sin dagli inizi della sua carriera, riguarda la tecnologia e i pericoli ad essa legati per via di un costante e progressivo avanzamento tecnologico. In “Terminator” il regista tratta il tempo come fosse un orologio a pendolo, oscillante da destra a sinistra e viceversa, ondulante tra un passato lontano e un futuro prossimo distopico e aberrante. Ispirato, probabilmente, da “Il mondo dei robot”, Cameron partorisce la storia di un cyborg e di un eroe umano giunti da un remoto avvenire per mimetizzarsi nell’ingenuo presente dell’indifferenza. “Terminator” fu un thriller di fantascienza notturno, una lunga fuga per la sopravvivenza compiuta da Sarah Connor e Kyle Reese, operata per sfuggire alle implacabili minacce di una macchina assassina. In “Terminator”, Cameron affronta per la prima volta il tema del progresso tecnologico, delle macchine che costruiscono macchine, vagliando la sinistra previsione che un giorno le intelligenze artificiali non soltanto si ribelleranno all’uomo ma creeranno esse stesse “la vita”. Si tratta, in tal caso, di un’esistenza meccanica che, nella concezione fantascientifica, porta ad una sorta di “evoluzione” della specie. Già in “Terminator” sono riscontrabili le impressionanti abilità di Cameron nel girare sequenze d’azione impegnative, che troveranno un’esaltazione spettacolare nel sequel “Terminator – Il giorno del giudizio”, in cui Cameron sovverte, in un certo senso, l’antagonista del primo capitolo trasformandolo nell’eroe.

La sicurezza che l’uomo pone nell’infallibilità delle proprie costruzioni è fonte di un’inquieta analisi per Cameron. Tale pensiero costituisce l’ispirazione analitica di “Titanic”, in cui il regista riporta alla vita quella che fu un tempo la nave più grande del pianeta. L’inaffondabile Titanic al momento della sua ultimazione era l’esito delle maestranze più bello del mondo, il simbolo del genio dell’uomo, nonché l’emblema dell’ingegneria navale britannica. Un “costrutto” di sublime, sopraffina ed impareggiabile bellezza. Doveva essere nata dalla fucina di Efesto, tanto meravigliosa era quella nave, eppure non era così, non perché il dio greco non l’avrebbe potuta fare d’egual fattezza, ma perché quella volta fu l’uomo ad anticiparne le doti. Il Titanic, secondo le previsioni e le aspettative del tempo, era prossimo a far genuflettere la vastità dell’oceano al proprio cospetto. Da qui, Cameron rielabora ancora una volta il tema del progresso tecnologico, sospinto al limite massimo in quegli anni dalla costruzione del Titanic, sorprendendo lo spettatore di fine Novecento con la bellezza restaurata della nave e terrorizzandolo con il patimento desolante cui andrà incontro.

Il più grande manufatto in movimento mai costruito fino a quel tempo verrà flagellato dai gelidi marosi, in una storica, e per questo didascalica, narrazione sequenziale sfruttata da Cameron per mostrarci come qualunque prodotto dell’uomo, anche quello apparentemente indistruttibile, possa rivelarsi poi inerme dinanzi alla forza della natura. L’egoismo umano-centrico viene così castigato da un fato avverso e crudele, e quella nave tanto amata da Cameron finisce per apparire sofferente come un vero protagonista della scena, in un drammatico materialismo.

Giungiamo, infine, ad “Avatar”, le cui opposizioni tra il popolo dei Na’vi, armato di archi, frecce e lance, e la gente del cielo, a capo di un esercito di armi avveniristiche, rimandano alla malvagità cui può essere soggetto il progresso tecnologico se adoperato per loschi scopi dall’uomo. Sarà anche in questo caso la natura, viva e selvaggia di Pandora, a respingere clamorosamente le avanzate degli uomini.

Innumerevoli scene d’azione dei suoi film possiedono un che di incredibile. Vi è però una sorta di contraddizione tra ciò che racconta Cameron in merito al progresso tecnologico e al modo in cui egli si approccia al lavoro. Cameron è uno dei maggiori fruitori dello sperimentalismo cinematografico, e per tale ragione attende pazientemente anche un decennio prima di girare nuovamente un film. Questo atteggiamento paziente è d’uopo per consentire un accrescimento. Egli desidera spingere il progresso nei mezzi visivi e speciali al massimo. Seppur predichi calma e timorosa riverenza nei suoi film per ciò che concerne la potenza delle tecnologie future, egli, in verità, è uno dei principali ricercatori nell’avanzamento delle tecniche di ripresa. Cameron vuol sempre scoprire nuovi modi per poter raccontare storie visive.

  • L’acqua come filtro di un nuovo mondo

Cameron nutre un rapporto speciale con il mare, e spesso, per diletto, ne mira le profondità e i segreti inesplorati con il supporto di appositi sommergibili. L’acqua viene riletta da Cameron come una sostanza liquida che fa da filtro al passaggio verso un nuovo mondo, come fosse un portale di esigua consistenza ma dalla forza devastante. In “The Abyss”, Cameron fa del mare il custode di un reame molto particolare, l’etereo regno dove si accresce una vita sconosciuta.

Sul fondale marino, nel buio e nel più riservato dei silenzi, giacciono i relitti che un tempo solcavano le acque in superficie. Laggiù, a quasi quattromila metri di profondità, riposano i resti del suo caro Titanic, in una tomba fatta d’acqua salata e di tenebre. Cameron utilizza il mare e i gelidi marosi dell’Atlantico per filmare la perentoria potenza delle acque, la cui pressione spezzò in due tronconi la nave a cui diede tale vigoria al cinema. Molte sono le sequenze in cui il regista esagita la terrificante potenza delle acque, capaci di sommergere con imparzialità i poveri passeggeri del Titanic: è un turbine di morte che sfocia come funereo fiume. Mare e acqua sono per Cameron, al contempo, mondo diversificato e potenza apocalittica.

  • Personaggi e scenari: un’interazione necessaria

La scenografia per Cameron va oltre lo scorcio, al di là dell’ambientazione e del fondale in cui i personaggi compiono l’azione. Spesso la scena assume un valore espressivo eloquente in un’estetica comunicativa dell’immagine. Basti pensare alla caratura che assume il Titanic stesso, e le cabine riprodotte con gli ornamenti architettonici e stilistici originari che quasi assurgono a una consistenza tangibile oltre le porzioni circoscritte della quarta parete. Cameron fa vivere gli ambienti, li rende suscettibili al senso della vista e ci illude di poterli toccare, come se potessimo davvero lambire e accarezzare le luminescenti e lussureggianti flore di “Avatar”. Cameron cura maniacalmente ogni dettaglio, e nei suoi film i personaggi interagiscono con la scena opportunamente pre-adibita. In “Aliens 2 – Scontro finale” l’arieggiata bellica è resa quasi respirabile nello spazio circoscritto, e la scenografia opprimente schiaccia i protagonisti generando un clima claustrofobico.

La precisione maniacale di Cameron nel ricreare le ambientazioni e le specifiche condizioni di un dato momento è tanto esagerata da portarlo, ad esempio, col supporto di un astrofisico, a tracciare nella volta celeste le precise disposizioni stellari della notte in cui il Titanic incontrò un Iceberg sul proprio cammino. Nulla viene lasciato al caso nella creazione della realtà fittizia di Cameron. Le creature fantastiche concepite in “Avatar”, ad esempio, non sono state semplicemente riprodotte ma furono rese vivide attraverso un’accurata concezione delle movenze e degli atteggiamenti specifici nonché peculiari che ogni razza avrebbe dovuto possedere.

Egli non si limita a filmare l’immaginazione, ma arde dal desiderio di rendere l’unicità della fantasia più reale possibile, non soltanto per i personaggi presenti sullo schermo, ma anche per lo stesso pubblico che può supporre di essere partecipe.

  • Amori eterni

Le coppie romantiche dei film di James sono tutte caratterizzate da un legame forte, concatenato in una rispettiva bramosia. Romanticismo terso e ardente passione vengono incarnati nel corpo e siffatti nello spirito, abbracciando in un equilibrio gli stadi dell’amore spirituale e carnale, in special modo in “Titanic”.  Sia l’uomo che la donna sono attratti da una forma di amore eterno.

Il sentimento che congiunge i protagonisti delle sue opere sboccia spesso in momenti di difficoltà. Kyle viene ricambiato da Sarah in “Terminator” quando i due sono braccati da una macchina portatrice di morte, e consumano il loro amore in una notte soltanto. In egual modo, anche tra Jack e Rose l’amore che nasce e si accresce fino a sfiorare le vette più estreme del sentimento corrisposto, avviene in pochi giorni ed è anch’esso destinato a interrompersi bruscamente. Eppure, Cameron, in tal modo, rende l’amore delle sue coppie durevole proprio nel troncamento di tale relazione. Sarah nel sequel “Terminator – Il giorno del giudizio” dimostra ancora di essere eternamente legata al ricordo di Kyle, e Rose in “Titanic”, con il trasporto emotivo con il quale ha rinarrato i suoi trascorsi, testimonia, senza esitazione alcuna, di non aver mai smesso di amare quel giovane che la salvò sul transatlantico.

Il modo in cui Cameron scrive e inscena l’amore è, a mio dire, più profondo di quanto parrebbe. Si tratta, infatti, di un amore paragonabile alla più intensa delle emozioni, quella che perdura ad albergare nel cuore. Non è un sentimento vincolato alla presenza fisica quanto alla sfera empirea del ricordo. Egli fa di relazioni di breve durata rapporti ben più solidi e duraturi di quelli che contemplano anni e anni di relazione. Perché è nel valore di quei singoli giorni che si può ricercare un qualcosa di così prezioso che può superare addirittura l’intensità di anni. Mediante le protagoniste dei suoi film, audaci e indomabili, le quali avranno in futuro altri rapporti condivisi, Cameron ci aiuta a comprendere l’importanza di andare avanti e come il vero amore possa scalfire nel nostro intimo un’effige inviolabile che aiuterà a sostenere e affrontare gli stadi successivi della vita. L’amore diviene ispirazione, motore palpitante del cuore che pulsa sangue nelle vene.

Un amore, questo, che si configura altresì come motivazione, senso astratto che guida il nostro agire, come fosse un frammento di anima che si unisce a quella di cui già disponiamo, arricchendola e incoraggiandola a vivere. Gli amori delle coppie nel cinema di Cameron sono duri e cristallini come un diamante scintillante, uniti tra loro e inossidabili come catene che garantiscono una libertà comune al posto di una prigionia. Tale amore viene perpetuato attraverso la valenza di un gesto o di un senso, sia esso la carezza di una mano (come avviene tra Jack e Rose in “Titanic”) sia esso il valore di uno sguardo corrisposto (come avviene tra Jake e Neytiri in “Avatar”).

  • Conclusioni

Con gli occhi di James Cameron miriamo un cinema epico, sensibile ma anche spettacolare, che fa dell’emozione una riflessione, dello stupore visivo il punto focale della propria arte. Cameron è un autore che arricchisce senza reinventare, ma è soprattutto un ricercatore sperimentale: le due antitesi da cui scaturiscono la semplicità e la complessità.

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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La storia di “Terminator” comincia la notte del 12 maggio del 1984. Come un’incontrollata scarica elettrica di origine ignota, una sarabanda di luci abbaglia con fulminee intermittenze due zone periferiche di Los Angeles: da questi fasci di luci, due figure dall’aspetto umano giungono dal futuro. Una di esse è un Terminator, modello T-800, un organismo cibernetico d’impareggiabile abilità combattiva. Il Terminator è dotato di innesti di pelle umana, e possiede conseguentemente i connotati fisici di un uomo comune. Ma dietro l’involucro di umana consistenza, il Terminator, in effetti, è una macchina di malvagità, alimentata dalla sola direttiva specifica di “terminare” i propri avversari. Il Terminator ha un endoscheletro metallico invulnerabile ai colpi d’arma da fuoco, e il vero volto del robot ha le sembianze di un teschio d’acciaio su cui risaltano, come fossero rubini incastonati, due folgoranti occhi rossi. Le sembianze umane del Terminator gli permettono di mimetizzarsi con le persone comuni e cominciare la sua missione: scovare e uccidere una giovane donna di nome Sarah Connor.

Nel frattempo, l’altro viaggiatore del tempo, un guerriero umano chiamato Kyle Reese, si mette anch’egli alla disperata ricerca di Sarah mentre apprende che già due donne chiamate col medesimo nome della donna da lui agognata, sono state barbaramente uccise. Il Terminator sta infatti eseguendo una ricerca sistematica suggeritagli da un elenco telefonico. Egli ha infatti rintracciato in ordine alfabetico le residenze delle tre Sarah Connor che vivono a Los Angeles, si è recato nelle loro abitazioni e le ha uccise barbaramente. Kyle possiede una fotografia della giovane Sarah ed è cosciente del fatto che lei è ancora viva, ma sarà solo questione di tempo prima che il Terminator la rintracci.

A tarda notte, Kyle incrocia per strada Sarah e comincia a pedinarla fin quando la donna, notando il fare sospetto del tizio, entra in un locale per trovare riparo a quella che crede essere l’angheria di un maniaco. D’improvviso, il Terminator fa breccia nel locale e inizia a sparare all’impazzata, senza alcuna pietà, nel tentativo di uccidere la donna. Kyle, però, rimasto in continua veglia nei pressi del locale, contrattacca col suo fucile, salvando Sarah e fuggendo via con lei.

Nascostisi in un parcheggio, Kyle confessa a Sarah la verità: egli è un combattente venuto dal futuro per proteggerla dall’assalto del Terminator, anch’esso giunto dal futuro per ucciderla. Kyle spiega inoltre alla donna che quanto prima, una rete di difesa d’intelligenza artificiale nota come  Skynet raggiungerà l'autocoscienza ribellandosi all'umanità e scatenando un olocausto nucleare. John Connor, il futuro figlio di Sarah, raggrupperà i sopravvissuti e li guiderà in una ribellione che assumerà i contorni di una guerra di logoramento e porterà alla dipartita di Skynet. Il Terminator è stato mandato indietro nel tempo per uccidere Sarah prima della nascita di John, come estremo tentativo per evitare la creazione della Resistenza.

Da questo momento comincia una lotta per la sopravvivenza a cui prenderanno parte Kyle e Sarah per sfuggire agli assalti distruttivi del Terminator che non si fermerà davanti a nulla se non prima avrà adempiuto alla propria missione.

James Cameron stese la bozza iniziale del suo progetto “The Terminator” quando viveva in California, a seguito di un incubo. Linda Hamilton venne scelta per interpretare Sarah Connor, Michael Biehn fu chiamato per dare voce e corpo al personaggio di Kyle Reese, e infine, Arnold Schwarzenegger fu scritturato per vestire i panni del Terminator. Il grande successo del film consolidò la carriera dell’attore e fu per lui il grande passo verso il raggiungimento dello status d’icona dei film d’azione. La mimica facciale di Schwarznegger, dalla gamma piuttosto risicata, venne capovolta in un autentico punto di forza e per tale ragione il ruolo del cyborg parve gli fosse stato cucito addosso. La maschera di Schwarznegger fu quella di uno spietato androide, incapace di comunicare alcuna emozione se non la ferma volontà di porre fine alla vita della protagonista.

L’idea di realizzare un film fanta-horror affascinava profondamente Cameron, viste le influenze che il regista John Carpenter col suo remake de “La cosa” ebbe in quegli anni su molti cineasti alle prime armi. Cameron era uno di quelli, un visionario in attesa di plasmare un’idea e renderla visibile. Decise quindi di sperimentare una nuova ricetta, capace d’ingolosire il palato di chi su quella tavola imbandita voleva degustare sapori dal retrogusto variegato e mai assaggiati prima. Mescolò così il genere fantascientifico col thriller di strada, fatto di lunghi inseguimenti e fughe rocambolesche in scorci notturni. Infine, rilasciò nel proprio “calderone” un pizzico di quell’ingrediente segreto carpito dal genere horror. Ma “Terminator” pur senza eccedere in messe in scena orrifiche, predilige il senso d’angoscia al terrore ansiogeno. E’ la paura esagitata dall’istinto di sopravvivenza quella che viene esaminata e vagliata con accuratezza all’interno del film, non lo sgomento di una paura remota e difficilmente comprensibile.

L’aspetto umano del Terminator permette di rapportare questa suddetta paura al nostro più intimo sentimentalismo, perché nell’agire meccanico di questa macchina assassina scorgiamo le fattezze di un uomo. La malvagità del cyborg non permane contenuta nella corazza cibernetica ma tende a manifestarsi anche nell’aspetto esteriore e ciò porta il pubblico a provare timore non soltanto nei riguardi dell’entità robotica, ma paragonando tale entità all’essenza stessa dell’umanità. Con Terminator uomo e macchina vengono posti su due fronti opposti ma al contempo inglobati nell’agire violento del Terminator. Il film spiega come l’aspetto di questo primo T-800 sia stato opportunamente vagliato da Skynet per permettere alle macchine d’infiltrarsi tra gli uomini e ucciderli. Il terrore, così facendo, non è più perfettamente riconoscibile. Per tale ragione la linea di demarcazione che dapprima separava uomini e macchine viene fagocitata. Persino Kyle Reese ammette di non essere riuscito a capire chi fosse il Terminator fin quando non ha tentato di uccidere Sarah. Un costante senso di allerta domina le attenzioni di Kyle quando, scrutando la folla che circonda Sarah, fatica a comprendere chi possa essere il carnefice che l’assalirà.

Oltre questa mia analisi critica, il conflitto che si sviluppa tra Terminator e Kyle erige comunque un duello ben più limpido e cristallino: l’uomo contro la macchina. Tra le periferie di una Los Angeles ottenebrata si consuma un’estenuante corsa per scampare agli attacchi del Terminator. La maggior parte delle riprese sono state girate di notte. Il sole sembra non possa sorgere realmente per non dare la falsa illusione che una luminosa speranza pervada il cielo coi suoi raggi all’alba di un nuovo giorno. Non vi può essere, infatti, speranza alcuna finché il terminator avrà forza di movimento. “Terminator” è un film cupo, nebuloso, in cui l’opprimente immagine di un futuro ancor più buio perdura nell’oscurità di quelle tenebre che avviluppano i protagonisti persino quando si concedono un po’ di riposo.  

Il tema della progressione tecnologica viene perpetuato per la prima volta da Cameron in questo film. Skynet è stato creato dagli uomini, i quali non si sono posti minimamente il problema circa i possibili rischi della costruzione di una macchina dotata d’intelligenza artificiale. La tecnologia senziente che si rivolta all’uomo è uno dei topos narrativi più usati nella fantascienza, ma in “Terminator” assume un valore ancor più inquietante poiché la volontà di annientare viene resa come il principale fulcro vitale degli androidi.

Kyle e Sarah, accomunati da un destino arcano e infinito, trascorrono un’intensa notte d’amore. Dalla loro unione, Sarah resterà incinta di John. Scopriamo così che il destino riesce a farsi strada tra i paradossi del tempo, e che Kyle senza mai venirne davvero a conoscenza è, invero, il padre dell’eroe della ribellione, di quel simbolo di coraggio a cui lui stesso si era ispirato nel futuro da cui proviene.

Lo scontro finale di “Terminator” avviene all’interno di una fabbrica. Il T-800, oramai spogliatosi del suo ingannevole aspetto, e ridotto a muoversi col solo suo supporto scheletrico in metallo, affronta un'ultima volta Kyle, allo stremo delle forze. Kyle riesce a far saltare in aria il cyborg, prima di spirare tra le braccia di Sarah. Ancora una volta però, il Terminator, il cui busto non è stato domato, prosegue inesorabile a strisciare al suolo per afferrare Sarah. Ma la donna lo trascina fino a una pressa idraulica e lascia che il macchinario svolga il suo inconsueto compito: lo distrugge così definitivamente.

Il film si conclude con una ripresa in cui Sarah, incinta, fermatasi nei pressi di una pompa di benzina, memorizza le proprie parole su di un registratore, rivolgendosi al figlio nascituro. Un bambino le scatta una fotografia: sarà la stessa Polaroid che Kyle avrà con sé quando tornerà indietro nel tempo per cercarla. Sarah si avvia in auto verso l’orizzonte, dove si possono intravedere nubi grigie e minacciose. Ancora una volta “l’ambientazione” in “Terminator” sembra anticipare la prosecuzione degli eventi. Se prima le tenebre avvolgevano i nostri protagonisti per mistificare l’opprimente e tetra presenza del “predatore” a caccia delle sue vittime, adesso, quelle nuvole preannunciano la tempesta che si abbatterà sul futuro degli uomini.

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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