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"Liv Tyler - Arwen Undómiel" - Dipinto di Erminia A. Giordano per CineHunters

 

Era scesa la notte e una pioggia lieve cadeva giù dal cielo su di un bosco “addormentato”. “Pioggerella di primavera…” recitavano alcuni versi intonati dagli animali della foresta nel capolavoro della Walt Disney “Bambi”. Grosse gocce, simili a lacrime di rugiada, custodite dalle verdi foglie, si mescolavano all’acqua piovana che veniva giù disperdendosi nel soffice sottobosco. Un lampo nel buio e il sopraggiungere di un fragoroso tuono presagivano che la pioggia avrebbe aumentato la sua intensità. Quello a cui il piccolo cerbiatto Bambi assistette, spaventato, era per lui il primo pianto del cielo. Nulla faceva prevedere alcun temporale in quel momento in cui il sole volgeva al tramonto. Fu soltanto una “tempesta” di breve durata, l’indomani tornò la quiete. La primavera infondeva vigoria in ogni dove, e la prateria su cui poi Bambi avrebbe mosso i suoi primi passi era rigogliosa e piena di vita. E’ questo, dopotutto, che rappresenta la primavera: una natura viva, palpitante, ricca di colori e dall’impareggiabile bellezza.

La donna è primavera! Se dovessi concedere, o meglio attribuire alla figura della donna una delle quattro stagioni che cadenzano il ciclo annuale della nostra vita non potrei che scegliere la primavera. Fu proprio la stagione primaverile ad allietare e accogliere la nascita della più bella tra le donne cui fanno cenno i miti greci, colei che giunse dal mare.

Come riportato dalla Teogonia di Esiodo, a scuotere il mare e a miscelare il seme della vita con l’acqua salmastra fu un evento tumultuoso ed efferato (la morte di Crono), un accadimento violento e inaspettato, come il sopraggiungere di una pioggia torrenziale al termine di una gradevole giornata primaverile. Dalla spuma del mare fu generata Afrodite, la più bella donna su cui gli occhi dei mortali e degli dei avessero mai posato lo sguardo. Nello stesso nome greco fu contenuta, in parte, la sua peculiare nascita: ἀφρός - aphrós significa, appunto, “spuma”. Afrodite emerse dalle acque marine con la sola sua rosea e immacolata epidermide. Sempre nuda toccò, lievitando, la superficie interna di una grossa conchiglia schiusa, la quale resse la sua corporalità eterea. La nascita della dea venne esaltata dal Botticelli che eternò la bellezza della dea in una tela d’ineguagliabile raffinatezza artistica. Afrodite, in tale rappresentazione, si eleva e i marosi che increspano i confini della conchiglia paiano non riuscire neppure a sfiorarla. Zefiro desta in lei il soffio della vita immortale e un’oreade, che incarna la mutevole stagione della primavera, fluttua verso la dea nell’atto di vestirne il corpo con un mantello, ove sono impresse primule, rose e mirti. Venere intanto cerca di coprirsi con le mani salvo poi lasciare, forse volutamente, scoperto un seno. Soltanto le lunghe ciocche dei suoi folti capelli rossastri le coprono il ventre.

La nascita di Venere è sovente paragonata ad un’altra opera del Botticelli, ovvero “Primavera”. La magnificenza di Afrodite, dea della bellezza e dell’amore nonché canone classico e assoluto della bellezza femminile, è per l’arte pittorica metafora di primavera. Tradizionalmente, si potrebbe dunque affermare che la bellezza della donna è portatrice di una particolare grazia terrena che ha foce nella stagione ove la natura si ridesta. La primavera, con le sue brezze rinfrescanti, con quel suo clima mite, i suoi prati verdi e i fiori dai mille colori, dopo il gelo dell’inverno e le sue giornate limpide e terse, dona sollievo agli affanni, ravviva il paesaggio e offre speranza all’animo umano. La donna emana il suo fascino come il sole irradia i suoi caldi raggi, è dolce come un’arietta fugace che giunge da est, e sa essere forte come un ruscello che sgorga da una sorgente cristallina, e prosegue in crescendo fino a perdersi a valle in una calda giornata. La primavera è efflorescenza, nascita. Sono le donne ad essere garanti di un miracolo, e soltanto loro possono far germogliare la vita. Le donne rendono possibile la fioritura dell’esistenza, non soltanto attraverso l’atto del parto ma anche mediante le amorevoli cure che solo una madre sa rivolgere alla creatura che ama, ad un figlio, sia da lei stessa concepito o allevato come tale.

Come Afrodite, concepita nel racconto e proliferata nel mito fantastico, sono donne nate e vissute nella fantasia, nell’arte e nel cinema quelle di cui vorrei parlare.

"Jessica Rabbit", icona animata d'incontenibile bellezza e d'irresistibile seduzione. - Illustrazione di Erminia A. Giordano per CineHunters. (Potete leggere di più cliccando qui)

 

  • Donne da ritrarre: con un pennello o una cinepresa?

Sebbene Botticelli non poté realmente contemplare dal vero la soavità di Afrodite così da ritrarla in una tela, egli riuscì a dare corpo e vivezza a una meraviglia da lui mirata forse in un sogno. Poté, lasciandosi trasportare dal richiamo della mente, tratteggiare le generose forme della dea, plasmare la naturalezza di un concepimento celestiale, e dare corporalità ad un essere spirituale. E’ in tal modo che ancora oggi, in un testo in prosa, in un componimento poetico o in un dipinto cerchiamo di rendere visibile l’idea di donna, tanto perfetta è la sua consistenza da meritare d’essere descritta, osannata e ritratta. La bellezza della donna è impossibile da includere in una descrizione estetica che possa fungere da illustrazione generale e assoluta. Tali bellezze travalicano le doti riassuntive di qualunque scrittore tenti anche solo di enumerarle. Che abbiano labbra pronunciate o sottili, che vantino forme prosperose o marcatamente ridotte, e che i loro volti siano cinti da capelli biondi, mori o scarlatti, la bellezza femminile fugge da concetti univoci, ed è sempre sinonimo di seduzione, intrigo, intelligenza, forza, caparbietà e astuzia. Tali caratteristiche estetiche e psicologiche hanno permesso di fare della donna soggetto ideale nell’arte e nel cinema di ritratti complessi e sempre differenti. Nulla è più bello di una donna! Come si tenta d’ammirare le impercettibili venature di colore lasciate da una pennellata su di un quadro impressionista, in egual misura dovremmo osservare le donne, e indagare i segreti eclissati nei colori dei loro occhi.

"Gal Gadot - Wonder Woman" - Illustrazione di Erminia A. Giordano per CineHunters. La supereroina DC Comics è l'emblema dell'eroismo femminile forte e indomabile. (Potete leggere di più cliccando qui.)

 

In quanti modi possono essere ritratte e pertanto ammirate le donne? Con colori a tempera o ad olio su una tela, con pastelli, a china o in chiaroscuro su di un foglio di cartoncino bianco. Altresì possono essere ritratte dal vivo, in quanto “vere”, filmate e immortalate tra i limiti scenici di una macchina da presa. Quanti ritratti di donne sono custoditi nel museo del cinema? Innumerevoli! Nella storia della settima arte il fascino di una donna dalla candida epidermide e dalla bionda chioma sedusse un colossale gigante nato su di un’isola e morto per lei in una fredda città.  Una giovane, vissuta nella povertà, poté beneficiare del dono di una fata per recarsi ad un ballo che si svolgeva in un salone regale e che avrebbe dovuto finire prima della mezzanotte. Ancora, una donna, da madre, si trasformava in una giovane e libertina teenager davanti agli occhi di un attonito figlio che aveva, inconsapevolmente, fatto un balzo indietro nel tempo. Il cinema fantastico ha raccontato storie di donne innamorate, una tra loro cadde addirittura preda di una maledizione che l’obbligava a trasformarsi ad ogni sorgere del sole in un falco. Ma la stessa arte filmica ha narrato le gesta di eroine audaci e indomabili. Come poter non rammentare la riccia Ellen Ripley, una delle più grandi eroine del cinema, quando affrontava con ardore la paura provenuta dallo spazio remoto in “Alien”. In una delle sequenze più sensuali, Ripley si liberava dei vestiti, restando solamente con una canotta striminzita e trasparente e un intimo che le copriva il ventre, prima d’indossare la tuta spaziale per combattere la creatura nota come Xenomorfo. L’erotismo sensuale di un corpo statuario femminile veniva amalgamato, nell’opera di fantascienza di Scott, con la furia combattiva di una donna vigorosa.

"Daryl Hannah è la sirena Madison" - Dipinto di Erminia A. Giordano per CineHunters. (Potete leggere di più cliccando qui. E ancora cliccando qui.)

 

Ancora nel cult del 1984 “Splash – Una sirena a Manhattan”, Madison, una sirena dai lucenti capelli color oro, emergeva dai fluttui, irradiata da una luce di vaga provenienza. Madison era una donna eterea, che camminava sulla terra nuda come sospinta dalla brezza, e capace di compendiare nella sua essenza all’unisono il regno del mare e quello della terraferma. Ella è una giovane libera e straordinariamente intrepida, innocente e magnificamente romantica che accetta di sottostare a degli inevitabili e gravosi rischi pur di poter vivere un amore apparentemente impossibile con un umano. Sono queste figure femminili di un genere di narrazione fantastico ma abili a ritrarre su di esse i connotati di donne splendide, illuminanti e pertanto decisamente vere.

 

Potete leggere di più su "Titanic"  cliccando qui. E ancora, cliccando qui.

 

Gli artisti più talentuosi, sin dai tempi antichi, hanno tentato di catturare la giovinezza della propria compagna e di trasfonderla in eternità. Alcuni di loro avranno voluto ritrarre la loro sposa più volte nel corso della vita, e avranno poi carpito la spontaneità di una ruga tanto da renderla testimonianza del tempo passato, di una vita trascorsa al fianco di quella stessa donna dipinta dapprima da ragazza e in seguito da consorte matura. Nel capolavoro di James Cameron “Titanic”, un ritratto, rinvenuto sul fondo dell’oceano e sfuggito alle gelide acque per circa 84 anni all’interno di una cassaforte, diventa prova ammirabile di un amore mai estinto, traccia di un passato che non ha mai smesso di possedere significato sul futuro della donna protagonista della storia. Il ritratto realizzato dal protagonista, Jack Dawson, ha reso eterna una bellezza di donna scrutata con rossore dall’amato per una notte soltanto. Nel cinema d’animazione, il disegno è divenuto mutevole, e il tratto, che dona movimento ad una figura, perpetuo.

"La sirenetta Ariel" - Illustrazione di Erminia A. Giordano per CineHunters. (Potete leggere di più cliccando qui.)

 

E’ certamente impossibile riuscire a parlare di tutti i personaggi femminili che presero vita grazie al volere di artisti e animatori nel cinema di genere. Mi sovvengono alla mente, in particolare, Ariel e Belle, rispettivamente de “La sirenetta” e “La bella e la bestia” della Walt Disney. La prima, una sirena che aspira a diventare una donna completa, un personaggio nato dalla proliferante e geniale mente dello scrittore Hans Christian Andersen, reinterpretata al cinema in una veste più ingenua ma adorabile. La sirena dai fluenti capelli rossi muove dal mare proprio come Venere, però non cammina su di una grossa conchiglia, ma nuota con la sua coda verde, non è nuda ma si serve di due conchiglie per coprirsi il seno. Belle, mora e dagli occhi castani, dama sognante, lettrice affamata di parole e insaziabile di libri, è colei che vede quello che l’apparenza occulta, ciò che la mostruosità nasconde.

Belle, col suo amore, salva la vita all'amato e spezza la maledizione. "La bella e la bestia" sono illustrati da Erminia A. Giordano per CineHunters. (Potete leggere di più cliccando qui)

 

  • Muse ispiratrici

La donna, intesa in senso lato, è stata spesso entità ispiratrice. Un’essenza ineffabile, specie per coloro che non poterono mai averla e idealizzarono la sua immagine. La sola rimembranza della donna amata e mai dimenticata ha scaldato il cuore di chi, volgendo lo sguardo alla luna, traeva ispirazione per comporre un sonetto o un canto poetico. Le nove muse della mitologia greca erano tutte donne e ognuna di esse preservava un campo specifico dell’arte. Erano le donne, ancora di fattezza divina, a instillare la dovuta ispirazione nel cuore dei poeti. Divenivano l’impalpabile mano che guidava il polso dello scrittore, la penna astratta intinta nell’inchiostro. Senza di esse l’arte, concepita come l’eterna magnificenza del divino, non poteva essere veicolata nel mondo dei mortali. Senza quelle donne, contornate d’immortale sostanza, la commedia, la tragedia, la musica, la danza e persino la poesia epica non sarebbero state trasfigurate dall’etereo al tangibile. Nella settima arte, nel cinema del Novecento e ancora in quello contemporaneo, la donna continua a mantenere lo status di musa per chi ha occhi per continuare a notarlo. A tal proposito, mi soffermo a pensare ad una sequenza in particolare de “Il postino”. Il protagonista Mario si è invaghito perdutamente di Beatrice, una donna notata in un’osteria del paese in cui vive. Il postino chiede allora al suo amico, un certo Pablo Neruda, di scrivere una poesia da poter consegnare alla donna. Mario, per quanto si sforzi, non si sente in grado di trascrivere, sotto forma di costrutto poetico, quello che sente per Beatrice. Il saggio Neruda, tuttavia, lo mette in guardia dalle varie “Beatrici”: esse fanno proliferare amori profondi, inestinguibili come fiamme ardenti che avviluppano. Per tale ragione, non possiamo non citare il destino dell’Alighieri.

Chissà se Mario avrà poi realizzato che le “Beatrici” sono anche le sole anime a condurci attraverso le porte del Paradiso, a farci calcare un suolo fatto di pascoli di nuvole, perché quelle donne che portano questo nome possono rivelarsi anime pure, terse e magnanime, come la donna per sempre amata da un fiorentino che risponde al nome di Dante Alighieri. Poco importa se lo ha ricordato, Mario viene completamente influenzato da Beatrice e, da lei ispirato, comincia a dedicarle poesie d’amore, versi traboccanti di sentimento, e carmi elogiativi. Conquista la donna con le metafore, quale ironia, lui, un uomo di umili origini che fino a poche settimane prima non sapeva nemmeno cosa fossero le metafore che ha imparato ad usare sotto l’influsso di una musa ispiratrice, posta a guida delle sue parole. Quando Neruda chiederà poi a Mario di nominare una delle tante cose belle della sua incantevole isola a lui non verrà in mente nulla da dire, eccetto il nome della sua innamorata: Beatrice Russo. Quanto una donna può ispirare un uomo, e può renderlo una persona migliore? E’ forse uno dei tanti insegnamenti trasmessi dalla poesia, parafrasata in questo lungometraggio.

I primi minuti di “Up” raccontano la storia d’amore durata un’intera vita tra Carl ed Ellie. La morte inaspettata della moglie getta Carl in un disperato sconforto. Sarà per lei che l’anziano e burbero signore deciderà di rendere concreto un sogno che i due covavano da tempo ma che non erano mai riusciti a render vero: raggiungere le Cascate Paradiso. Per “volare via con lei”, Carl lega centinaia di palloncini al tetto della loro casa, cosi da riuscire a sradicarla dal terreno e a farla volteggiare verso le Cascate. La donna, la quale ha lasciato un ultimo messaggio su di un album fotografico che ripercorre tutte le fasi essenziali del loro fidanzamento e del loro matrimonio, esorta l’uomo a vivere una nuova fase della sua esistenza. Ellie, dopo essere stata per Carl la sua sola compagna di vita, diviene anche la sua ispirazione a “volteggiare” via dalla normalità e a godersi una nuova avventura, vissuta con la stessa intensità di un tempo. Quella della donna è per Carl un’ispirazione talmente grande da sollevarsi dal suolo e volgere in alto verso il cielo azzurro come un palloncino variopinto gonfiato a elio.

Ma l’ispirazione che una donna può trasmettere in un uomo può assumere varie forme e albergare nel cuore in tutt’altri modi. L’ispirazione può fondersi con la motivazione in un connubio inscindibile. Il personaggio di Arwen Undomiel de “Il Signore degli anelli”, tanto nel romanzo quanto nella trasposizione cinematografica di Peter Jackson, nella quale ha assunto giustamente un ruolo di maggior spessore rappresentativo, è la figurazione dell’amore inteso come motore di vita, come spinta motivazionale necessaria. Senza il rinfrancante ricordo di Arwen, Aragorn non avrebbe combattuto con l’egual veemenza nelle battaglie che decisero il destino della Terra di Mezzo nell’opera di J.R.R. Tolkien. Se il ramingo fosse stato privato della possibilità di sposare la dama di Gran Burrone non avrebbe mantenuto la medesima fermezza nel voler ascendere al trono di Re di Gondor. Arwen è musa ispiratrice, incarnata nel corpo angelico di una elfo femmina di sublime beltà. Viso dolce e cinto da capelli corvini, guance delicate alla sola vista e somiglianti alla bianca porcellana, occhi cerulei come il cielo senza nuvole. Arwen è descritta come fosse un incanto, come se avesse reso tangibili le parole dei canti elfici che permettono a coloro che le ascoltano d’immaginare completamente le meraviglie che odono.

Oltre che meritevole di una bellezza adamantina, Arwen è, come reinterpretata dal regista neozelandese, donna audace, combattiva, in grado di fronteggiare con ardore cavalieri neri di tenebrosa natura. Arwen è una donna che rinuncia all’immortalità della sua razza per amore. Quanto coraggio può essere rinvenuto in un simile atto? Amare così profondamente da scegliere di vivere soltanto un’era del tempo degli uomini quando avrebbe potuto vivere per sempre. Cos’è l’amore se non la scelta coscienziosa d’accettare un sacrificio senza pentimento alcuno, per poter beneficiare di una gioia che si rivelerà essere ancor più grande?

Arwen rinuncia alla vita immortale per poter vivere una vita mortale, e dalla cessazione di un’esistenza eterna trova il modo di generare un’altra vita col proprio sposo, lei che, come mostrato nell’adattamento cinematografico de “Il ritorno del re”, appellandosi inaspettatamente al dono della preveggenza ereditato dal padre, ha veduto la vita dove sembrava campeggiare solo la morte. Arwen ha fatto germogliare l’amore per Aragorn e la vita per i suoi figli da un terreno arido e pertanto non fertile, oppresso dalla malvagità di Sauron. Ha portato luce scacciando l’oscurità. Per me una meraviglia femminile senza eguali.

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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Batman, Wonder Woman, Flash, Aquaman e Cyborg dipinti da Erminia A. Giordano per CineHunters

 

Ai piedi dei due eroi sopravvissuti, Batman e Wonder Woman, giace il corpo senza vita di un superuomo. “Dio” è caduto dal cielo, Superman è morto! Al termine di un aspro conflitto che lo ha veduto vincitore e, al contempo, vittima sacrificale, i suoi resti inermi, privi di un qualsiasi anelito di vita giacciono a terra, in un suolo macchiato del suo stesso sangue. Superman non volerà più nel cielo, riposerà sottoterra. Fu questo l’ultimo atto di “Batman V Superman”. La grande “S”, quel simbolo idiomatico che in Kryptoniano significa “speranza”, impressa su di uno sfondo azzurro come il cielo senza nuvole, che solcava impavida il firmamento, scomparve per sempre dallo sguardo degli uomini. “Justice League” riprende da questo punto ben preciso nell’arco narrativo dell’universo cinematografico DC Comics, e ci mostra gli esiti conseguenziali di una morte così inaspettata. E’ un mondo in crisi, scosso dalla notizia della dipartita di un amico, di un paladino della giustizia, di un protettore invulnerabile. Batman intuisce che la Terra è oramai indifesa, esposta pericolosamente alle minacce di invasori senza scrupoli, pronti a discendere dalle remote regioni dell’universo, coscienti che Kal-El non veglia più sul pianeta da cui è stato adottato. Bruce decide di costituire una lega di giustizieri, composta da uomini con capacità straordinarie, noti come metaumani. E’ l’alba della Justice league.

(Attenzione pericolo spoiler!!!!)

“Justice League” sbarca al cinema con il gravoso compito di proseguire l’universo filmico DC Comics, più volte funestato da giudizi inclementi, e di portare, per la prima volta sul grande schermo, la lega della giustizia, la collaborazione tra i più grandi supereroi della storia del fumetto americano. Diretto per buona parte da Zack Snyder, poi sostituito alla regia da Joss Whedon, “Justice League” è sostanzialmente avvicinamento, conoscenza, fiducia e unione.

  • Paradisiaca unione, infernale disgiunzione

Il concetto di “comunanza” è il fulcro basilare della storia, e progredisce perpetuamente durante lo scorrere della visione. Sin dal palesarsi dell’antagonista, Steppenwolf, ricorre il tema dell’inscindibile unione, la quale genera una forza indissolubile.  Steppenwolf fu un’entità arcana, un guerriero imponente, dalla forza sovrumana, armato di una robusta e affilata ascia grondante sangue. Questo combattente era a capo di un infernale esercito di parademoni con cui intendeva schiavizzare la Terra e soggiogarla al proprio dominio distruttore. Sull’orlo del baratro, gli abitanti della Terra, qualunque spazio essi occupassero, sia il regno marino, che quello terrestre, e ancora il regno di Temishira, unirono le loro forze a difesa di un bene universale.  Steppenwolf venne combattuto e sconfitto da un immenso esercito, sorto dall’alleanza tra uomini, amazzoni e atlantidei. Fu l’ultima testimonianza storica di una inseparabile alleanza. Da quel giorno non si ebbe più alcuna intesa tra i viventi dei tre regni, e il mondo progredì nell’apatia e nel disinteresse generali. Con il trapasso di Superman, Steppenwolf fa ritorno dal suo esilio, deciso a terminare ciò che aveva lasciato incompiuto, e per farlo ha bisogno delle mitologiche tre scatole madri da cui fuoriesce un potere smisurato. Le tre scatole madri sono state volutamente separate e nascoste in epoca antica poiché, se rinvenute e messe assieme, potranno alimentare il potere di Steppenwolf fino a renderlo invincibile.

Batman illustrazione Erminia A. Giordano per CineHunters

 

Anche in merito alle tre scatole madri, “Justice League” effettua un’analisi sul concetto di “unione”. Il potere in esse contenuto è smisurato, e per tale ragione, le scatole furono separate, onde evitare un ulteriore accrescimento di una forza già incontenibile. Unione e divisione, due parole appartenenti a significati diametralmente opposti ma che sono soggette alla medesima indagine nel film. Dal vincolo trittico tra le tre scatole madri fuoriesce un potere malvagio, dalla cooperazione tra i supereroi, invece, emerge una forza votata al bene. L’eterna lotta tra il bene e il male in “Justice League” assume i contorni di uno scontro tra la forza perentoria della lealtà e tra la disfatta apocalittica della divisione perpetrata da Steppenwolf. Lo scenario paradisiaco dell’alleanza tra i supereroi della Justice League si contrappone al fronte della disgiunzione infernale alimentata dall’oscurantismo di Steppenwolf. La stessa arma, padroneggiata con efferata maestria da Steppenwolf, possiede una sorta di allegoria del genere. L’ascia è un’arma divisoria, in grado di “spaccare”, di spezzare e divincolare un legame, di annientarlo con la violenta separazione di un taglio netto.

  • Viaggio conoscitivo

E’ un bisogno inevitabile per il bene della Terra quello che sospinge l’uomo-pipistrello e la principessa delle Amazzoni a reclamare i più grandi eroi del mondo. E’ giunto il momento per decretare la scesa in battaglia di Barry Allen/ Flash, di Arthur Curry/Aquaman e di Victor Stone/Cyborg. Quello che balza all’attenzione è che sono supereroi alle prime armi. “Justice League” non traspone le icone della DC Comics al massimo della loro potenza, li rende, in vero, supereroi più fragili, come fossero agli inizi del loro viaggio di adempimento.

Aquaman dipinto da Erminia A. Giordano per CineHunters

 

Ciò che accade in epoca antica, si ripete, in un certo senso, in età contemporanea: non viene radunato un esercito quanto un manipolo di supereroi rappresentativi e pronti a credere nel bene. “Io ci credo” afferma con decisione Wonder Woman! La fedeltà, il crederci, la fiducia reciproca sono tutte caratteristiche fondamentali per l’insaldarsi di una relazione cooperativa. E’ così che la lega della giustizia si plasma sotto i nostri occhi, nella difficoltà di un’interazione tra sconosciuti. “Justice League” è un viaggio di comprensione e di amicizia. E’ un film introduttivo e al contempo formativo. Spetta ad un solo rappresentante della “casata” degli uomini riunire le forze della Justice League. In questo viaggio esplorativo, concernente l’interazione tra supereroi diversi tra loro, Batman assurge ai canoni dell’uomo mortale e sprovvisto di poteri, all’esponente virtuoso di un’umanità distaccata.

  • Umanità e ispirazione

Ben Affleck veste gli abiti di un Batman tormentato, come fosse fuoriuscito dalla tavolozza di un fumetto e siffatto in carne ed ossa tanto è il rimando estetico che dà la sua presenza scenica se confrontata alla controparte cartacea. L’interpretazione di Affleck verte sull’umanizzazione del cavaliere oscuro. Il mostrare con animo provato le ferite fisiche calca la fragilità del crociato incappucciato, soggetto, in quanto uomo, al dolore e a un maggiore rischio in battaglia. Bruce Wayne è un uomo apparentemente comune, che si erge rispettosamente sui suoi simili per selezionare un team di protettori, ma mai per elevarsi a loro guida, in quanto avverte di non essere sufficientemente ispiratore per gli uomini. Il Batman di Affleck si prefigge un compito, quello di ridare vita a Superman. L’uomo d’acciaio, a detta di Wayne, era molto più umano di lui.

La fragilità umana del Batman di Affleck è dualistica: da una parte ci mostra l’unicità di un eroe mancante di poteri ma, allo stesso tempo, l’insofferenza di un supereroe che confessa di non sentirsi parte integrante dell’umanità stessa. L’umanità di Batman reca in sé una caratteristica che evidenzia i disagi, le turpe, e gli incubi del cavaliere di Gotham, elementi disturbanti che gli impediscono d’essere un eroe ispiratore e solare come lo era Superman, extraterrestre ma molto più integrato nella vita quotidiana rispetto a Bruce Wayne.

L’ispirazione è un argomento caro alla pellicola della “Justice League”. E’ un mondo privo di figure ispiratrici quello a cui le scenografie urbane di “Justice League” danno vita. Non vi è più ispirazione nel votarsi a una causa altruistica, non vi è ispirazione nello sforzarsi di vedere una luce fioca che lampeggia nelle profondità di un’opprimente oscurità. Neppure Lois Lane trae ispirazione alcuna dai suoi sentimenti per approcciarsi alla scrittura, e per comporre un testo che possa ridare speranza ai lettori del Daily Planet. Il compito della Justice League è più oneroso di quanto possano credere: essi devono scuotere gli animi degli indifesi e restituire loro la speranza di un domani luminoso.

Justice League” è un film sui supereroi, intesi in senso classico, coloro i quali vengono forgiati nelle fiamme divampanti della speranza, e ha il merito di presentarci i protagonisti in un tempo dilatato.

  • Supereroi: diversità e analogie

In principio, i guerrieri della Justice League hanno in comune soltanto le loro sbalorditive capacità, ma devono comprendere le reciproche affinità per divenire una squadra. “Justice League” fa interagire personaggi provenienti da “realtà” ed esistenze diversificate. Per tale ragione, la pellicola crea un gruppo eterogeneo nelle cui differenze emergono i corrispondenti pregi. Ezra Miller ci regala un Flash allegro, giocoso ed inesperto. Veniamo a conoscenza della tragica storia della sua infanzia, ma ciò non ci impedisce di notare come Barry, sebbene patisca la solitudine, viva la sua vita con il sorriso e con la speranza ottimistica che un giorno tutto possa cambiare. Barry è in piena attività da pochi mesi, è una scia rossa invisibile e inafferrabile. A Flash è spettato l’impegno di far divertire il pubblico mediante una verve comica opportunamente sceneggiata per far sorridere ma non certo ridere. Barry, con la sua dialettica gioiosa, vuol solamente strappare un accenno di sorriso, non ha affatto l’intenzione di far ridere a crepapelle. E’ questa una chiave interpretativa dell’opera, la DC Comics, per quanto con “Justice League” abbia sacrificato l’atmosfera cupa e drammatica dei precedenti lungometraggi, non tramuta se stessa. Mantiene una serietà limite e l’alterna ad alcuni momenti più spensierati ma mai costanti o esagerati, fino ad ottenere un ritmato equilibrio tra toni gravi e divertimento.

Il Barry Allen di Ezra Miller è un ragazzo timido, introverso e insicuro, e la sua interpretazione flirta col pubblico perché ci dona l’illusione che anche una persona apparentemente impacciata possa nascondere un potere fantastico che imparerà a dominare. Per come è sceneggiato, il suo potere è un dono non una maledizione. L’esatto contrario di Cyborg. Cyborg vive la sua nuova vita come se dovesse pagare il prezzo di una resurrezione incorporea. E’, infatti, risorto dalla morte per rivivere con una veste robotica, cibernetica ed eroica. Anche Aquaman è insoddisfatto, risente del peso della sua investitura da Re di Atlantide, e si unisce alla lega con più di qualche remora. L’Aquaman di Momoa è un eroe indomito e indomabile, schietto e possente, ma dietro la sua scorza coriacea e cinica nasconde l’orgoglio nell’essere sovrano di un reame acquatico e di far parte di una compagine di eroi.

Solitudine, malcontento, frustrazione, voglia di cercare il proprio posto in un mondo che necessita di eroi, sono solo una parte degli stati d’animo e dei desideri che accomunano i supereroi della lega della giustizia. Nei loro caratteri diversi sono riscontrabili più similitudini di quanto parrebbe superficialmente. Persino l’evento religioso e sovrannaturale della resurrezione, vissuto da Cyborg, si verifica nuovamente con Superman, quando egli verrà riportato in vita dagli eroi della Justice League. Le vicende e le sensazioni emotive vissute dai supereroi finiscono per dipanare un analogo e ingarbugliato intreccio. “Justice League” è la progressione, nonché l’evoluzione intima, di un manipolo di eroi. Questi eroi, prima ancora di divenire una compagnia indivisibile, ritrovano la propria identità grazie al rapportarsi tra loro.

Ed è con Superman e Wonder Woman che la Justice League scova i suoi emblemi carnali, le ideologie personificate e ispiratrici che tanto stava ricercando. Clark e Diana vengono caricati di una virtù trascendentale, perché incarnano le fattezze del dio uomo e della dea donna. Il ritorno dell’ultimo figlio di Krypton rappresenta lo schiudersi di una nuova alba, avvenuto dopo un “crepuscolare tramonto” che aveva ceduto il passo alla notte più buia. Gal Gadot con la sua Wonder Woman illumina lo schermo con la delicatezza di un volto bellissimo, con la grazia, il coraggio e la benevolenza di un’icona elegante, elevandosi al rango di eroina-simbolo più sfavillante della Justice League.

  • Conclusioni

“Justice League” è un valente e piacevolissimo Cinecomic, che incespica soltanto in poche pecche. Discutibile e lacunosa è la caratterizzazione del cattivo di turno. L’antagonista Steppenwolf è privo di carisma, non ha intriganti motivazioni dietro il suo oscuro agire, se non quelle d’annientare l’Umanità. Egli risulta, pertanto, mortificato a discapito di un’attenzione dedicata, e più che ben eseguita, agli eroi protagonisti. Le due ore di visione scorrono via con rapidità, tuttavia, si avverte distintamente il taglio di alcune scene che avrebbero reso il film ancor più avvincente. Sarà lecito attendersi una versione estesa con l’uscita del formato Blu-ray.

Justice League” diverte ed emoziona con una storia lineare, con adrenaliniche scene d’azione ma soprattutto con un’ottima caratterizzazione dei personaggi. “Justice League” è un film che vuol rammentare l’importanza di credere negli eroi, e quanto essi siano importanti nel reggere sulle loro possenti spalle il peso della configurazione della speranza, di un’ispirazione che possa rincuorare l’animo timoroso degli uomini soli. Un fardello che può piegare il corpo di un solo supereroe, non se questi è supportato, nel reggere tale vincolo, da altrettanti supereroi. E’ questa la Justice League, la solida fratellanza che fa la differenza e ne costituisce la forza; è questa l’unione ispiratrice.

Justice League dipinta da Erminia A. Giordano per CineHunters

 

Quella che ristora l’animo degli scrittori, come accade sul finale a Lois Lane, e li invita a comporre ancora un altro pezzo, le cui parole vengono intrise nell’inchiostro e scritte coi sentimenti.

Voto: 7/10

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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Erminia A. Giordano disegna Gal Gadot come Wonder Woman per CineHunters

Bianche sponde, acque salmastre che baciano arenili di sabbia dorata, picchi rocciosi di catene montuose che si ergono alte nel cielo azzurro e su cui sorgono palazzi regali, centri abitativi di antica caratura estetica, terreni cinti e strutturati per l’addestramento e dimore lussureggianti, riflettenti stilisticamente di un gusto arcaico: è Temishira, l’isola del Paradiso, la patria delle Amazzoni. La regista Patty Jenkins ce la presenta così, come una terra incontaminata, calcata soltanto dalle altere andature delle donne guerriere che abitano l’isola. Temishira è un luogo creato dall’esalazione del padre degli dei dell’Olimpo, con l’ultimo soffio vitale di Zeus che ha generato questa terra come ultimo baluardo in cui albergano guerriere dedite a una sola missione: proteggere il mondo dalla furia dello sconfitto e sperduto Ares, il dio della guerra, scampato alla morte ma indebolito nel corpo, che da sempre corrompe gli uomini nati impetuosi e nobili per trasformarli in sanguinolenti assassini. In questo paradiso terso e cristallino nasce Diana, la figlia della regina Ippolita, futura protettrice del genere umano.

Wonder Woman - Dipinto di Erminia A. Giordano per CineHunters

 

Diana cresce formandosi come donna e plasmandosi come una guerriera imbattibile, senza mai dimenticare la vocazione di ogni singola amazzone: sconfiggere, se mai dovesse ripresentarsi, Ares. E un giorno, mentre ella ammirava le acque azzurre del mare, scorge un aereo militare nazista precipitare a largo dell’Isola. Diana si tuffa in soccorso del pilota caduto e lo salva da morte certa. L’uomo salvato dall’inclemenza dei marosi è Steve Trevor, una spia al servizio della Resistenza Britannica, infiltratasi tra i nemici della futura Germania di Hitler. E’ un incontro intenso e colmo di meraviglia per entrambi: da una parte Diana scruta con stupore per la prima volta i lineamenti di un uomo, o più precisamente, dell’uomo che amerà per tutta la sua vita immortale, dall’altro Steve riapre i suoi occhi al mondo, mirando il viso della donna per cui metterà a repentaglio la sua vita. Una visione futuristica, uno spartiacque tra la conoscenza passata di Diana e l’avventura futura che coinvolgerà questi due eroi.

Brandendo “l’ammazza-dei” una spada affilata denominata in tal modo perché è da sempre riconosciuta come la sola arma con cui poter trafiggere Ares, indossando l’armatura e legando ad essa il lazo d’oro, Wonder Woman parte alla volta dell’Inghilterra per porre fine alla guerra, secondo il suo credo, generata dal volere di Ares.

Erminia A. Giordano disegna Gal Gadot come Wonder Woman per CineHunters

 

“Wonder Woman” è l’audace e spettacolare viaggio di un’eroina indomabile alla scoperta del mondo esterno. Un film che si sviluppa volontariamente in un' appassionata oscillazione crogiolante tra passato e presente, tra mito arcano e realtà storica. L’inizio è di fatto ambientato nella contemporaneità del DC Cinematic Universe, quando Diana Prince, reggendo tra le sue mani la cornice contenente uno scatto fotografico risalente alla guerra che la ritrae con Steve e gli altri tre uomini della sua squadriglia, rievoca un passato che affonda le proprie radici nella storia più triste e buia dell’umanità: quella del conflitto mondiale. Se una storia va raccontata, però, va rinarrata dal principio, da quando una giovane bambina sognava, nella sua fanciullezza innocente e nel suo spontaneo e ingenuo coraggio, di diventare una combattente ineguagliabile. Ecco che si delinea l’altra oscillazione della pellicola, quella dove il passato si mescola al mito che rivive sotto forma di raffigurazioni di stampo greco, dipinti in cui gli dei vengono catturati in pose di una staticità movimentata, nell’atto di combattere valorosamente o soccombere tragicamente e cadere dalle sommità dell’Olimpo durante la guerra tra Zeus e il misterioso Ares. Wonder Woman è un personaggio nato dalle influenze dei racconti mitologici e con essi prosegue fino a insinuarsi con grazia nella realtà costruita del cinema moderno.

Patty Jenkins confeziona un film lineare ed equilibrato, abbandona le atmosfere troppo cupe dei precedenti adattamenti DC Comics, ma non per questo rinuncia all’epicità dell’azione e all’emozione di un fato avverso che riesce a regalare forti emozioni a un pubblico di appassionati. “Wonder Woman” traspone con cura la storia di Diana Prince, sebbene introduca alcune apprezzabili novità che rendono il film adatto per essere scoperto anche da chi di Wonder Woman conosce ogni seducente dettaglio nascosto tra i segreti di una dea guerriera e tra le pieghe dell’armatura dell’eroina adornata da bianche stelle impresse su sfondo azzurro.

“Wonder Woman” coniuga con giusto equilibrio l’azione spettacolare con la spigliata ironia e con l’atroce dramma della guerra, basa l’empatia comunicativa dei propri personaggi sulle valenti interpretazioni degli attori e gran parte dell’imponenza delle scene su di un’ottima colonna sonora che ne scandisce splendidamente i ritmi. “Wonder Woman” pone al centro dell’azione la sua protagonista e la camera la segue mentre lei si palesa per la prima volta dinanzi agli implacabili eserciti nemici, che nulla possono quando ella attacca con vigore, facendosi strada su di un campo di battaglia fangoso e fermando i proiettili con la facilità di una dea giusta, venuta nel mondo degli uomini per far cessare questa follia.

Tra i meriti del film spicca l’allusiva caratterizzazione di Ares, non soltanto personificato ma soprattutto mistificato astrattamente come un demone invisibile, un portatore e generatore di follia guerrafondaia. Ares appare come un tarlo nella mente degli uomini avvezzi allo spirito bellico. Egli come un paranoico pensiero crudele si instaura tra le menti dei potenti ma non li condiziona secondo il potere ipnotico di un male sinistro, più che altro, si “diverte” ad assistere alle loro reazioni. Se Diana crede fermamente che gli uomini siano sottomessi al giogo di Ares, dovrà ricredersi quando scoprirà, come prevedibile, che egli altri non è che un “suggeritore”, una voce fuori dal coro diabolica che pronuncia le proprie parole nel buio di una notte solitaria, un ascetico consigliere che declama guerra ma che non la perpetra egli stesso. Ares indirizza gli uomini che potrebbero, perché governati dal libero arbitrio, ignorarlo, eppure seguono volontariamente l’agire militare e vigliaccamente guerrigliero. Ares in “Wonder Woman” è una rivisitazione del lucifero biblico. Egli è invidioso delle creature giacenti sulla terra e create dal proprio padre, e decide di rivoltarsi ad esso e dimostrare come quei figli inferiori, altri non sono che errori di un dio saggio. Wonder Woman comprendendo questa deprimente verità potrebbe voltare le spalle all’Umanità, poiché gli uomini non meritano le sue gesta eroiche.

Ma ella ci dona la morale più importante di ogni supereroe dei fumetti, quella che alle volte tendiamo a dimenticare nella lettura superficiale di un comune albo a fumetti: quello che domina la ferrea volontà di un eroe non è la meritocrazia universale, gli eroi scelgono di difendere ciò che è giusto perché è quello per cui credono, ed è un volere ineluttabile! Diana ci offre così il suo personale pensiero, il credo di un’amazzone divenuta dea. Ed ella giunge a questa conclusione dopo aver scoperto l’amore, non più soltanto l’amore familiare e disinteressato di una madre, ma quello passionale, e sbocciato inaspettatamente, di una coppia innamorata. A seguito dell’eroico sacrificio di Steve, Diana raccoglie le forze residue e si erge sul dio della guerra in uno spettacolare scontro in cui Diana prevale sulle forze del male: ella era l’ammazza dei, l’ultima figlia di Zeus e testimonianza vivente di una stirpe divina.

La bellezza incantata dell’anima linda della protagonista del film è delineata sulla meraviglia estetica di Gal Gadot. Dicevo che Wonder Woman è una statua non bronzea, ma dalla caratura degli inarrivabili canoni estetici delle opere antiche, una sorta di statua in movimento, concepita secondo gli stili classici e caratterizzata secondo i voleri moderni. Gal Gadot riesce ad andare oltre questa mia descrizione, essendo portatrice di una bellezza calda e avvolgente, materializzatasi specialmente nel sorriso che lei rivolge agli innocenti che ha portato in salvo: in quei frangenti le fossette del viso emanano la grazia di un’eroina eterea e inimmaginabile, una forza protettrice limpida e cristallina, verosimigliante a quelle acque che l’hanno accarezzata quando lei cresceva nella serenità di Temishira. Gal Gadot raccoglie l’eredità di Lynda Carter come Wonder Woman perfetta, vero fiore all’occhiello di un film a lei dedicato e per cui è riuscita a riempire lo schermo con l’incalcolabile prorompenza dei lineamenti del suo volto, in grado di fuoriuscire dallo schermo.

Il lungometraggio termina il proprio viaggio tornando al presente, là dove Diana stagliandosi da un palazzo vola via, pronta a ritornare ancora una volta a essere, Wonder Woman.

Voto: 8/10

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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Wonder Woman - Dipinto di Erminia A. Giordano per CineHunters

 

Nel 1941 vedeva la luce tra le pagine colorate di un fumetto (al numero 8 di All Star Comics), Wonder Woman, la prima vera icona d’eroismo femminile dell’espressione cartacea supereroica. A concedere i propri servigi pubblicitari e a mandare in stampa il primo numero della supereroina fu la DC Comics, che ben presto eresse Diana Prince, il vero nome di Wonder Woman, a simbolo assoluto della propria casa d’appartenenza insieme a Superman e Batman.

Wonder Woman - illustrazione di Erminia A. Giordano per CineHunters

 

Wonder Woman venne creata da William Marston, un teorico del femminismo che, con parsimonia e amorevole cura, tessette i filamenti descrittivi, estetici e caratteriali del personaggio, un po’ con l’egual maestria e la medesima precisione della giovane Aracne, quando ella tesseva filati d’impareggiabile bellezza sia al tatto che alla vista. E Wonder Woman, sin dai primissimi bozzetti, era davvero bellissima. Una creatura femminile vivida e decisa più che mai a fuoriuscire dalle proprie raffigurazioni con la giusta grazia e una tale prorompente vitalità da non poter essere contenuta tra gli stretti contorni di un foglio di carta. In effetti il paragone con Aracne calza a pennello per la precisione con cui Marston riuscì a delineare la personalità della protagonista, così presa a simbolo da ispirare migliaia di appassionati lettori. Col mito greco Diana andava a nozze, dopotutto, dato che la sua stessa mitologia narrativa era devota a quegli arcani racconti. Probabile che Diana ricordi Aracne per la precisione millimetrica dei suoi “colpi”, che somigli ancor di più alla guerriera Atena per la sua tenacia combattiva, o che ricordi la meraviglia incorporea e celestiale della dea Afrodite: Wonder Woman fu un dono che gli dei dell’Olimpo fecero ai lettori, agli uomini e alle donne, una fascinosa silhouette che fosse capace di coniugare potenza ed eleganza. Ella fu un encomio incarnato e rivolto alla bellezza intrinseca di ogni donna, ma anche un elogio personificato alla loro capacità di affermarsi con egual fermezza dell’uomo.

Marston fece risalire le origini del personaggio all’Isola di Temshira, luogo misterioso mai, in verità, calcato dall’uomo mortale, in cui vivevano le Amazzoni, un popolo guerriero di sole donne. Wonder Woman possiede, alla fine del proprio “tronco vitale” radici mitologiche, come dicevo.  Ella è figlia di Ippolita, la regina delle Amazzoni. Una figura regale d’indubbia valenza, Ippolita viene infatti menzionata nel mito delle dodici fatiche di Eracle, in cui l’eroe doveva riuscire a insinuarsi tra le amazzoni e rubare la cintura della regina, il cui valore era inestimabile. Tale impresa corrispondeva alla nona fatica dell’eroe greco. Nel racconto a fumetti dedicato a Wonder Woman, Ippolita desidera una figlia e implora la dea Afrodite di farle dono di una bambina. Diana nascerà così dal volere della dea dell’amore e crescerà in quest’isola paradisiaca, formandosi come donna e plasmandosi come una guerriera imbattibile. Quando Diana crebbe, decise di lasciare l’isola, in seguito al suo incontro con Steve Trevor, pilota degli Stati Uniti d'America precipitato in mare a pochi metri dalle coste dell’isola. Le avvisaglie del secondo conflitto mondiale spinsero Diana ad abbandonare il suo luogo d’origine per combattere contro le forze naziste. Wonder Woman è ancor più amore patriottico, e il suo costume appare adornato delle stelle della bandiera americana.

Si volle tracciare sulla carnagione bianca della donna un aspetto austero ma al contempo delicato, e nell’intimità segreta della dama un temperamento che riuscisse ad esternare una bellezza disarmante e un carattere gentile e generoso, forte e indomabile. Wonder Woman non è più la classica donzella in pericolo ma si configura lei stessa come l’eroina coraggiosa e pura capace di salvare le persone che anelano al suo intervento propiziatorio.

Wonder Woman - Dipinto di Erminia A. Giordano per CineHunters

 

Wonder Woman tentò con successo di offrire una chiave di lettura verso la parità dei diritti, non ergendosi sopra l’uomo così da poterlo sfidare, sconfiggere o oltraggiare, bensì mostrandosi come una portatrice di un senso giusto e rispettoso riservato alla parità assoluta e perfettamente comprensibile: quella che pone l’uomo e la donna su due piani esistenziali di pari livello.

Diana è una donna estremamente bella e avvenente, prosperosa e seducente. Il suo corpo scultoreo lascia combaciare una muscolatura accennata in alcuni punti chiave con delle curve tonde e armoniche che rimandano alle bellezze scolpite delle statue greche. Wonder Woman è una statua non bronzea, ma dalla caratura degli inarrivabili canoni estetici delle opere antiche, una sorta di statua in movimento, concepita secondo gli stili classici e caratterizzata secondo i voleri moderni.

Diana ha i capelli neri e porta sul capo un diadema derivante dalla sua discendenza reale come regina delle Amazzoni. Indossa un costume con un corpetto rosso e con dei ricami dorati intessuti ad arte per formare un “WW” in corrispondenza del seno. Tale simbolo è l’abbreviazione del nome della guerriera. Il costume di Wonder Woman prosegue con una gonna corta ornamentata da alcune stelle bianche impresse su sfondo azzurro. Diana calza degli stivali rossi e lascia le sue gambe completamente scoperte. L’armatura di Wonder Woman è completata da due bracciali argentati, praticamente indistruttibili, con cui può difendersi e deviare i colpi da fuoco. Ella possiede altresì il lazo d’oro, chiamato anche lazo della verità, con cui avvolge i suoi avversari impossibilitandoli a scampare alla presa e potendoli così costringere a non poter dire alcuna menzogna.

Wonder Woman ha il dono dall’eterna giovinezza, è immortale ma può soccombere se uccisa in combattimento. Diana è dotata di una forza sovrumana, paragonabile a quella di Superman, può volare, muoversi a grande velocità, e possiede una resistenza fisica e mentale che le permette di guarire in fretta dalle ferite. Wonder Woman risulta praticamente imbattibile nel combattimento corpo a corpo, ed è un’assoluta esperta nell’uso della spada e dell’arco.

L’amazzone è tra i membri preminenti della Justice League insieme a Superman, Batman, Flash e Lanterna Verde e ha intrecciato, alle volte, alcune relazioni amorose con Bruce Wayne, e nelle storie del New 52, con Clark Kent. Il più grande amore della vita di Diane resta però Steve Trevor, il pilota dell’aereonautica militare statunitense che l’accompagnò nel suo primo viaggio verso l’America, e che diverrà in seguito, nelle storie classiche e maggiormente conosciute, suo marito.

Wonder Woman ebbe due trasposizioni in carne ed ossa, una sul piccolo schermo e una sul grande schermo. Tra il 1975 e il 1979, Lynda Carter concesse la sua dirompente bellezza per trasporre per 60 episodi il personaggio di Wonder Woman. In questa serie televisiva, Diana aveva degli atteggiamenti molto somiglianti a quelli del rinomato Clark Kent, quando nasconde la propria identità. Diana indossava dei grossi occhiali che le coprivano il viso e legava spesso i capelli per non destare sospetti. Quando doveva entrare in azione, roteava su se stessa, accompagnata da un estratto ricorrente della celebre colonna sonora, e attraverso un gioco di luci, appariva col suo classico costume. Lynda Carter aveva un fisico formoso e atletico e venne spesso definita la Wonder Woman perfetta.

Dal 2014 Wonder Woman è interpretata sul grande schermo dalla bellissima attrice israeliana Gal Gadot che ha fatto il suo debutto in queste vesti in “Batman V Superman”, ottenendo reazioni estremamente positive per la sua performance. Gal Gadot riprenderà il ruolo nel film dedicato al personaggio e nelle successive apparizioni del DC Cinematic Universe. In questa versione, Wonder Woman combatte con una spada affilata e uno scudo.

Wonder Woman rappresenta l’intramontabile anelito di speranza racchiuso nel coraggio e nella forza ammirevole di un simbolo del gentil sesso: ella nata dal mito è divenuta mito a sua volta.

Autore: Emilio Giordano

Redazione: CineHunters

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