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"Flash" - Dipinto di Erminia A. Giordano per CineHunters

Barry Allen è un tipo estremamente sensibile. Non ha molti amici, è da sempre innamorato di una bella ragazza, Iris West, anche se non riesce a dichiararsi. Trascorre le sue frenetiche giornate tra casa e ufficio, esce sporadicamente, per lo più quando deve risolvere qualche situazione intricata e combattere il crimine nei panni di Flash, il suo eroico e scarlatto alter-ego.

Barry è legatissimo ai suoi genitori, o perlomeno all’idea e al ricordo che possiede di essi. La madre è infatti scomparsa da tanti anni e il padre, beh, si trova in un posto in cui Barry può recarsi alquanto raramente.

Come dicevo, Barry è molto sensibile e manifesta quotidianamente questo aspetto del suo carattere, soprattutto sul luogo di lavoro nel quale, neanche a dirlo, è l’ultima ruota del carro e non viene minimamente apprezzato dai superiori per il suo impegno né tantomeno per la sua dedizione. Tutt'altro.  Egli viene criticato aspramente per il suo essere cronicamente in ritardo e deriso ancor di più per la sua lentezza, per il suo dedicarsi con uno scrupolo eccessivo ad analizzare le tracce e le prove dei tanti casi che arrivano sulla sua scrivania e presso il suo laboratorio forense. Barry sa di avere a che fare con la vita delle persone e proprio per questo non prende le cose alla leggera come altri suoi colleghi; in un mondo approssimativo e menefreghista Barry si sente come un pesce fuor d'acqua

Barry ha patito una tragedia personale che lo ha reso, in parte, ciò che è. Sua madre è stata assassinata quando era solamente un bambino e suo padre è stato accusato e condannato per un omicidio che non ha commesso. Egli è conscio dell'innocenza del padre, ed è fermamente convinto che il sistema giudiziario non funzioni a dovere. 

Come ogni eroe che si rispetti Barry spera di poter cambiare le cose, di modificarle per renderle migliori. Un giorno Barry scopre che i poteri di cui dispone gli permettono di viaggiare attraverso le epoche. Il guardiano di Central City intuisce così di avere la facoltà di mutare realmente il passato e di poter salvare colei che ama più di ogni altra cosa: la sua mamma. Dunque Barry inizia a correre, come mai aveva fatto fino ad allora. Attorno a lui, oltre la “bolla” che cintura la sua cavalcata, l’eroe vede tutta una sequela di immagini, di reminiscenze, schegge screziate, scaglie poco nitide della sua vita trascorsa. Si tuffa a capofitto in una di esse e torna indietro nel tempo, impedendo la morte di sua madre. Poco dopo, Barry riprende il suo incedere superveloce per fare ritorno al futuro, ma, senza alcun preavviso, viene attaccato da un altro velocista che lo scaraventa in una linea temporale alternativa. In questa nuova time-line Barry incontra un altro sé stesso, giovane e scanzonato.

Il viaggio dell’eroe è appena cominciato.

Il film "The Flash" è interamente strutturato sul valore e sul significato di un viaggio unico e irripetibile. Il percorso di questo velocista che galoppa a ritroso nel tempo per cambiare lo svolgersi degli eventi e dunque evitare la tragedia personale si trasforma in una peripezia catartica, in un'odissea purificatrice necessaria per attenuare la sofferenza che pulsa nel suo animo ed accettare ciò che è stato e che non può essere alterato. I poteri di Flash gli permettono di guarire rapidamente dalle ferite del corpo, ma non possono nulla per quelle del cuore. Ecco che la corsa di Flash, a zonzo fra le “ere” del suo avvenuto, si configura come una peregrinazione che conduce verso l'elaborazione del lutto

Nel suo itinerario incerto, caotico e incalzante, Barry incontra un Bruce Wayne anziano, stanco e solo. Il giovane e il vecchio, entrambi segnati da una perdita in tenera età, hanno modo di relazionarsi, di confrontare il rispettivo vissuto. Bruce porta ancora i segni del suo tormento, essi lo hanno marchiato nel profondo, come una cicatrice celata sottopelle. Per gran parte della sua vita, Bruce ha protetto la città di Gotham portando sul petto il simbolo del pipistrello. Fu per lui un modo per affrontare il dolore, per seppellirlo, per nasconderlo sotto lo strato di una maschera scura.

Col passare degli anni, Bruce sembra aver fatto pace con i suoi rimpianti, con le sue angosce e i suoi rammarichi, riconoscendo che essi lo hanno reso Batman. Senza la perdita dei suoi genitori, senza quel cordoglio subito, Bruce non saprebbe dire chi è in realtà.

Per Barry, invece, la ferita che gli è stata inferta dalla perdita della madre gronda ancora sangue e solo al raggiungimento della meta, al culmine del viaggio essa si cicatrizzerà del tutto. 

L’anziano Bruce, tuttavia, appare rassegnato, logorato, sfibrato da un’esistenza di solitudine. Gotham City è ormai una città sicura e lui non ha più alcun incentivo per rimettere l’armatura, per sentirsi nuovamente vivo. 

Il carattere di Barry, la sua intraprendenza, il suo ardore, la sua voglia di battersi per un mondo che ama e che vuole salvare - il mondo in cui egli ha ritrovato la madre - contagiano quel Bruce demotivato, misantropico, che non possiede più alcun impeto, alcuna ragione per battersi. Bruce torna così ad indossare il suo costume, torna a lottare per merito di Barry, il quale restituisce al Crociato Incappucciato l’energia per esporsi fino a morire per un bene superiore. 

Il Batman di Michael Keaton così come appare in Batman - Il ritorno - Dipinto di Erminia A. Giordano per CineHunters. Potete leggere di più su "Batman Returns" cliccando qui.

In questo sentiero tortuoso che Barry intraprende fa la sua comparsa un altro personaggio, Kara, una fanciulla anch'essa rimasta sola, anch'essa abbandonata. Barry la vede e prova per lei un'immediata compassione. Kara è deperita, scheletrica, sembra del tutto priva di forze, è scavata in viso, smunta, come se la sua pelle non avesse mai ricevuto il caldo bacio del sole. Pur non conoscendola, Flash decide senza esitazioni di raccoglierla tra le braccia e di trarla in salvo. Ecco che la sensibilità di Barry affiora in tutta la sua grandezza. L'eroe di Central City non passa oltre, non va avanti per la sua strada, non ignora una sconosciuta bisognosa di aiuto, la porta con sé restituendole la libertà. È questo modo di comportarsi che rende Barry Allen un uomo diverso dagli altri, un uomo buono, un puro di cuore. Barry è dotato di un'estrema velocità che però non gli impedisce di arrestarsi, di indugiare, di soffermarsi per scorgere i bisognosi, per prestare soccorso ai più deboli, per notare coloro che sussurrano richieste di aiuto sommessamente.

Una volta esposta ai raggi solari, Kara rivelerà di essere Supergirl, l’unica sopravvissuta, insieme al cugino Kal-El, alla distruzione del pianeta Krypton.

Quando avrà la sua occasione, Supergirl ricambierà il favore ricevuto dal Velocista Scarlatto, accoglierà a sé il corpo stremato di Barry per condurlo fino alla volta celeste, oltre le nuvole, verso quel fulmine che gli restituirà i poteri.

Supergirl ritrova la propria vigoria in una giornata luminosa, venendo lambita dai bagliori del sole, Barry, invece, in una notte buia e tempestosa, venendo raggiunto da una saetta che scintilla nell’oscurità. Barry e Kara, due estranei, un terreste e una kryptoniana, si aiutano a vicenda, si sostengono, avvicinando i loro mondi, in un sottile e bellissimo messaggio che rimarca come il fare del bene generi sempre altro bene. 

"The Flash" ha avuto una genesi travagliata, una lavorazione che definire turbolenta sa d’eufemismo. La sceneggiatura è andata incontro a molteplici riscritture, rimaneggiamenti dell’ultimo minuto che hanno prodotto brutte conseguenze. Di fatto alcune cose nella storia non tornano: ad esempio perché Barry non cerca di scoprire chi è l’assassino di sua madre?

La pellicola stessa, a causa di problematiche esterne, ha rischiato di non vedere mai la luce. Il lungometraggio ha risentito di tutte queste difficoltà nonché di una post-produzione che è stata interrotta bruscamente prima che venisse revisionata e sistemata a dovere tutta la CGI, di conseguenza esso alterna parti visivamente bellissime ad altre con effetti posticci; eppure, nonostante la mole di tali difetti, è risultata ai miei occhi un’opera entusiasmante, con un’anima e un cuore che batte all’impazzata, farcita di sentimenti vividi, ben delineati, che mi hanno raggiunto fino in fondo.

Michael Keaton catalizza l’attenzione degli spettatori col suo Batman navigato, e le sue scene di lotta sono una goduria visiva. Sasha Calle si distingue come una Supergirl efficace, caratterialmente intrepida, furiosa, indomita, generosa ed esteticamente attraente, formosa, dal fascino talmente prorompente da riempire lo schermo. Kara porta con fierezza l’emblema della casa degli El e rammenta con malinconia il suo pianeta natale e la bontà del suo popolo che viveva di speranza. Ella decide di fronteggiare gli invasori kryptoniani guidati dal Generale Zod perché essi rappresentano un’anomalia del suo mondo, essendo fautori di guerra, portatori di annientamento, di paura, di sconforto e disperazione, tutto ciò che è opposto alla speranza.

Ma l’essenza di “The Flash” è da ricercarsi nel suo attore principale, il controverso Ezra Miller, che offre una performance notevole in un doppio ruolo così ben recitato da indurre l’impressione che i due Barry Allen, il più spensierato e giocherellone e il più maturo e temprato, siano interpretati da due attori diversi. Miller riesce a trasmettere dozzine di emozioni e di stati d’animo contrastanti: gioia, rabbia, tristezza, inquietudine, timidezza, paura, acquiescenza, afflizione, impavidità. Veramente stupefacente. Le scene che coinvolgono Miller e Maribel Verdú, l’interprete di Nora Allen, sono incredibilmente autentiche, paiono avvolte da un’aura struggente, da un’atmosfera dolcissima, mesta, che travalica la cornice circoscritta della cinepresa.

Il regista Andy Muschietti pone sotto la lente di un microscopio il carattere, lo spirito, la sfera emotiva che alberga nell’intimità del protagonista, indagandola, scandagliandola, portandola a galla in tutta la sua commovente vulnerabilità. Barry Allen è un ragazzo a cui è stata strappata l’infanzia, l’innocenza, e che cerca di rendere tangibile un sogno; Barry si illude di poter riottenere una vita che non ha mai avuto, per poi arrendersi. Ed è in questa resa che egli diviene un uomo, un vero eroe.

Nei giorni in cui si confronta con il suo doppione - quel Barry immaturo, spontaneo, sereno – il personaggio cardine del film prova una serie di sensazioni contrastanti: da un lato sembra ammirare quella versione di sé cresciuta nell’affetto, nella vicinanza, nell’amore di una madre che lui ha smarrito troppo presto, dall’altro lato pare invidiarla, biasimarla tanto da infuriarsi per quella leggerezza che percepisce e che lo irrita; Barry non ha più provato quella stessa tranquillità, quella medesima felicità che evince nel suo doppelganger, gli è stata negata e crede che essa venga data per scontata dalla sua controparte.

Rapportandosi con quell’adolescente è come se Barry vedesse un riflesso allo specchio di sé che non riesce a discernere completamente; egli mira una versione di come sarebbe potuto essere, di come avrebbe potuto sentirsi, di come avrebbe potuto vivere se non avesse passato qualcosa di tanto brutto. Il legame che si crea con quel Barry ancora fanciullo permette a Flash di maturare, di progredire, di capire quello che è giusto fare: lasciarsi il passato alle spalle e, con le lacrime agli occhi, correre verso un domani che potrà portare con sé nuovi sorrisi.

La fragilità di questo Flash costituisce l’elemento più interessante dell’affresco supereroico di Muschietti. Barry è un personaggio verso cui si prova dispiacere, comprensione, pietà, e infine una nota di sincera ammirazione.

The Flash” è una pellicola talvolta ispirata e adrenalinica, talvolta goffa e disordinata, ma sempre permeata da un alone di sentimenti genuini. “The Flash” mi ha riportato alla mente il motivo per cui leggevo i fumetti da bambino e perché ho continuato a collezionarli, crescendo. Questo adattamento cinematografico, infatti, come quegli albi che escono a cadenza mensile è colorato, fantasioso, “matto”, ironico e toccante, ha un’estetica a tratti sbalorditiva a tratti marcatamente imperfetta esattamente come quei fumetti che hanno tavole tratteggiate con minuziosità e altri segmenti disegnati in maniera sbrigativa e dozzinale per poter rispettare le scadenze editoriali.

In “The Flash” tutto è possibile e tutto può accadere, è la magia dei comics presa a piene mani e trasposta al cinema in tutta la sua meraviglia e assurdità. Penso, a tal proposito, alla sequenza del salvataggio dei bambini, esagerata, improbabilissima, folle, montata con una tale stravaganza da avermi fatto esclamare un divertito “Ma cosa?”, e penso, altresì, al momento in cui Flash corre sull’asfalto, colmo di rabbia, di tristezza, accelera per poi superare la velocità della luce e, circondato da un globo protettivo, viene accerchiato dai grovigli del passato che collassano tra loro come figure sfocate, distorte, un’eco di ciò che sono state, consumandosi, disfacendosi in polvere e finendo nella sabbia del tempo che egli calca con i suoi passi come se si trovasse nel bulbo di vetro di una clessidra; una situazione che mi ha fatto urlare un sonoro “WOW”.

“The Flash” è un film che è stato in grado di emozionarmi, di farmi sorridere, perfino di farmi spuntare una lacrima, in special modo nel finale, in quella scena meravigliosa in cui Barry riceve l'ultimo abbraccio dalla sua mamma, prima di lasciarla andare verso una fine che neppure un supereroe come lui può evitare.

Superman, devastato dalla morte di Lois Lane, viaggia indietro nel tempo. Potete leggere di più sul film cliccando qui.

Tutti quei poteri… E non sono riuscito a salvarla” recitava, vinto dallo sconforto, Superman mentre reggeva il corpo senza vita della sua amata Lois Lane nell’indimenticabile film del 1978.

Clark non resisterà a quella sofferenza, non riuscirà a sopportarla. Il dio si “macchierà” del peccato dell’uomo, l’egoismo dettato dall’amore. Superman emetterà un grido spaventoso, volerà alto nel cielo e interromperà il movimento della Terra, mandando indietro le lancette dell’orologio che regolano il susseguirsi del tempo per salvare la donna che ama con tutto sé stesso. La voce del padre di Superman, Jor-El, echeggiando dall’ignoto, ammonirà il figlio: “Ti è proibito interferire col destino degli uomini…” ma l’ultimo discendente di Krypton non darà ascolto, agirà istintivamente, come un terrestre mosso da sentimenti spiccatamente umani.

Anche Flash, sul finire delle vicende, rincontrando sua madre, avrà forse pensato ad una frase molto simile a quella che Christopher Reeve pronunciò tanti anni fa: tutti quei poteri, la velocità, la possibilità di oltrepassare la materia, di valicare i limiti delle epoche, dei secoli, dei decenni, e non poter far nulla per proteggere l’unica persona che vorrebbe mantenere in vita.

Flash ha varcato i confini del tempo ma ha solamente peggiorato le cose. La morte di Nora è una intersezione ineluttabile che una volta manipolata innesca una catastrofe. Flash non può fare ciò che era riuscito al Superman di Reeve. Nel suo mondo, Barry deve smettere di fronteggiare, di respingere, di contrastare un destino già scritto. L’eroe deve assecondare il suo passato per tornare al suo presente. Barry comprende pertanto che l’unico avversario da sconfiggere è lui stesso, il supplizio che lo attanaglia. Non è un caso, infatti, che il vero nemico di Flash in questa disavventura non sia il Generale Zod, una minaccia causata da un paradosso temporale, bensì proprio una versione dello stesso protagonista alternativa, oscura, diabolica, consumata da anni e anni di prove, di tentativi, di sforzi per cercare di manomettere l’ordine delle cose, il corretto fluire degli accadimenti. Il Dark Flash ha il corpo fuso nella “pietra”, nelle miriadi di scaglie kryptoniane che lo hanno trafitto battaglia dopo battaglia, senza mai ucciderlo, senza mai bloccare il suo moto. Questo velocista è un macabro ritratto di un eroe trasformatosi in un antagonista, un uomo consumato dalla sua ossessione autodistruttiva, deformato da una lunga serie di disfatte in un conflitto con il destino sul quale non potrà mai imporsi.

Il vero Barry, infine, ammette la sconfitta inflittagli dal caso, dalla fatalità, dalla sorte ingiusta, crudele, e pone fine alla sua corsa riprendendo fiato e provando un’ultima nota di sollievo fra le braccia di sua madre, osservata, ascoltata, sfiorata per un ultimo giorno. In tale frangente Barry compie forse un gesto ancor più valoroso, arduo, di quello portato a termine dall’Uomo d’Acciaio nel ‘78: sceglie volutamente di non salvare la donna che ama. Per il bene degli altri, le bisbiglia un addio mascherato con un “ciao” e scompare nel nulla. Quanto coraggio ci vuole a lasciare andare?

Flash effettua uno dei più grandi atti eroici non salvando una vita, la più cara per lui. Un che di incredibilmente drammatico.

Nora Allen avvicina così la mano alla gota di Barry, che sfrutta i suoi poteri per rallentare lo scorrere dei secondi e aumentare la durata di quel bellissimo intervallo, in cui non esiste null’altro che l’affetto tra un figlio e sua madre.

Il dolore dell'addio, dell’inevitabile distacco tra Barry e Nora viene attenuato da una carezza confortevole, che dura un istante soltanto, un singolo lampo che Flash, grazie ai suoi poteri, può assaporare più a lungo di un comune mortale, trattenendosi in quel flebile momento che sembra fermarsi e protrarsi in eterno ma che, purtroppo, svanisce come tutte le cose che il tempo, inesorabile, trascina via.  Eppure, quella frazione di secondo è rimasta incastonata nel ricordo, nelle memorie del protagonista, come un istante che si replica all’infinito.

Nel lungometraggio "Capitan Harlock", adattamento dell'omonimo manga e anime, il pirata dello spazio pronuncia una frase che recita: "Un istante ripetuto nel tempo diventa eterno..." 

Barry sa che da qualche parte, fra i fitti e intersecanti nodi del tempo, sua madre sarà sempre viva.

In quella sequenza commovente, in quell’attimo in cui Barry ha avvicinato il suo volto alla mano della mamma, egli ha vissuto un istante ripetuto nel tempo, che è divenuto concretamente eterno nel suo cuore. Laggiù quella carezza vivrà per sempre, come un frammento immortale o delle frasi soavi ripetute all’unisono per tutti i secoli e secoli a venire: 

- Ti voglio bene.

- Ti voglio bene anch'io. 

- Io te ne voglio di più.

- Io ho cominciato prima... 

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

Potete leggere di più su Capitan Harlock cliccando nei seguenti link:

Capitan Harlock – Ai confini delle stelle

CAPITAN HARLOCK – L’uomo nell’anime, la leggenda nel cinema

Per quanto concerne l'universo del Batman di Tim Burton potrebbe interessarvi la lettura "L'arte come ritratto della follia - Il Joker di Jack Nicholson.

Infine, potete approfondire ancora di più il personaggio di Flash in questo articolo: Mitologia Greca e Supereroi – Flash, l’Ermes scarlatto

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Infine, si è arrivati a mettere in discussione anche Fiorello.

Permaloso” – ha scritto qualcuno.

Pesante” – ha tuonato qualcun altro.

Che primadonna” – hanno sibilato gli indignati.

Fiorello ci è rimasto male. E’ amareggiato, ferito, un pizzico turbato come accadrebbe ad ogni artista su cui è stato riversato un odio inaspettato e quanto mai ingiustificato.

Tutto ha avuto inizio qualche giorno fa. Il “turbolente” antefatto è notorio, ma credo sia doveroso riepilogarlo brevemente. Durante la seconda serata del Festival di Sanremo, Tiziano Ferro è costretto a esibirsi all’una di notte. Il cantante, decisamente infastidito, porta la faccenda all’attenzione di Amadeus. Ferro borbotta quanto segue: “Ama, è l’una, vogliamo fa' qualcosa domani? Hashtag: fiorellostattezitto”. In platea, tutti ridono. Nessuno dei presenti può ancora immaginare i “nefasti” effetti di questo scambio scherzoso.

Tiziano Ferro lascia, ironicamente, intendere che la colpa del “grave” ritardo sulla tabella di marcia e il conseguente slittamento a serata inoltrata della sua esibizione siano da attribuire a Fiorello, ai suoi corposi interventi, i quali, il giorno dopo, verranno definiti da taluni “lunghi sproloqui”.

Basta tornare a rivedere la scena incriminata per accorgersi subito che Tiziano Ferro non ha grosse colpe. Il suo tono è disteso, tranquillo, chiaro, e non lascia spazio ad alcun fraintendimento: egli voleva solamente scherzare, sfogare la tipica frustrazione di chi attende tanto in camerino prima d’essere catapultato sul palcoscenico. Tuttavia, Ferro non sa di aver innescato una scintilla, di aver acceso una miccia esplosiva. Poche ore più tardi, accade qualcosa di inaspettato: il popolo che traffica su internet agguanta l’hashtag, lo fa suo, lo modella alle proprie necessità per poter esprimere un viscerale dissenso, per sfogare una rabbia incontrollabile. Fiorello diviene, così, il bersaglio di una miriade di commenti negativi. Certuni lo bollano come insopportabile, altri come una figura onnipresente ed invasiva, altri ancora scrivono che non fa più ridere da tempo, e che nessuno ha il coraggio di dirglielo.

Su Twitter, molti utenti cinguettano a più riprese contro il bravo showman. In tanti invadono la piattaforma, portando alla ribalta proprio quell’hashtag lanciato, incautamente, da Ferro sul palco più prestigioso d’Italia. L’indomani trasborda la questione al di fuori dei confini di Twitter: Fiorello è in tendenza, tutti ne parlano… male!

Logorroico, noioso, sciocco, pedante – questa è solo una parte degli innumerevoli commenti che è possibile leggere. Centinaia e centinaia di frasi rimbalzano da una parte all’altra, venendo scritte e ritwittate a più riprese dai soliti che, per l’eccessiva fretta di rigurgitare la propria opinione via social, non si curano di ponderare, di pazientare, di dosare il pensiero, le parole che scelgono di utilizzare nei riguardi di un personaggio sulla cresta dell’onda.

Tiziano Ferro non ci aveva pensato, forse non poteva supporre ciò che sarebbe avvenuto. Proferendo quella semplice “battuta”, generando quell’hashtag, egli ha inavvertitamente chiamato a raccolta i suoi fan, che si sono mobilitati in schiere minacciose e aggressive.  E’ questo il potere, o per meglio dire il pericolo celato, insito, nei mezzi di comunicazione contemporanei.

Basta un nulla, un appello sbagliato, una parola fuori luogo, una “proposizione” pronunciata senza la giusta attenzione, a scatenare il gregge. L’hashtag è un artificio potentissimo, esso crea un flusso comunicativo che accoglie il parere di chi vuole esprimersi su di una specifica tematica. Nel caso in cui l’hashtag vuol simboleggiare una presa di posizione, un attacco verbalmente violento verso un individuo, esso si tramuta in un’arma che accumula dardi appuntiti, frecce infuocate che vengono scagliate contro il soggetto posto al centro di quel “discorso”, di quell’hashtag, per l’appunto.

Fiorello, proprio per colpa di un banalissimo hashtag, è divenuto un bersaglio su cui molti si sono sentiti in diritto di sentenziare, di sparare a zero. Perché è anche questa l’efficacia, il potere emanato da ogni hashtag: dare la possibilità a chiunque, persino a chi non è minimamente interessato, di partecipare, di unirsi al movimento, alla rivolta, anche per pure velleità, tanto per farne parte.

Ma la colpa non è certo di Tiziano Ferro. La colpa è di chi usa il web come una valvola di sfogo, uno strumento per dibattere sui difetti fisici, sugli errori, sulle gaffe naturali di chi appare sul piccolo e grande schermo. Sui social e, purtroppo, anche negli infimi quotidiani italiani, si ha, ormai, la fretta di imprimere le proprie parole scevre da alcun ragionamento, da alcuna riflessione lucida.

Le suddette parole, pertanto, non vengono mai dosate, divengono un fiume in piena attraverso cui esternare il proprio astio, la propria sprezzante critica senza il dovuto rispetto, senza badare se ciò che si scrive può ferire il diretto interessato. In fin dei conti, l’autore, sui social, è ben nascosto dietro un cellulare, usufruisce di una banale tastiera e può dire quello che desidera senza conseguenze, senza rischio e alcun rimorso.

Probabilmente, se non ci fosse stato il web, tra Fiorello e Tiziano Ferro non sarebbe accaduto nulla, anzi, il tutto si sarebbe risolto immediatamente con qualche abbraccio e qualche sorriso. I due avrebbero scherzato dal vivo, faccia a faccia, si sarebbero congedati cantando in duetto qualche brano famoso, cosa che, con ogni probabilità, faranno davvero. Magari, per stemperare gli animi, diranno che è stato tutto un buffo scherzo, una lezione da cui imparare sul tema del cyberbullismo.

Che questa vicenda sia del tutto veritiera o no, ciò che è fuor di dubbio è che, per “colpa” di internet, Fiorello si è sentito realmente esposto, vulnerabile, scalfibile da chi ha addirittura paragonato la sua immagine a quella di un comico finito, lui che è sempre stato un mattatore del palcoscenico.

In questo specifico caso, quando gli utenti usano brutti “aggettivi”, definizioni svilenti, insulti aspri e cattivi, si ricordano di chi stanno parlando? Chi è Fiorello?

Un artista completo! Non esistono altre parole più pertinenti per poterlo definire. Presentatore, comico per antonomasia, imitatore, cantante, doppiatore: Fiorello è, dagli anni ’90, lo showman d’eccellenza del panorama italiano. Ma ciò, per i più, non basta, non lo rende esente dalle critiche mortificanti che possono piovere d’improvviso, giungere come un torrente pronto a esondare. Secondo le fredde e distaccate opinioni del web, Fiorello è stato ridotto a macchietta, a spalla scontata del presentatore, ad amico deleterio che rischia di rubare la scena e infastidire. Coloro che criticano così crudelmente l’artista catanese saranno gli stessi che sminuiscono la figura di Roberto Benigni, un vanto della nostra Italia, un premio Oscar, un uomo di sconfinata cultura e talento, anch’egli, oramai, descritto come un monologhista inutile, barboso, persino scocciante.  

Un’opinionista molto famosa che non appartiene soltanto alla realtà del web, ma che, per mestiere, passa il tempo a osservare ciò che fanno gli altri, gli artisti veri, per poterli tacciare, per poterli valutare negativamente, per poterli distruggere con insensibilità, quest’oggi, ha mosso una critica forte a Fiorello, illustrandolo come un uomo che soffre patologicamente del timore di non piacere a tutti, di “floppare”, di fallire. L’articolista strutturava tutto il suo pezzo rimpicciolendo la figura del comico/imitatore, che, a suo dire, non si è mai reinventato negli ultimi trent’anni, peccando di indecisione e di incapacità di reagire alle contestazioni.

Che Fiorello abbia diradato le proprie apparizioni in televisione in tutti questi anni per problemi di ansia e di insicurezza è storia nota.  Lo ha ammesso, spontaneamente, lui stesso. Ma l’umana paura di sbagliare, di non essere all’altezza, non dovrebbe essere una fonte di polemica, quanto di apprezzamento. Fiorello, nonostante l’ansia da prestazione che, a suo dire, lo tortura ad ogni nuovo progetto, ha sempre dimostrato di possedere uno stile unico, di essere un intrattenitore senza eguali, abilissimo nel dominare la scena.

Se persino Fiorello deve essere contestato, ridotto a cabarettista qualunque, vuol dire che, veramente, certi artisti in questo paese non ce li meritiamo.

Nel film di Don Bluth "Anastasia", Fiorello prestò la voce a Dimitri

Ed è fin qui che si spinge la mia conclusione. Non è un problema limitato al web, è un problema più profondo: le persone, e con persone faccio riferimento alla massa, amano osteggiare, offendere, insultare ancor più che apprezzare, che siano i tizi che brandiscono un cellulare e twittano la loro gratuita antipatia, che siano gli opinionisti più scaltri che hanno libero accesso ad un giornale e un account con migliaia di follower da poter influenzare.

La critica severa, opportunista, è un qualcosa che a me non è mai piaciuto.

Nel mio piccolo, quando parlo di cinema, voglio sempre argomentare su un’opera che mi ha incantato per poterne esaltare i pregi e portare avanti le riflessioni che ha suscitato nel mio cuore e nella mia mente. Non mi ha mai divertito discutere e criticare qualcosa che non mi ha colpito nel profondo, a meno che non sia costretto a farlo. Nel giornalismo di oggi, è sempre più raro il commento obiettivo, pacato e elegante, ed è sempre più predominante, invece, la prosa acida, colma di livore: un tipo di giornalismo, quest’ultimo, derivato dalla comunicazione insensibile presente sul web

A Fiorello, personalmente, voglio un gran bene, come se fosse un mio vecchio amico. A lui è legato uno dei ricordi più cari della mia infanzia. Negli anni ’90, ero soltanto un bambino e Fiorello cantava i versi di una delle poesie più belle di Giosuè Carducci, "San Martino", ribattezzata “La nebbia agli irti colli”, poco prima dell’inizio di Flash, su Italia1. Era tutto registrato su di una vecchia videocassetta. Ogniqualvolta la inserivo nel videoregistratore, il nastro riproduceva una puntata del karaoke di Fiorello, che andava in onda poco prima dell’episodio dedicato al velocista scarlatto. Non mandavo mai avanti. Prima di sfrecciare per le strade con Barry Allen, mi piaceva moltissimo canticchiare in compagnia di Fiorello.

A distanza di tanti anni, possiedo ancora quella fantastica videocassetta su cui vi erano registrate pubblicità storiche, di un periodo indimenticabile. Quella VHS era, anzi è tuttora, una finestra spalancata su di un “passato” che sembra essere profondamente lontano, drammaticamente diverso dal nostro presente, il quale appare meno spensierato, più arduo e intollerante.

In queste ultime ore, sembra che nessuno rammenti il talento di Fiorello. Il pubblico snobba la sua presenza, la minimizza, vuol persino evitarla. Stando al rumore, al verbo graffiante del popolo, Fiorello non piace più. Un artista che per svariati decenni è stato in grado di stregare qualunque teatro, un comico che è stato sempre capace di catturare l’attenzione di una sala intera, non è abbastanza. E’ diventato bersaglio di una facile critica, di un attacco “sanguinoso”, vigliacco.

La voce di Dimitri, la voce di “E poi finalmente tu”, l’imitatore simbolo della radio, il re dei sabati sera in cui decideva, generosamente, di pagare lui, non è più importante come una volta.

Che brutti tempi!

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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Qualche giorno fa, sui social network, campeggiava uno scatto fotografico raffigurante un supereroe giunto dal passato. La sua immagine era concreta al senso della vista eppure, in primo acchito, inspiegabile razionalmente. Come poteva essere riapparso così improvvisamente, con l’istantaneità di un lampo, quell’eroe del vecchio millennio?

Flash, e con tale appellativo faccio riferimento all’originale, è tornato! John Wesley Shipp è stato “catturato” in un fotogramma digitale con indosso il suo “autentico” costume d’epoca. La tuta rossa è nuova di zecca, rammendata come quella di un tempo, pronta per essere riutilizzata. Su quel set televisivo in cui prende forma l’episodio crossover che coinvolge i tre show principali del canale “The CW”, ovvero “The Flash", “Arrow” e “Supergirl”, sta avvenendo un viaggio nel tempo, fluttuante tra passato e presente. Lo storico interprete del personaggio DC Comics è riapparso per prestare i propri servigi al ruolo che lo ha reso celebre, e per salvare il mondo con l’indimenticato stile degli anni ’90 al suo seguito.

John Wesley Shipp è un “eroe” di stampo classico. Sì, ne sono ampiamente consapevole. Anzitutto egli è un attore e come tale riveste un ruolo, ma i suddetti panni, quelli del supereroe, gli calzano a pennello, come un abito di taglio sartoriale cucito su misura. Ciononostante, la sua carriera cominciò con parti del tutto diverse, per le quali dovette vestire variegati costumi di scena. Dal 1980 al 1984 fa sue le vesti del dottor Kelly Nelson in “Sentieri”, e tra il 1986 e il 1987 porta a casa due Emmy Award consecutivi per “Così gira il mondo” e “Santa Barbara”.

Per tutti gli anni ’90 e il primo decennio degli anni Duemila, Shipp “adatta” a sé le “divise” più disparate: è un pugile in “Sisters”, un sergente maggiore di artiglieria in “Jag”, e ancora un Colonnello, persino un allenatore di football. Shipp è un attore che si alterna costantemente tra piccolo schermo e teatro. Proprio per quest’ultimo, calca il palcoscenico numerose volte, in particolare per le opere “The Killing of Michael” di Erik Jendresen, “Malloy”, sino ad approdare a Broadway, nel pluripremiato “Dancing at Lughnasa” del drammaturgo irlandese Brian Friel.

Il 1990 è l’anno del suo debutto cinematografico, nel seguito del cult “La storia infinita”, dove interpreta il papà del protagonista Bastian (Jonathan Brandis). Tale ruolo, quello del padre inteso come guida, visto come figura protettrice, dagli occhi di un figlio, e reinterpretato metaforicamente come porto sicuro in cui poter attraccare, dopo essere scampato alle acque tempestose del mare aperto, e sentirsi stretti in un abbraccio, sarà una “tenuta” che l’attore statunitense non si toglierà mai di dosso. Di fatto, dal 1998 al 2002, si “agghinda” ancora per essere il padre del personaggio principale nel teen-drama di culto “Dawson’s creek”.

Potete leggere il nostro articolo "Dal passato piovono folgori e saette - Flash, la serie classica" cliccando qui.

 

I registi e i produttori ne sono consapevoli, Shipp ha la caratura del mentore, del maestro, ma, ancor di più, possiede la levatura dell’eroe. Tante sono state le maschere portate da questo interprete, ma una su tutte, quella rossa come il sangue, resta la più amata.

Sul set de “La storia infinita 2”, egli divide la scena con il compianto interprete Jonathan Brandis. I due attori lavorarono insieme anche in “Flash”, nella puntata “Child's Play”. Proprio per l’omonima serie televisiva della CBS, John fu Barry Allen, un poliziotto della scientifica che, dopo essere stato colpito da un fulmine, diventa il supereroe mascherato Flash, alla sua prima incarnazione televisiva.

Influenzato dal Batman di Tim Burton e Michael Keaton, Shipp interpreta un Flash grintoso, maturo, tenebroso, alimentato inizialmente da un desiderio di vendetta ma anche animato da un senso assoluto di giustizia. E’ un eroe rabbioso, il suo, nei riguardi dei biechi delinquenti della città di Central City, scattante, a tratti furioso, ma incredibilmente umano e prodigo. Quello di John resta un “corridore” solitario, che compie le sue sgroppate di notte, in una metropoli buia, che pullula di delinquenza, in cui il tempo oscilla tra il presente ed il trascorso. Poche sono le luci che illuminano il cammino e la corsa di questo vigilante, se non i murales variopinti che sovrastano le alte mura cittadine. Egli è un personaggio per lo più solo, coadiuvato solamente da una compagna, la dottoressa Christina Mcgee (Amanda Pays), un’amica destinata ad essere la sua futura sposa.

John Wesley Shipp e Amanda Pays sul set di "Flash"

 

Il Flash di Shipp, pur differenziandosi per diversi aspetti dalla controparte cartacea, è una trasposizione reale, oscura, forte e giustiziera. Shipp calzò, con egual abilità, il camice bianco del più sciolto Barry e il costume scarlatto della sua collerica seconda identità, offrendoci un’interpretazione apprezzabile, sincera, ed ispiratrice. John Wesley Shipp divenne un eroe tradizionale, dallo stile “antico”. Il suo fu un Flash adulto, un combattente audace, un velocista inarrestabile, imponente, massiccio, dal mento spiovente, ironico ma arrabbiato, emotivo, generoso e dal sangue freddo quando la situazione era solita richiederlo.

"Flash" - Dipinto di Erminia A. Giordano per CineHunters

 

Il Flash di una volta, per scelta stilistica degli sceneggiatori, era avvolto da un’immateriale aura di misticismo. Nel corso della serie, il suo “apparire” e “svanire” con rapidità fece alimentare le voci circa la sua reale esistenza. L’eroe di Shipp agiva nell’ombra, in bilico tra visibilità e invisibilità. Per gli onesti era un semidio protettore, un “Ermes” disceso dall’Olimpo; invece, taluni banditi erano soliti descriverlo come un demone appena percettibile, altri come un fantasma rosso, alcuni addirittura come un diavolo vendicatore. La patina di mistero che ammantava il supereroe gli permetteva di terrorizzare anzitempo i suoi avversari, sin dal momento in cui intravedevano quella scia rossa portatrice di giustizia. Il “Santero”, lo “stregone” di un quartiere dei profughi latino-americani di Central City presente in un episodio, descrisse il vigilatore come l’umanizzazione di Shango, la divinità del culto yoruba associata al tuono, che castiga i mentitori ed i malfattori. Invero, come terrà a precisare lo stesso Barry, Flash è un uomo mortale, con dei poteri speciali messi al servizio del bene comune. Nel ritratto del valoroso combattente compiuto da John Wesley Shipp, verità e suggestione combaciano perfettamente.

La sua “calzamaglia”, fatta di un rosso acceso tendente al bordeaux, quasi amaranto, il suo fulmine dorato, che scorreva su una luna piena, targato sul petto come simbolo del suo potere, la saetta che gli ornava le braccia e proseguiva sulla cintura, dando l’impressione della scarica di una folgore in perpetuo divenire, è un qualcosa di iconico, evocativo, onnipresente. John, per impatto visivo, fu, ai suoi tempi, ma anche in questa modernità, un Flash perfetto.

John Wesley Shipp riprese ad approcciarsi all’universo del prode corridore nel 2010, prestando la voce al professor Zoom in “Batman: the Brave and the Bold”. Nel 2014, venne chiamato dai produttori della nuova serie dedicata al “piè veloce” degli albi a fumetto e dei romanzi grafici, per interpretare Henry Allen, il padre di Flash. Shipp tornò così ad abbigliarsi come un padre amorevole, affettuoso, innocente. Due anni dopo, lo stesso interprete fu scelto per essere la vera incarnazione di Jay Garrick, il primo Flash della storia dei fumetti. Da pochi giorni, John ricopre, di nuovo, il ruolo del suo Barry Allen.

In successione, nella mitologia di Flash, John Wesley Shipp è stato per la CBS il primo velocista apparso sul piccolo schermo, nonché Polluce, un clone del protagonista con i suoi stessi poteri, per la Warner Bros Animation la voce sinistra e malvagia della nemesi del supereroe, e per la CW il padre di Barry. In seguito, ha interpretato Jay Garrick, il primo “scattista” dotato di una velocità sovrumana, nato dalla fantasia di Gardner Fox ed Harry Lampert, e adesso, nuovamente, Barry Allen, rimanifestatosi quasi trent’anni dopo la sua ultima apparizione. Pochi sono stati gli attori che, come lui, hanno legato il loro nome ad un brand, un modello, un emblema di abnegazione, bontà e coraggio.

In quelle fotografie, con addosso una nuova versione del suo splendido costume, Shipp ha dato l’impressione d’aver arrestato il fluire del tempo, dimostrando ancora una volta di essere la più espressiva personificazione di Flash.

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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  • Dei ed Eroi: tra mito e Justice League

Nell’antica Grecia esistevano gli eroi. Forse non recavano il prefisso “super” ma erano davvero degli eroi, capaci di vivere avventure e di compiere imprese del tutto simili a quelle che oggi indicheremmo come fuoriuscite da una qualunque narrazione a fumetti. Nelle regioni elleniche, già dal VI secolo a.C. esistevano quelli che noi, oggi, definiamo comunemente come “crossover”, ovvero i "racconti" dove gli eroi o gli dei si incontravano o scontravano tra loro. Eracle spalleggiava Teseo nell’Ade, ad esempio, Orfeo prendeva parte alla spedizione di Giasone e le divinità si schieravano in “leghe” contrapposte nel conflitto che vedeva rivaleggiare i troiani e gli achei, palesandosi d’improvviso e cambiando così il corso della "trama", come nei migliori e più avvincenti serial fantasy contemporanei. I supereroi, specie quelli appartenenti alla scuderia DC Comics, i primi a comparire sulle tavole dei fumetti nonché i primi a parlare per via cartacea, sorretti da una sceneggiatura che, sin dal principio, si materializza sotto forma di una nuvola pregna di parole e significati, non sono altro che le rivisitazioni dei vecchi eroi della mitologia, e ricalcano persino il modo in cui, migliaia e migliaia di anni fa, quelle storie, quei miti propriamente detti, venivano raccontati. Sembrava, infatti, che la mitologia greca si svolgesse interamente in un unico universo narrativo, coeso e preciso, pur con qualche leggera incongruenza. La DC stessa ha, da sempre, scelto di ambientare le proprie storie in un universo ben noto, fino alla fine degli anni Sessanta, quando gli universi conosciuti dai lettori di tutto il globo diverranno molteplici. Insomma, senza dilungarsi oltre, i supereroi sono non altro che le esaltazioni degli antichi eroi, da cui attingono valori e poteri, avventure singole e condivise.

  • Flash: “Non puoi fermarmi!
  • Superman: “Non esserne così sicuro. Ho già corso con te in passato, Barry. Ho anche vinto qualche gara.”
  • Flash: “Quelle erano per beneficenza, Clark!”

(Flash Rebirth – Barry sfugge, correndo via, a Superman)

Superman è, probabilmente, l’emblema degli eroi DC. Forte come Eracle, invulnerabile come un dio immortale, Clark Kent possiede la capacità di volare sino al sole da cui attinge la propria possanza. Più che dell’Olimpo, Kal-El è figlio del cielo. Egli incarna l'ultima testimonianza di mondo scomparso, ed è un essere quasi onnipotente che concretizza, in una serie infinita di poteri, i più grandi sogni di gloria della fantasia di ogni autore. Wonder Woman è, forse, il personaggio più attinente di tutti alla mitologia arcaica, sia a livello estetico che a livello concettuale. Ella è un’amazzone, creata da Zeus e da Afrodite, cresciuta sull’isola della regina Ippolita. Wonder Woman è il simbolo della donna forte, autoritaria, splendente e valorosa, l’icona dell’eroismo femminile moderno. Aquaman potrebbe essere descritto come l'eroe più antico della storia dei fumetti. Egli, re di tutti i mari, viveva al di sotto dei fluttui già migliaia e migliaia di anni or sono e portava, sempre con fierezza, un tridente stretto tra le mani con il quale troneggiava sul regno degli abissi fin dal giorno in cui i suoi fratelli, Zeus e Ade, decisero di spartirsi i tre regni del mondo e a lui toccò quello dei vasti oceani. Aquaman è il Poseidone dei nostri giorni, l'eroe che personifica la figura del dio greco e del sovrano di Atlantide, la città perduta, quest'ultimo un altro mito da cui il fumetto ha tratto le proprie ispirazioni per ripercorrere l'ennesimo racconto che affonda le proprie radici nei secoli trascorsi. Lanterna Verde è un eroe posto a guardia del Pianeta. Egli, astuto come Odisseo e spavaldo come Aiace, proteggerebbe la Terra con l’egual fermezza di come Ettore avrebbe difeso fino alla morte la sua amata patria.

Batman e Cyborg sono due personaggi tanto diversi, ma che in un’analisi dedicata ad alcuni passi della mitologia antica non rappresentano altro che il limite dell’essere umano, quello stesso limite che può essere superato dall'abnegazione, dalla dedizione, dall'impegno, dal sudore, dall’allenamento massacrante e, soprattutto, dal genio dell’uomo. Batman ha dedicato la sua intera vita a spingersi “oltre”, a impersonare un simbolo di paura e speranza sebbene non possedesse alcuna dote straordinaria, ma per il solo desiderio di giustizia. Batman è il vero eroe, colui il quale non necessita della forza valorosa di Enea per poter abbattere l’ostacolo della malvagità. A Bruce Wayne basta se stesso, perché egli è il solo che è riuscito a superare ogni limite a cui l’uomo, data la propria mortalità e la propria fragilità fisica, è purtroppo soggetto. Batman è arrivato vicino al sole e, nonostante avesse le ali di cera, è riuscito a non cadere, a perdurare in alto, sino a lambire la volta celeste. Cyborg, dal canto suo, è il prodotto dell'ingegno, della progressione, dell'avanzamento tecnologico, della sapienza. Prometeo, il gigante innamorato della razza umana, rubò il fuoco agli dei per donarlo agli uomini, perché, ai suoi occhi, noi tutti eravamo meritevoli, unici. L’uomo, partendo dal fuoco, si è evoluto sempre di più. Tutto cominciò da quella fiamma accesa e divampante, da quella vampa imperitura che rappresentava, allora come oggi, l'ardore della scoperta. Col fuoco, l'uomo ha progredito, è diventato genio della scienza da lui stesso studiata costantemente. Restituire la vita ad un uomo deceduto, sotto forma di un Cyborg, è un sogno di natura fantascientifica che trova riscontro nella continua, sinistra ricerca dell’uomo, il quale, fin dall’alba dei tempi, non fa che tentare d'ingannare la morte, di allungare la vita, di salvare i propri simili. Il personaggio di Cyborg è la rappresentazione fantastica del sapere umano. Ed il suddetto sapere non sarebbe divenuto così grande se un titano, molti secoli prima, non avesse offerto alla razza umana un pegno così profondo e valevole.

Prendendo in esame il primo, storico costume di Flash, datato 1940, non possiamo fare a meno di notare che il velocista scarlatto sia una rivisitazione, in chiave moderna e supereroica naturalmente, del Mercurio alato. Flash trae le proprie origini dalla velocità di Ermes, il messaggero degli dei. Ritagliandosi un ruolo di primo piano nell’avventura fumettistica contemporanea, Flash, in virtù dei suoi poteri, reca in sé un tributo al passato, un omaggio continuo all'era dei grandi miti greci e, al contempo, il personaggio volge anche un’attenzione costante al futuro, per il quale il fulmine rosso non fa altro che rappresentare il continuo viaggio, la corsa, l'interminabile percorso che ognuno di noi, i suoi lettori, deve compiere durante la propria vita.

Flash, John Wesley Shipp, 1990 – Dipinto di Erminia A. Giordano per CineHunters. Potete leggere il nostro articolo sulla serie classica “Flash” cliccando qui.

 

  • Flash – Il mercurio alato

“Più veloce di un fulmine nel cielo, della luce stessa, più rapido del pensiero, Flash è la reincarnazione di Mercurio alato... La sua velocità è lo sgomento degli scienziati, la gioia degli oppressi e l'incanto delle folle!” (Flash Comics 1- 1940)

Flash palesa, ad ogni sua corsa, il trascorso, l'avvenuto di Ermes, nonché il futuro, l'avvenire inesplorato verso cui egli giunge col suo rapido incedere. Flash corre giorno dopo giorno, come tutti noi. Nella società in cui viviamo, ognuno di noi corre, si arrovella, inseguendo sogni e speranze per raggiungere un futuro che sembra snocciolarsi sotto i nostri piedi con immantinente rapidità. A volte, in questa corsa estenuante, noi, corridori inesperti, perdiamo di vista il senso del nostro viaggio, e finiamo per non comprendere davvero il perché corriamo. Lo spostarsi da un luogo ad un altro, il raggiungimento di una meta piuttosto che un’altra, il viaggio inteso in senso lato è soltanto un superficiale pretesto. Al vero corridore non importa raggiungere il traguardo, a lui interessa solamente correre, osservare, conoscere, vivere. La corsa cela il senso della scoperta di luoghi sconosciuti, di realtà ignote, di esperienze straordinarie vivibili nella tortuosa peregrinazione compiuta come esperienza di vita. La corsa di Flash si configura come un’investigazione analitica e introspettiva di se stessi. E così Flash corre per scoprire tutte le volte se stesso, per superare i propri limiti. Gli autori che diedero contorno e vivezza al velocista scarlatto vollero far incarnare a questo instancabile maratoneta il desiderio inestinguibile dell'uomo di volgere sino all’infinito sconfinato, verso la padronanza del mistero nascostosi lontano, verso la conquista.

In una puntata della serie televisiva degli anni ’90, Barry Allen (John Wesley Shipp) osserva una statua bronzea che ha le sembianze di Mercurio.

 

Flash ha il mondo ai suoi piedi ed è animato da una brama di libertà senza limiti. Dalla matita di Gardner Fox e Harry Lampert, nel gennaio del 1940, nasce Jay Garrick, Flash, nelle pagine di “Flash Comics n°1”, albo della DC Comics che prese il nome direttamente dal suo personaggio principale. Nello stesso numero anche altri celebri eroi della DC videro la luce, eroi come Hawkman, Hawkgirl (Shiera Sanders), Black Canary e Johnny Thunder. La prima raffigurazione cartacea di Flash vede l’eroe sfrecciare verso l’orizzonte, lasciandosi alle spalle una lunga scia. Una donna dai capelli biondi osserva stupefatta l’uomo passarle dinanzi con passo spedito, così come il piè veloce Achille caricava verso l’esercito nemico. In tempi recenti quel primo numero, conservato gelosamente da un collezionista per quasi settant'anni, è stato valutato per una cifra che si aggira intorno ai 450mila dollari, a testimonianza dell’indiscusso valore e del futuro glorioso che avrà il personaggio che, in quelle pagine, vedeva per la prima volta la luce.

Jay Garrick indossa sul capo un elmo grigio, ornato ai lati da due alette color oro, è abbigliato con un costume rosso che lascia intravedere una grossa sagoma gialla atta a simulare il dardo di un fulmine, veste un paio di jeans e calza due stivali rossi, anch’essi contornati da alette dorate. Le ali richiamano il simbolismo del dio greco Ermes. Flash corre su nastri d’asfalto con passo rapido e impalpabile, il che dà la sensazione che l’eroe non tocchi propriamente il terreno ma si sollevi da esso, proprio come faceva Mercurio quando muoveva i suoi passi sulle nuvole bianche che sovrastavano i sentieri dell’Olimpo.

“Lo faremo e lo faremo velocemente. Dopotutto, è come sono abituato a fare cose.” (Jay Garrick – Flash)

La prima apparizione di Barry Allen

 

L’incarnazione più famosa e amata di Flash, Barry Allen, arrivò nel 1956 dopo il disastro della seconda guerra mondiale che fece tra l’altro anche cadere i fumetti in rovina e nel dimenticatoio generale. Jay Garrick fu così sacrificato, cedette all’oblio e scomparve dalle edicole lasciando al suo passaggio un malinconico ricordo. Barry Allen è un poliziotto della scientifica di Central City. Una notte, durante un temporale, Barry viene colpito da un fulmine mentre, a tarda sera, stava lavorando nel suo laboratorio. Il fulmine lo investì improvvisamente, irrompendo da una grossa vetrata adiacente il tavolo di lavoro del ricercatore, che venne investito da una serie di prodotti chimici caricati elettricamente. Quando si risvegliò, uscì in strada e, notando un taxi in lontananza, cominciò a correre per raggiungerlo. Si accorse, poco dopo e con sorpresa, di aver superato l’autovettura di diversi metri. Realizzò in quel momento di aver ereditato un potere straordinario che decise di mettere al servizio dell’umanità. Assunse così l’identità di Flash, indossando una maschera e un costume scarlatti, decorati con saette color oro. Sul petto, impresse un fulmine giallo su di in un cerchio bianco, rappresentando l’emblema della saetta che attraversa una luna piena alta nel firmamento.

  • Il successo

“Sei rapido, Quicksilver, te lo concedo! Forse nel tuo universo sei l'uomo più veloce che ci sia! Ma anche l'auto più veloce del mondo sembra una lumaca nei confronti di un jet!” (Flash - Marvel contro DC)

Quando Barry Allen irruppe nel mondo dei fumetti su “Showcase 4” riuscì immediatamente a magnetizzare l’attenzione di migliaia di lettori, da quel momento irrimediabilmente rapiti dalle gesta del “Velocista Scarlatto”. Il personaggio incarnava alla perfezione lo spirito del suo tempo. Per l’America, infatti, quello fu un periodo di grande prosperità e di innovazioni radicali su tutti i fronti. La DC Comics e un gruppo di disegnatori e scrittori, tali Robert Kanigher, Julius Schwartz, John Broome e Carmine Infantino, realizzarono un’impresa editoriale titanica, puntando tutto quello che avevano sulla creazione di un domani travolgente. Barry Allen, inteso quasi all’unanimità come il primo eroe della Silver Age, risollevò la DC Comics, le sorti dei fumetti interi e di tutto ciò ad essi affiliato. Sulla benevola scia scarlatta di Flash tutta una serie di altri brand fumettistici trovarono, infatti, nuovo vigore e ripresero ad essere pubblicati con successo. Flash prese per mano i suoi “fratelli” e li trascinò verso un avvenire luminoso. Anche la Marvel Comics sorse su fondamenta salde e durature erette da Flash.

Per molti anni, la leggenda a fumetti di Flash crebbe senza limiti, divenendo la testata più venduta d’America, registrando vendite record capaci di aggirarsi intorno alle 900.000 copie. In aggiunta a tutto ciò, per aumentare ancor di più il valore del personaggio, la DC affidò proprio a Flash il compito di introdurre il “multiverso” in “Flash dei due mondi”, uno degli albi a fumetto di maggior prestigio della storia. In tale fumetto, Barry Allen scoprì, attraverso un viaggio in una dimensione parallela, l’esistenza di una seconda Terra, su cui muoveva i suoi eroici passi un ormai anziano Jay Garrick. Fu la nascita e la canonizzazione di due Flash, il vecchio e il nuovo, il maestro e il grande apprendista. Sempre Flash continuò ad essere centrale nell’universo narrativo della casa editoriale statunitense, compiendo l’eroico sacrifico nelle pagine finali del leggendario crossover “Crisi sulle terre infinite” o stravolgendo, ancora, nel 2011 l’arco narrativo con la miniserie Flashpoint, che darà vita ai New 52.

In oltre 75 anni di storia editoriale, Flash ha avuto altre due incarnazioni: Wally West, nipote dai capelli rosso fuoco di Iris, e Bart Allen.

Flash è caratterizzato da una personalità ottimista, solare, a volte ironica e profondamente emotiva. Egli si trova, per certi versi, in contrasto con il tenebroso Batman, assomigliando, invece, a Superman, ovvero un supereroe portatore di speranza. Barry è una figura benevola e ispiratrice non solo per la gente comune ma anche per gli altri supereroi, tant’è che una volta Bruce Wayne disse di lui: “Barry è il tipo di uomo che avrei sperato di diventare se i miei genitori non fossero stati assassinati”.

Sebbene negli ultimi anni Barry Allen sia stato rappresentato in televisione e al cinema come un ragazzo giovane, nei fumetti è in verità un uomo adulto. Egli è, inoltre, molto acuto, non è un supereroe inesperto che abbisogna di un team a spalleggiarlo, come mostrato nella serie televisiva, e non è neppure un eccentrico burlone, come invece mostrato nella trasposizione cinematografica della Justice League o nel cartone animato. Flash è un supereroe sognante, allegro ma anche serioso, ed affronta i drammi della vita con un inguaribile ottimismo, caratteristica che, una volta colta, è in grado d’infondere speranza al lettore.

  • Poteri: un dono o una maledizione?

"Mi chiamo Barry Allen, sono l'uomo più veloce del mondo. Per anni ho vissuto senza la mia sembianza umana, consumata dall'attrito di un folle viaggio alla velocità della luce, teso nello spazio e nel tempo alla rincorsa di un vettore invisibile e inarrestabile. Potevo racchiudere l'assoluto nel palmo della mia mano, percepire l'eternità in un battito delle mie ciglia. Capii allora di essere diventato qualcosa di più. Qualcosa di diverso rispetto a un uomo che corre più veloce degli altri. Io ero la Forza della Velocità." (Barry Allen – Flash)

Il potere, acquisito la notte dell’incidente e derivato dalla forza della velocità manifestatasi con la sagoma di una folgore, forse scagliata da Zeus in persona, ha trasformato Barry in un semidio che giace tra gli uomini. La facoltà di correre a ipervelocità pone il supereroe nel mezzo, tra l’umanità terrena e la gloria del cielo. Barry può superare la velocità della luce, viaggiare attraverso le epoche, pensare e ponderare così velocemente da poter calcolare e anticipare qualsiasi mossa di un rivale.  Flash possiede riflessi fulminei e una considerevole forza e resistenza fisica, benché per sostentarsi necessiti di consumare ingenti quantità di cibo. Il suo metabolismo accelerato gli permette di guarire rapidamente dalle ferite.  Barry può inoltre far vibrare le molecole del suo corpo e attraversare indenne la materia.

Sebbene venga considerato un eroe radioso, Flash può essere altresì inteso come un personaggio drammatico. Egli percepisce la realtà esterna con grande inerzia. Nel brano “The Ballad of Barry Allen” dei Jim's Big Ego, Flash viene descritto come un personaggio vittima del suo stesso potere. La velocità per Flash risulta essere, secondo questa interpretazione, una maledizione che avviluppa l’eroe.

In effetti, anche secondo il sottoscritto, una simile rivisitazione del personaggio assume un aspetto fascinoso. Il tempo trascina Flash costantemente, e proprio perché egli è così rapido, fatica a controllare l’esasperante scorrere dei secondi. La velocità si tramuta in un bisogno irrefrenabile ed intollerabile. Flash non può mai fermarsi davvero, e nessuno può vederlo muoversi realmente. Conseguentemente nessuno può riuscire a capire le sue sensazioni. Flash resta pertanto preda della solitudine. Sotto i suoi occhi la realtà quotidiana, le gesta e i movimenti dei suoi simili, scorrono con estrema lentezza.  C’è chi direbbe che la vita scorre troppo in fretta, ma a Flash la vita stessa pare progredire in modo compassato. Il tempo computato dagli orologi è diverso da quello calcolato dalla sua mente che finisce per precipitare in un gorgo incessante e inesorabile. I suoi pensieri e le sue percezioni si susseguono più rapidamente del tempo convenzionale così come viene percepito dagli uomini comuni, facendo piombare l’eroe in uno stato di abbandono e d’incomprensione. Flash permane così in una stasi tra il tempo effettivo e il tempo soggettivo, con quest’ultimo che prende il sopravvento sulla sua completa esistenza. Egli, uomo, vivrebbe così con il dono di un dio che tortura il suo spirito mortale con un potere destinato ad un’anima immortale come quella di Ermes.

  • Correre come metafora della vita

La vita non ci dà un senso, siamo noi a dare un senso alla vita”. (Flash)

La corsa di Flash verso l’infinito è la rappresentazione del coraggio, di quell’audacia necessaria per affrontare un avversario che compare all’orizzonte. Ma la corsa è, al contempo, l’espressione di una brama di vita. Nella corsa, la mente tende a schiarirsi e a far fluire liberamente il pensiero. Nel suo progredire armonico, il respiro di Flash si fa flebile, il vento gli sfiora il viso e l’aria sembra sollevarlo dal terreno che lambisce con i piedi che lo sospingono. L’elettricità scorre nelle sue vene come un fuoco ardente che viaggia in ogni sua terminazione nervosa. Flash corre per comprendere il mondo, il senso dell'esistenza a cui noi diamo un valore e uno scopo. Correndo, Flash riscopre, giornalmente, le meraviglie dell'arco vitale, e per esse si batte. Ed è per tale ragione che nella corsa si concretizza anche la fuga dall’oscurità. Flash può correre, ma non può sottrarsi da alcun problema, da alcuna fatalità. I poteri rendono l'eroe speciale, ma gli stessi non lo rendono, in fondo, diverso da ogni altro uomo. La morte per Flash è rappresentata dal velocista nero, una figura scheletrica che incarna la figura della triste mietitrice e che insegue il corridore per sottrargli la vita. Tale personificazione è la novellizzazione di un’allegoria. Il Flash Nero insegue il velocista scarlatto per fermarlo e porre, così, fine alla sua esistenza. La morte che insegue il supereroe con passo incalzante è l'espressione figurata del tempo che scorre via, e rende il supereroe cosciente della propria mortalità. Flash potrà avere i poteri di un dio greco, ma sarà sempre, nonostante tutto, un uomo soggetto alla morte. Il Flash Nero esacerba tale consapevolezza nel cuore e nell'animo dell'eroe, la cognizione della fine che può sopraggiungere inaspettatamente. Flash, che domina lo scorrere dei secondi con la sua velocità, comprende come i singoli istanti, i momenti stessi, spesso sottovalutati per la propria caducità, possano acquisire un valore profondo tanto da diventare "infiniti". Flash, nelle sue sgroppate, deduce quando bisogna correre via, allontanarsi dai mali che potrebbero arrecare distruzione, e fermarsi nella propria dimora, a vivere serenamente l'affetto dei propri cari. E’ in tal modo che l’eroe dà e trasmette valore alla famiglia, all’amore e all’amicizia, fuggendo dalle tenebre per tornare e restare nella luce. La corsa, per Flash, è metafora della vita stessa, fatta di sacrifici, di missioni da dover adempiere, di pericoli da dover scacciare, di affetti indissolubili da dover proteggere, di ritorni.

Il grande amore di Barry Allen è Iris West, colei che rappresenta la meta finale della propria corsa. Iris incontrò Barry (apparve per la prima volta nel numero 4 di Showcase nel 1956) mentre quest’ultimo stava indagando su un caso di omicidio. Barry fu subito attratto dai modi di fare della giornalista, curiosa, simpatica e dalla parlantina sciolta, mentre Iris rimase colpita dall’onestà e dalla fermezza dell’uomo. Dopo un lungo fidanzamento, una sera Barry propose a Iris di sposarlo, durante un giro sulla ruota panoramica al parco dei divertimenti di Central City. In Flash n. 165 (del novembre del 1966) Iris sposò Barry, scoprendo proprio quella notte che il marito era in verità il guardiano di Central City. Nel futuro si vedrà che Barry e Iris concepiranno due figli, Don e Dawn Allen, “i gemelli tornado”.

Iris come la maggior parte delle donne dei fumetti è rappresentata come una donna bellissima, dai fluttuanti capelli rossi, dal volto candito, e con solo un accenno di lentiggini, dalle forme aggraziate. La figura di Iris nella vita di Barry è sempre dominante. Ella rappresenta per Flash la motivazione per andare avanti, un po’ come Arwen è per Aragorn l’ispirazione capace di riscaldare il cuore e risollevare lo spirito del ramingo durante le ardue battaglie. Per Flash, Iris è il centro del proprio universo, il fattore stimolante della propria vita. Barry corre, resiste e sopravvive ripetendo a se stesso: “al ritorno a casa c’è lei ad attendermi”. Iris è il traguardo, l'abbraccio finale che sancisce per Barry l'approdo alla felicità. Al termine di ogni missione, alla fine di ogni corsa, l'eroe si toglie la maschera, torna ad essere un uomo, smette di vagare in solitudine e rientra a casa, il luogo in cui può finalmente cedere al riposo. La destinazione in cui, fermandosi, Flash può godersi pienamente le bellezze quotidiane dell'esistenza.

  • Conclusioni

“Forse non è così terribile morire. Non se lasci un erede, se sai che qualcuno combatterà ancora per ciò in cui hai creduto.” (Flash – Vendicatori/JLA)

Leggendo Flash si fantastica tangibilmente sulla possibilità di poter correre più veloce del suono, sempre verso l’orizzonte e il futuro più roseo; egli è un pensiero positivo, una luce carica di speranza che schiarisce il buio e che, certamente, non può che affascinare ogni lettore dall’estro sognante. Flash non è che la personificazione rivisitata del mercurio alato, uno sgomento per gli scienziati, una gioia per gli oppressi e un incanto per le folle.

I supereroi DC Comics, con i loro racconti di epiche battaglie, di uomini capaci di volare verso le stelle o di sollevare montagne, rivisitano le gesta degli dei e degli eroi della mitologia greca, in cui il racconto fungeva da fuga dalla realtà. Il mito possedeva la capacità di stimolare l’immaginazione. Il racconto greco ammaliava e rubava sogni ed attenzioni con la descrizione di una giovane donna che nasceva dalla spuma del mare, o con la narrazione di dei in collera che sconfiggevano i titani con la folgore, il tridente o l’elmo che rendeva invisibili. Erano gesta narrate da cantori e vertevano sull’esaltazione della fantasia, uno dei più grandi doni che l’uomo abbia mai ricevuto. Il fumetto è arte sequenziale che trasforma in tavolozza pittorica ciò che veniva raccontato nell’antichità a parole, magari accompagnato dal suono della cetra, e portato via dal vento che ne conservava tutto il valore.

Flash, il più veloce, il più lesto tra gli eroi, è ancora oggi la personificazione del domani, di un futuro che, per quanto remoto, si avvicinava e continua ad avvicinarsi a grandi passi.

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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